All'alba sono state arrestate 52 persone, tra caporali e imprenditori: 12
sono lucani titolari di altrettante aziende agricole che sfruttavano i
braccianti extracomunitari
“Ma ste c…o di scimmie dove sono?” “Là ci vogliono 20 scimmie” e
ancora…”Siccome mi ha telefonato R (imprenditore agricolo) che
ai neri gli mancano un paio di bottiglie d’acqua …gliele riempiano nel canale
…se ci sono un paio di bottiglie vuote”. Le “scimmie” era il nome con cui venivano chiamati i braccianti agricoli in
una conversazione tra caporali e imprenditori captata dalla Guardia di Finanza
del Comando provinciale di Cosenza nell’indagine che questa mattina ha portato
all’arresto di 52 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata
all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. “caporalato”) ed
al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Oltre 300 finanzieri cosentini nel corso di questa notte con
l’ausilio di militari dei Reparti di Catanzaro e Crotone, hanno dato
esecuzione, tra le Province di Cosenza e Matera, ad un’ordinanza di
applicazione di misura cautelare, emessa dal gip del Tribunale di
Castrovillari, Luca Colitta, su richiesta del Sostituto Procuratore della
Repubblica, Flavio Serracchiani, a carico di 60 persone.
L’imponente attività della Guardia di Finanza ha condotto all’applicazione
di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 38 ordinanze di arresti
domiciliari e 8 ordinanze di sottoposizione all’obbligo di presentazione alla
p.g.
Le Fiamme Gialle cosentine hanno, altresì, proceduto al sequestro
preventivo di 14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e
2 in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi 8 milioni di euro, e
di 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli reclutati.
Le 12 aziende lucane coinvolte hanno sede a
Policoro, Scanzano Jonico, Marconia di Pisticci e Montalbano Jonico, arrestati
e posti ai domiciliari i rappresentanti legali delle stesse
che-secondo quanto emerso dalle indagini- erano al corrente dell’attività di
caporalato. I lavoratori sfruttati erano per la maggiorparte extracomunitari.
L’indagine, denominata “Demetra”, ha preso il via dal controllo,
effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano, di un furgone che, diretto
nelle campagne lucane, percorreva la S.S. 106 Jonica con a bordo 7
braccianti agricoli provenienti dalla sibaritide.
Le preliminari attività d’indagine conducevano, sin da subito,
all’identificazione di numerosi soggetti, italiani e stranieri (in particolare,
di nazionalità pakistana, magrebina e dell’Est Europea), impegnati in un’organizzata
e fiorente attività di sfruttamento illecito di manodopera bracciantile, c.d.
“caporalato”, e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella piana di
Sibari.
Le investigazioni, durate più di un anno, hanno visto le Fiamme Gialle di Montegiordano impegnate in un’intensa attività di intercettazione, in numerosi e mirati servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, sequestri, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni.
Le investigazioni, durate più di un anno, hanno visto le Fiamme Gialle di Montegiordano impegnate in un’intensa attività di intercettazione, in numerosi e mirati servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, sequestri, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni.
All’esito, è emerso un quadro indiziario grave ed univocamente attestante
plurime e reiterate condotte di sfruttamento ed utilizzazione illecita di
manodopera, spesso reclutata anche attingendo dai C.A.S.I. locali, nonché di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Oltre 200 i braccianti reclutati e condotti sui campi in condizioni di
sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale,
impiegati in turni di lavoro usuranti e costretti ad accettare condizioni di
lavoro degradanti e non conformi alle prescrizioni giuslavoristiche vigenti nel
settore.
Due le associazioni criminali smantellate dalla Guardia di Finanza ed operanti
tra la Calabria e la Basilicata. La prima, cui appartenevano, a vario titolo,
47 soggetti, impegnata in una fiorente attività d’intermediazione illecita e
sfruttamento del lavoro.
