di ROSARIA AMATO
ROMA — Un primo maggio con oltre quattro milioni
di lavoratori italiani in smart working: non era mai successo, e non è neanche
frutto di una libera scelta, ma è un’opportunità unica per ripensare le regole.
Sfida raccolta subito dalla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, che si è detta
favorevole ad un incontro con i sindacati, e dalla ministra della Pubblica
Amministrazione Fabiana Dadone. I temi sul tavolo vanno dalle norme sulla sicurezza
a quelle sull’orario di lavoro e il diritto di disconnessione.
A causa
dell’epidemia, i numeri in meno di due mesi sono diventati imponenti: al
ministero del Lavoro risultano attualmente 1.827.792 lavoratori attivi in
modalità "agile"; prima dell’epidemia erano solo 221.175 persone. E
si tratta forse di un numero sottostimato, dal momento che i decreti sul Covid
19 hanno semplificato la procedura e non tutte le aziende potrebbero aver
inviato la comunicazione. Vanno poi aggiunti circa due milioni e mezzo di
dipendenti della Pubblica Amministrazione. Lo smart working sarà anche al
centro della fase 2 per evitare di affollare gli uffici e i mezzi pubbli ci: a
incoraggiarne la prosecuzione in ogni caso in cui sia possibile c’è sia
l’ultimo decreto del governo che il protocollo tra le parti sociali.
Orario
e straordinari
Cinquanta giorni di lavoro agile sono un banco di
prova straordinario: corre in rete la ribellione di molti dipendenti che da un
giorno all’altro si sono ritrovati in modalità lavoro quasi perenne, con uno
spazio sempre più risicato per la vita privata. Esattamente l’opposto degli
obiettivi che il lavoro agile si propone di raggiungere: «Lo smart working non
è banalmente il lavoro svolto a casa. - dice il segretario generale aggiunto
della Cisl Luigi Sbarra - Significa mettere al centro responsabilità,
autonomia, ragionare per obiettivi, ma anche maggiore possibilità di
conciliazione con la vita privata. La legge però prevede la piena parità di
trattamento retributivo rispetto a chi lavora in ufficio, comprese le
indennità di lavoro straordinario e notturno». Con una distinzione:
«Dovendo lavorare per obiettivi - rileva Ilario Alvino, giuslavorista e
professore all’Università La Sapienza di Roma - uno dei vantaggi è che il
lavoratore può lavorare quando vuole. Se lavorare di notte è una scelta del
lavoratore non configura lavoro notturno. Discorso analogo per lo
straordinario. Il vero problema si pone quando è il datore di lavoro a
richiedere una prestazione che necessita di ore di straordinario o di
prestazione notturna».
Il
diritto di disconnessione
È il vero nodo dello smart working, e va affrontato
con i contratti collettivi o individuali. A farlo sono stati però finora solo
il contratto degli insegnanti e quello dei bancari, che vietano telefonate o
email dopo l’orario di lavoro. Nella pratica, però, precisa il segretario della
Fabi Lando Sileoni, «la disconnessione si declina in maniera diversa a seconda
della funzione: il principio di fondo è che nessuno può essere
perennemente a disposizione».
I buoni pasto
Hanno suscitato molte polemiche i dubbi espressi dalla
ministra Dadone nel corso di un’audizione parlamentare sulla compatibilità tra
smart working e obbligo di erogazione dei buoni pasto, che sono per legge una
prestazione sostitutiva della mensa aziendale. Tuttavia le contestazioni dei
sindacati si riferiscono più alle modalità di lavoro di questi giorni, da
remoto, ma spesso ben poco smart. Se la prestazione di lavoro è flessibile
potrebbe non includere il buono pasto ma nulla vieta di farlo, come è avvenuto
per esempio nel contratto dei bancari.
Infortuni
sul lavoro
Il tema della sicurezza sul lavoro in smartworking,
rileva Alvino, «non può essere affrontato con le stesse norme che si applicano
in azienda». La distinzione di fondo è tra telelavoro e smart working: nel
primo caso spetta al datore di lavoro fornire la "postazione" con
tutti i relativi strumenti, e a quest’obbligo corrispondono anche alcuni poteri
di controllo, nel secondo caso invece il lavoratore ha ampia facoltà di scelta
su strumenti e modalità. La soluzione non può essere unica per tutti, osserva
il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo: «Ferma restando la base
legislativa che vale per tutti, lo smart working va regolamentato facendo
ricorso alla contrattazione, anche per tenere conto delle specificità
categoriali. Se in smart working mi alzo dalla scrivania e batto la testa nello
spigolo della libreria, quello è un incidente di lavoro e va coinvolto l’Inail.
Se, in specifici casi che vanno definiti contrattualmente, un infortunio si
verificasse a causa della strumentazione non conforme fornita dal datore di
lavoro, bisognerebbe valutare anche una possibile responsabilità di
quest’ultimo».
La Repubblica, 3 maggio 2020
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