Felicia e Peppino Impastato |
di UMBERTO SANTINO
Quest’anno Peppino Impastato è
ricordato online, possibilmente con un presidio nei luoghi sacri della sua
storia: Casa Memoria, la sede di Radio Aut, il casolare vicino al binario dove
è stato ucciso, ancora un rudere. Ogni anno si è discusso dei temi che dominano
la vita quotidiana e la storia contemporanea.
Si è discusso dei flussi migratori, dei decreti
sicurezza all’insegna dell’intolleranza e del razzismo, delle politiche
liberiste che hanno ingigantito squilibri territoriali e divari sociali, della
libertà dell’informazione costantemente minacciata, dell’antifascismo, dei
problemi vecchi e nuovi della mafia e dell’antimafia. Lo scorso 25 aprile ha
visto una grande partecipazione, anche se virtuale, come risposta a chi voleva
archiviare una storia che continua a pesare per chi non si riconosce
nell’antifascismo, vestendo spoglie leghiste o risorgimentali.
La Liberazione
dal nazifascismo, la Resistenza non sono ricordi lontani, da mettere in
archivio, ma valori fondanti della democrazia che non possono essere cancellati
da messe cantate per i morti di tutte le guerre e di tutte le pestilenze.
Ancora oggi, di fronte a sovranismi e nazionalismi, con espliciti richiami
al fascismo e al nazismo, bisogna saper distinguere ed è necessario dividersi.
Riguardo alla mafia, c’è da chiedersi: ma è vero che la mafia, dato che non
spara più, si è trasformata in una lobby specializzata in pratiche corruttive e
ha definitivamente rinunciato alla violenza? La mafia contro cui lottava
Peppino Impastato non c’è più, ha cambiato pelle? Per la mafia la corruzione
non è un fatto nuovo e la violenza, anche se non agita, ma potenziale e
eventuale, rimane un attributo fondamentale di Cosa nostra e anche delle altre
mafie, storiche e nuove. E il rapporto con le istituzioni e la politica a che
punto è? Per i grandi delitti e le stragi bisogna rassegnarsi alle
ricostruzioni giudiziarie che addebitano tutto alla cupola di Cosa nostra e
relegano i "soggetti esterni" a fantasmi sfuggenti, regolarmente
evocati e regolarmente esclusi da una credibile e provabile identificazione?
Per l’assassinio di Peppino abbiamo seguito, con successo, una strada, che
abbiamo più volte indicato come un esempio, che ha portato alla relazione della
commissione parlamentare antimafia sul depistaggio delle indagini operato da
rappresentanti apicali della magistratura e delle forze dell’ordine. Quello che
siamo riusciti a fare per Peppino, finora non si è voluto fare per le
stragi, da Portella in poi, e per i grandi delitti politico-mafiosi, da Reina a
La Torre e a Mattarella, giudicati in blocco con esiti deludenti. È in corso il
processo per la strage di via D’Amelio, in cui si sarebbe consumato «uno dei
più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana», ma sotto processo sono
personaggi secondari. I mandanti non si riesce a materializzarli. Ed è in
appello il processo per la trattativa, ma la trattativa è stata un deprecabile
episodio o è il frammento di una storia?
Fenomeno fino a qualche anno fa inedito, sono comparsi sulla scena
palermitana nuovi gruppi criminali e si è posto il problema se siano o
meno mafia.
C’è ancora, in vari ambienti delle forze dell’ordine e della magistratura,
un’idea di mafia schiacciata sull’endemia siciliana, mentre nel frattempo anche
la mafia, le mafie, hanno cagionato le loro pandemie. Trovando un terreno
favorevole. Non c’è la piovra universale ma ci sono gruppi di tipo mafioso in
rapida crescita e in incessante diffusione.
Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della Convenzione delle
Nazioni Unite sul crimine transnazionale, firmata a Palermo nel dicembre del
2000, e c’erano in programma iniziative per fare il punto sulla situazione.
Una convenzione che seguiva le tracce segnate soprattutto da Giovanni
Falcone e mira a identificare e perseguire fenomeni che sono entrati nel
circuito internazionale, ma è servita a qualcosa o è rimasta sulla carta?
Ora si prevede l’arrembaggio delle mafie alla spartizione dei fondi che
saranno stanziati per rimediare agli effetti della pandemia, con una crisi
economica che forse imporrà un mutamento di rotta dell’Unione europea.
All’ordine del giorno dovrebbero esserci la salute come diritto e non come
merce e privilegio e la sanità pubblica come un’istituzione indispensabile e
insostituibile e un piano di investimenti che faccia fronte a povertà e
disuguaglianze.
Hanno destato preoccupazioni le scarcerazioni dei boss: il virus è un
pretesto, anche i detenuti al 41 bis hanno diritto a essere curati in reparti
sanitari adeguati, ma se il carcere duro ha la funzione di tagliare i rapporti,
con i domiciliari si mettono i boss nelle condizioni di riprenderli. Le
manifestazioni dei detenuti dopo l’annuncio della pandemia sonno state
organizzate dalle mafie? Può darsi, ma il problema del sovraffollamento delle
carceri rimane e non pare che si stia affrontando.
Comunque di certi problemi bisognerebbe parlare pacatamente e seriamente e
non in televisione.
Tutti questi temi, dentro un quadro tra i più drammatici che ci sia toccato
di vivere, impongono sul piano dell’analisi e dei progetti una radicalità che è
quella stessa che viveva e praticava Peppino Impastato, lui per sottrarsi a un
destino familiare, noi per liberarci da patologie quotidiane e liberare il
pianeta da mali che lo rendono sempre più invivibile.
La Repubblica Palermo, 9 maggio 2020
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