Marco Omizzolo |
di GRAZIELLA DI MAMBRO
A inizio marzo, in piena pandemia, un giovane bracciante agricolo indiano si ribella all’imprenditore per il quale lavora a Terracina. Chiede dispositivi di protezione, mascherina e guanti, perché ciò che ha capito con il suo italiano imparato ad un corso serale gli è servito a comprendere che è necessario per proteggersi nonché per rendere più sicuro ciò che raccoglie. Una ribellione che gli costerà lesioni riscontrate su varie parti del corpo. Due mesi dopo il titolare dell’azienda viene arrestato. Su impugnazione del difensore cadono le esigenze della misura restrittiva, mentre nel merito dei maltrattamenti denunciati dal bracciante si deciderà in un’udienza ad hoc.
Fin qui è un storia semplice, troppo simile a decine di altre,
ad un racconto corale, che va avanti da anni, sulla schiavizzazione dei
braccianti indiani nell’agro pontino. Ma poi succede dell’altro: il giorno in
cui l’imprenditore ottiene la scarcerazione non è il suo avvocato ad esultare.
E nemmeno le organizzazioni della categoria delle imprese agricole, le quali,
oltre a restare in silenzio, si prodigano per distribuire nelle campagne di
Terracina quarantamila mascherine a settimana. No, il caso diventa politico
perché interviene l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini,
che va dritto al punto e addita Marco Omizzolo come l’autore di una campagna
denigratoria della buona imprenditoria locale. Come mai questa presa di
posizione? La sera dell’arresto il sociologo che ha per primo scoperchiato il
nauseabondo vaso dello sfruttamento dei braccianti a Latina era stato
intervistato dalla Rai e aveva ribadito la necessità di potenziare controlli e
indagini contro caporalato e sfruttamento, poiché ciò che era accaduto a quel
lavoratore rappresentava la punta dell’iceberg delle condizioni di lavoro dei
braccianti, sia indiani che italiani nell’agro pontino. Una polemica andata
avanti per qualche giorno sui social con numerose manifestazioni di solidarietà
verso Marco Omizzolo, ma anche con tanti insulti contro di lui seguiti
all’intervento dell’europarlamentare.A inizio marzo, in piena pandemia, un giovane bracciante agricolo indiano si ribella all’imprenditore per il quale lavora a Terracina. Chiede dispositivi di protezione, mascherina e guanti, perché ciò che ha capito con il suo italiano imparato ad un corso serale gli è servito a comprendere che è necessario per proteggersi nonché per rendere più sicuro ciò che raccoglie. Una ribellione che gli costerà lesioni riscontrate su varie parti del corpo. Due mesi dopo il titolare dell’azienda viene arrestato. Su impugnazione del difensore cadono le esigenze della misura restrittiva, mentre nel merito dei maltrattamenti denunciati dal bracciante si deciderà in un’udienza ad hoc.
“L’onorevole Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia e ex sindaco di Terracina
ha affermato su Facebook che dovrei chiedere scusa alla città del Sud Pontino,
all’imprenditore agricolo accusato di estorsione nei riguardi di un suo ex
lavoratore di nazionalità indiana trovato in un fosso, malmenato, e al suo
partito. – dice il sociologo, autore del fortunato “Sotto Padrone”, il libro
verità sullo sfruttamento nei campi – Ovviamente col suo messaggio ha
volutamente aizzato una canea di odiatori di varia natura contro il
sottoscritto. Tanto per essere chiari: io non mi faccio intimidire né da lui né
dai suoi hooligans. Inoltre rinnovo la mia solidarietà e impegno in favore del
lavoratore indiano maltrattato e malmenato e la fiducia alle forze di polizia e
alla Procura che hanno condotto le indagini (accuratissime e dettagliate, con
riscontri probatori importanti). Imprenditore che resta accusato dei reati a
lui ascritti”.
