Salita Reges, poi piazza Matrice, oggi Piazza Giovanni Paolo II |
L’arciprete di Bolognetta Castrenze Ferreri (nato a
Vicari 51 anni prima) fu gravemente ferito intorno alle ore 23 di domenica 16
maggio 1920, mentre «se ne stava seduto davanti la porta della sua abitazione (in
piazza Matrice, oggi sede Agesci) e godeva il fresco della sera».
Dopo aver sentito gli spari e le grida di Ferreri,
accorsero per primi i vicini di casa e poi anche il sindaco Michelangelo Di
Peri, i fratelli Carmelo e Francesco Lo Brutto, sacerdote, la guardia campestre
Salvatore La Duca ed infine il maresciallo dei Regi Carabinieri Antonino
Stracuzzi con l’appuntato Ilacqua e il carabiniere De Luca.
Inizialmente interrogato da Di Peri, il parroco ferito
dichiarò che poco prima gli erano state esplose due fucilate ed aveva
riconosciuto il suo offensore, che era spuntato da dietro il campanile. Ferreri
disse prima il nome di un giovane
bolognettese, poi di un altro. Ripeté quest’ultimo davanti al maresciallo
e agli altri che intanto si erano avvicinati, aggiungendo il movente: «per
l’affare dei marmi», cioè per una disputa sui marmi del costruendo altare di
S.Antonio da Padova. Così i carabinieri andarono immediatamente a casa del
giovane accusato, dove trovarono due fucili calibro 12, «uno di essi con una
canna da recente esplosa», lo stesso calibro dei proiettili che vennero
rinvenuti sul luogo della sparatoria, e lo arrestarono. Ritornato
dall’arciprete, il maresciallo gli chiese se fosse sicuro di averlo
riconosciuto, ed il Ferreri seccato gli rispose: «Arreri lu voli sapiri, è
stato proprio lui!». Verso l’una di notte l’arciprete morì.Padre Francesco Lo Brutto, il sacerdote che accorse dopo gli spari che colpirono l'arciprete Ferreri e gli somministrò l'estrema unzione |
„Governò la parrocchia di S. Maria di Ogliastro,
Bolognetta, dal Agosto 1907 al 16 maggio 1920. Cadde sotto il piombo omicida
dopo aver sofferto per il decoro della casa di Dio, il crogiolo delle persecuzioni,
fino ad essere lapidato dalla feccia del popolo (1910) e vedersi depauperato il
servizio parrocchiale, del meschino sussidio comunale (1912)“.
Chiuse le indagini, il 26 marzo 1921 la sezione di accusa
della Corte di Appello di Palermo rinviò a giudizio l’unico indiziato per
«omicidio qualificato» e «porto di fucile senza licenza dell’Autorità e senza
avere pagato la relativa tassa».
L’imputato indicò tre testimoni per confermare il suo
alibi: «erano certi Malleo, Rinaldi e Pragno e di essi i primi due dichiararono
che erano stati quella sera a casa sua per avere lezioni di mandolino ed il
terzo fino alle ore 22 e tre quarti per pagare a quest’ultimo il prezzo di un
mandolino venduto al figlio». Inoltre la difesa venne incentrata
sull’impossibilità del riconoscimento «per le condizioni di luce, quella sera,
a quell’ora».
Per avvalorare questa tesi, l’avv. Gioacchino Berna,
puntò prima sulla distanza tra la vittima e il suo omicida, che non poteva
essere visto date le condizioni del paese, privo di impianto di illuminazione
elettrica. A maggior ragione se, a quanto riferì l’imputato, «il Parroco aveva
la vista debole, tanto è vero che quando leggeva teneva gli occhiali». E per
avvalorare ancor di più il punto della irriconoscibilità, l’avv. Berna citò una
lettera dell’Osservatorio astronomico: «La luna la notte dal 15 al 16 maggio
aveva l’età di giorni 28 ed era
ridotta ad una falce sottile. Essa
sorgeva ad ore quattro e 27 minuti.
Sicché, come del resto da tutte le testimonianze, compresa quella di Stracuzzi,
è indubitato che in quella notte la luna non era peranco sorta».
L’oculista Camillo Romano dichiarò che aveva curato al
parroco una blefaro-congiuntivite che non gli permetteva di vedere bene, mentre
la sorella dell’ucciso affermò che il fratello non aveva problemi di vista e
non portava occhiali. La testimonianza del medico curante del sacerdote
Ferreri, tale prof. Genova, fu di altro tenore: «Fui a Bolognetta per sei anni
quale medico condotto fino al novembre 1918. Durante quel tempo conobbi il Sac.
Castrenze Ferreri che ebbi a curare una volta per una tifoidea molto grave che
gli durò più di un mese. Il Ferreri soffriva inoltre di convulsioni epilettiche
che non gli si sviluppavano frequentemente, ma che erano abbastanza forti, ne
poteva avere all’incirca due o tre l’anno. Io lo avevo sottoposto all’uopo alla
cura del bromuro. Aveva un carattere a volte molto vivace, dovuto al suo
temperamento nervoso e questa vivacità manifestava con parole semplicemente un
po’ irruenti».
Così
il 3 agosto 1921 la Corte Ordinaria di Assise emise la sentenza di assoluzione:
l‘imputato venne prosciolto dall’accusa di omicidio per non aver commesso il
fatto. Il maresciallo Stracuzzi, che aveva condotto le indagini, venne
trasferito.
Nel
1928, durante la repressione antimafia guidata dal Prefetto Mori il delitto,
come altri nove omicidi avvenuti a Bolognetta dal 1919 al 1923, venne
attribuito dagli inquirenti alla cosca mafiosa locale guidata da Serafino Di
Peri. Secondo i giudici del Tribunale di Palermo, poi, essendo stato ucciso nel
dicembre 1919 dalla mafia emergente il vecchio capomafia Benigno, il parroco Ferreri
aveva raccolto la sua confessione in punto di morte. Eliminando l’arciprete, (e
sei mesi dopo, il sagrestano Rosario Di Pisa), si erano voluti, a giudizio di
polizia e magistratura, eliminare due
testimoni scomodi.
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