L’organizzazione era così composta: 16 caporali, vertici del sodalizio criminoso con compiti di direzione e controllo dell’illecita attività. Erano loro a stabilire le modalità del reclutamento, a fissare le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti, ad avere i rapporti con gli imprenditori-utilizzatori della manodopera, ad organizzare i furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti reclutati presso le diverse aziende, a tenere la contabilità relativa alle giornate di lavoro svolte da ciascun bracciante, a retribuire quest’ultimo per la singola giornata di lavoro svolto mediante la corresponsione di somme di denaro non adeguate al lavoro prestato; 8 sub-caporali, con il ruolo di collaboratori diretti dei vertici del sodalizio criminoso, la longa manus di questi ultimi nella gestione della manodopera bracciantile; 22 utilizzatori, che, attraverso le aziende agricole da loro gestite, ben 13, e sulla scorta di consolidati rapporti con i vertici dell’organizzazione criminale, impiegavano i braccianti reclutati nei campi, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Ciò mediante un collaudato sistema di fittizie assunzione che, in ultima analisi, determinava imponenti risparmi fiscali e previdenziali; un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano (Cosenza), il quale, abusando del suo ruolo, favoriva i vertici dell’organizzazione criminale rilasciando documenti di identità e certificati di residenza in favore dei braccianti reclutati, al fine di regolarizzarne la posizione sul territorio e consentire la fittizia assunzione da parte delle aziende utilizzatrici.
L’organizzazione era così composta: 16 caporali, vertici del sodalizio criminoso con compiti di direzione e controllo dell’illecita attività. Erano loro a stabilire le modalità del reclutamento, a fissare le condizioni dell’impiego sui campi dei singoli braccianti, ad avere i rapporti con gli imprenditori-utilizzatori della manodopera, ad organizzare i furgoni utilizzati per il trasporto dei braccianti reclutati presso le diverse aziende, a tenere la contabilità relativa alle giornate di lavoro svolte da ciascun bracciante, a retribuire quest’ultimo per la singola giornata di lavoro svolto mediante la corresponsione di somme di denaro non adeguate al lavoro prestato; 8 sub-caporali, con il ruolo di collaboratori diretti dei vertici del sodalizio criminoso, la longa manus di questi ultimi nella gestione della manodopera bracciantile; 22 utilizzatori, che, attraverso le aziende agricole da loro gestite, ben 13, e sulla scorta di consolidati rapporti con i vertici dell’organizzazione criminale, impiegavano i braccianti reclutati nei campi, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Ciò mediante un collaudato sistema di fittizie assunzione che, in ultima analisi, determinava imponenti risparmi fiscali e previdenziali; un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano (Cosenza), il quale, abusando del suo ruolo, favoriva i vertici dell’organizzazione criminale rilasciando documenti di identità e certificati di residenza in favore dei braccianti reclutati, al fine di regolarizzarne la posizione sul territorio e consentire la fittizia assunzione da parte delle aziende utilizzatrici.
La seconda, composta da 13 soggetti, impegnata, oltre che nell’illecito
sfruttamento della manodopera, anche nel favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina. Le indagini della Guardia di Finanza di
Montegiordano hanno consentito di far emergere un’organizzata struttura
criminale che, dietro pagamento di cospicue somme di denaro, organizzava matrimoni
“di comodo” finalizzati a garantire la permanenza, sul territorio
italiano, di una pletora di soggetti irregolari ovvero a favorire, mediante
permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ingresso di soggetti
dimoranti all’Estero.
Dopo essersi procurati la documentazione necessaria, gli indagati
organizzavano le nozze presso il Comune di competenza e, nel giorno stabilito,
con la compartecipazione di testimoni fittizi, aveva luogo il matrimonio tra i
finti nubendi i quali, poi, decorsi i termini di legge, si attivavano subito
per attivare il procedimento di separazione personale prima e divorzio poi.
www.basilicata24.it - 10 Giugno
2020 - 13:57
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