C’è in questa ultima vicenda sui braccianti, e nella relativa coda avvelenata dalla politica, qualcosa di già visto. Lo “scontro”, chiamiamolo così, tra il giornalista e sociologo Omizzolo e l’eurodeputato riguarda l’effetto mediatico del problema braccianti. Ossia: parlare di sfruttamento del lavoro e di schiavi nell’agro pontino danneggia l’immagine turistica ed economica di quel territorio. E’ la medesima argomentazione utilizzata per la presenza della mafia in quello stesso territorio. E purtroppo mafia e agricoltura a Latina stanno lungo un confine labile, che talvolta scompare. Alcuni latidonfi e grandi coop sono una delle vie del riciclaggio. Un’inchiesta recente ha portato alla luce la commistione tra organizzazioni senza scrupoli, rifiuti e agricoltura: intere distese coltivate venivano utilizzate per sotterrare rifiuti speciali spacciati per concime. La terra, ad un certo punto ha iniziato ad emettere strani fumi ed è scattata un’inchiesta per inquinamento ambientale. Pur volendo solo restare allo sfruttamento dei braccianti, va necessariamente ricordato che le inchieste su caporalato e maltrattamenti sono state sei in un anno e che in due mesi gli arresti sono stati cinque (incluse le misure ultime di Terracina). Per non contare le denunce senza provvedimenti restrittivi ma non per questo meno gravi. Le organizzazioni di categoria delle imprese, pur avendo avviato un percorso di risanamento con protocolli d’intesa e corsi di formazione, non si sono mai (finora) costituite parte civile nei processi e nemmeno i Comuni nei quali insiste la sede legale delle aziende, tranne in un caso, a Latina. La Prefettura di Latina, nel frattempo, ha emesso nuove interdittive antimafia per aziende legate alla filiera dell’agricoltura, ossia nella mediazione e nel trasporto di ortofrutta da e per il Mof di Fondi. L’ultima indagine su uno dei maggiori autotrasportatori di Fondi, Giuseppe D’Alterio, detto marocchino, “risale” al febbraio del 2020 e ha svelato uno spaccato sconvolgente: l’amministratore giudiziario delle società di trasporto di D’Alterio ha gettato la spugna perché in un anno non ha trovato nessun vettore che volesse trasportare frutta con quei camion, né produttori che fornissero merce, né autisti o impiegati amministrativi. Per questo ha restituito anche i libri della società e ha riferito ai magistrati che c’era un “brutto clima” e gente che ha confessato di non poter lavorare con lui perché “ha famiglia”. Questo è il contesto in cui opera un quadrilatero dell’agricoltura tra i più importanti d’Italia ed è incredibile che ci sia ancora chi non se ne accorge.
C’è in questa ultima vicenda sui braccianti, e nella relativa coda avvelenata dalla politica, qualcosa di già visto. Lo “scontro”, chiamiamolo così, tra il giornalista e sociologo Omizzolo e l’eurodeputato riguarda l’effetto mediatico del problema braccianti. Ossia: parlare di sfruttamento del lavoro e di schiavi nell’agro pontino danneggia l’immagine turistica ed economica di quel territorio. E’ la medesima argomentazione utilizzata per la presenza della mafia in quello stesso territorio. E purtroppo mafia e agricoltura a Latina stanno lungo un confine labile, che talvolta scompare. Alcuni latidonfi e grandi coop sono una delle vie del riciclaggio. Un’inchiesta recente ha portato alla luce la commistione tra organizzazioni senza scrupoli, rifiuti e agricoltura: intere distese coltivate venivano utilizzate per sotterrare rifiuti speciali spacciati per concime. La terra, ad un certo punto ha iniziato ad emettere strani fumi ed è scattata un’inchiesta per inquinamento ambientale. Pur volendo solo restare allo sfruttamento dei braccianti, va necessariamente ricordato che le inchieste su caporalato e maltrattamenti sono state sei in un anno e che in due mesi gli arresti sono stati cinque (incluse le misure ultime di Terracina). Per non contare le denunce senza provvedimenti restrittivi ma non per questo meno gravi. Le organizzazioni di categoria delle imprese, pur avendo avviato un percorso di risanamento con protocolli d’intesa e corsi di formazione, non si sono mai (finora) costituite parte civile nei processi e nemmeno i Comuni nei quali insiste la sede legale delle aziende, tranne in un caso, a Latina. La Prefettura di Latina, nel frattempo, ha emesso nuove interdittive antimafia per aziende legate alla filiera dell’agricoltura, ossia nella mediazione e nel trasporto di ortofrutta da e per il Mof di Fondi. L’ultima indagine su uno dei maggiori autotrasportatori di Fondi, Giuseppe D’Alterio, detto marocchino, “risale” al febbraio del 2020 e ha svelato uno spaccato sconvolgente: l’amministratore giudiziario delle società di trasporto di D’Alterio ha gettato la spugna perché in un anno non ha trovato nessun vettore che volesse trasportare frutta con quei camion, né produttori che fornissero merce, né autisti o impiegati amministrativi. Per questo ha restituito anche i libri della società e ha riferito ai magistrati che c’era un “brutto clima” e gente che ha confessato di non poter lavorare con lui perché “ha famiglia”. Questo è il contesto in cui opera un quadrilatero dell’agricoltura tra i più importanti d’Italia ed è incredibile che ci sia ancora chi non se ne accorge.
(nella foto Marco Omizzolo)
articolo21.org, 29 Maggio 2020
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