Un momento del monitoraggio delle attività criminali operato dai Carabinieri |
Mercoledì scorso, a Palermo, i Carabinieri del Comando Provinciale di
Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e
agli arresti domiciliari emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo su
richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 8
indagati (6 in carcere e 2 ai domiciliari), ritenuti a vario titolo
responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso esterno
in associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e violazione
degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale.
L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore
Aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase
di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo
di Palermo sul mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte
Mezzagno che ha consentito di comprovare la perdurante operatività
di quell’articolazione di cosa nostra.
Alcuni degli elementi indiziari emersi nel corso delle indagini erano già
confluiti nel provvedimento di fermo d’indiziato di delitto emesso dalla DDA di
Palermo ed eseguito il 4 dicembre 2018 - operazione “Cupola 2.0” - con
la quale era stata smantellata la nuova commissione provinciale di cosa
nostra palermitana, che si era riunita per la prima volta il 29 maggio
2018.
In quel contesto erano state già tratte in arresto 19 persone ritenute
appartenenti al mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte
Mezzagno, tra cui BISCONTI Filippo Salvatore e SCIARABBA Salvatore, co-reggenti del mandamento
mafioso, SUCATO Vincenzo, reggente della famiglia
mafiosa di Misilmeri, e POLIZZI Stefano, reggente della famiglia
mafiosa di Bolognetta.
La complessa attività investigativa rivelava uno spaccato della realtà
mafiosa dell’area sud-est della provincia palermitana caratterizzata dalla
presenza di due figure contestualmente a capo del mandamento mafioso di
Misilmeri-Belmonte Mezzagno:
- SCIARABBA
Salvatore, storico uomo d’onore misilmerese, scarcerato nel
2014 e limitato nei movimenti dalla misura della sorveglianza speciale con
obbligo di soggiorno nel comune di Palermo cui era sottoposto;
- BISCONTI
Filippo, divenuto poi collaboratore di giustizia, dopo essere stato anch’egli
arrestato nel corso dell’operazione “Cupola 2.0”.
Accanto a loro, demandati alla gestione delle varie famiglie mafiose,
emergevano SUCATO Vincenzo e POLIZZI Stefano, oltre a diversi uomini
d’onore tra cui CASELLA Stefano e MIGLIORE Giovanni Salvatore,
affiliati alla famiglia di Belmonte Mezzagno, e NOCILLA
Domenico, affiliato alla famiglia di Misilmeri. Quest’ultimo
veniva coadiuvato anche dal figlio Claudio per organizzare i movimenti di
SCIARABBA Salvatore per raggiungere luoghi sicuri ove incontrarsi con i
consociati per discutere delle dinamiche intranee al sodalizio mafioso.
Attraverso lo stretto monitoraggio degli affiliati, a maggio del 2017 sono
state documentate le fasi precedenti, concomitanti e successive a due
importanti summit, presieduti da SCIARABBA Salvatore all’interno
dell’abitazione di NOTO Carlo, imbianchino, incensurato, oggetto anch’egli
dell’odierno provvedimento (non potuto eseguire in virtù del suo trasferimento
per motivi di lavoro, nel 2018, negli Stati Uniti d’America).
In particolare, il secondo summit, avvenuto il 27 maggio 2017, veniva
interamente monitorato. Inizialmente, si intercettavano le preoccupazioni di
SCIARABBA in merito ai rischi che stavano correndo partecipando a una riunione
del genere, ritenuta comunque necessaria poiché le problematiche che avrebbero
dovuto affrontare non potevano essere sintetizzate nei soliti “pizzini”.
Poi il reggente del mandamento, dopo aver
cercato di dirimere alcuni dissidi sorti tra gli uomini d’onore, iniziava
ad analizzare le diverse vicende prospettategli ed emanava le proprie direttive
in merito:
- alle
modalità con cui avrebbero potuto reperire un macchinario edile: il
commerciante sarebbe stato convinto da uno degli uomini d’onore a ricevere in
cambio un assegno post datato;
- alla
necessità di ostacolare un imprenditore che stava eseguendo dei lavori di
edilizia e stava fornendo il proprio cemento nel territorio di Bolognetta senza
essere in possesso delle necessarie autorizzazioni mafiose: POLIZZI Stefano,
vertice della famiglia mafiosa di Bolognetta, avrebbe dovuto impedire
fisicamente ai camion di quell’imprenditore di entrare sia nel territorio di
propria competenza che in quello del Comune di Marineo facendo in modo che, da
quel momento in avanti, le imprese edili avrebbero dovuto optare per altre
aziende per la fornitura del cemento;
- all’esenzione
dal pagamento del pizzo di un fornaio che aveva recentemente subìto un grave
lutto familiare;
- all’autorizzazione
richiesta da NOCILLA Domenico, uomo d’onore legato a SCIARABBA, a rilevare un
esercizio commerciale ove far lavorare i propri figli;
- all’opportunità
di infiltrarsi all’interno dell’amministrazione comunale misilmerese. In
particolare, NOCILLA proponeva al reggente del mandamento di supportare, con
largo anticipo, una persona di loro fiducia da porre a capo di una lista
civica, slegata dalle logiche di partito, costituita da persone appositamente
selezionate, capace di indirizzare le scelte dell’amministrazione in favore
della consorteria. La proposta incontrava l’accoglimento di SCIARABBA che,
però, invitava il proprio interlocutore a riparlarne più avanti, visto che
mancavano ancora tre anni alle elezioni comunali del 2020. Tale progettualità
non diveniva esecutiva grazie al fermo d’indiziato di delitto eseguito a loro
carico nel dicembre 2018 (operazione “Cupola 2.0).
L’attività investigativa permetteva anche di ricostruire puntualmente:
- una
richiesta estorsiva di 12.000 euro ai danni di una ditta edile, impegnata nei
lavori di costruzione di una palazzina a Misilmeri, perpetrata da SCIARABBA
Salvatore, BONANNO Giuseppe detto “Andrea” e l’anziano uomo
d’onore SUCATO Vincenzo; quest’ultimo, ristretto nel carcere di
Bologna a seguito dell’esecuzione di “Cupola 2.0”, decedeva il 02 aprile
2020 a causa del Covid_19 (primo caso di decesso in carcere in Italia);
- un
cavallo di ritorno per un camion e un escavatore rubati a un imprenditore
legato al mandamento mafioso di San Mauro Castelverde. In
particolare, l’imprenditore, per riottenere i propri mezzi d’opera, ricorreva
all’intermediazione di diversi esponenti mafiosi che, a fronte di una richiesta
iniziale di 8.000€, riuscivano a diminuire la cifra, pretendendo e ottenendo
per la restituzione 2.800€.
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