di CARMELO LOPAPA
Dal "chiudere tutto" al "riaprire
subito" Cercando la centralità politica perduta
ROMA – È la sua ultima, decisiva crociata. Liberare gli italiani dalle
gabbie del lockdown imposte dal governo della "paura". Costringere
Palazzo Chigi a forzare i tempi, costi quel che costi, e passare così
all’incasso del dividendo politico. Su questa partita, Matteo Salvini sceso con
la Lega nel limbo del 26 per cento dalle vette del 36 – ha deciso di giocarsi
tutto il suo futuro politico, in coda a un’emergenza sanitaria che lo ha
relegato ai margini della scena oltre ogni più fosca previsione. «Non vorrei
fossimo gli ultimi a riaprire in Europa, sarebbe un disastro senza precedenti»,
ha tuonato ieri dal Senato, ribadendo il pieno appoggio al governatore della
Lombardia Attilio Fontana per la piena riapertura del 4 maggio nonostante i
picchi di morti e contagi. Una sorta di roulette russa, pur di riconquistare la
pancia del Paese. Strategia sulla quale ieri si è posizionato anche il
presidente veneto Luca Zaia che pure, a differenza del collega, salviniano
ortodosso certo non è.
Il capo della destra populista ha maturato la mossa più spregiudicata dopo
uno slalom di uscite che in 50 giorni ha spiazzato, confuso, infine deluso
parte del suo elettorato. L’ultima sparata, appena ieri, era stata quella dei
mille euro per ogni famiglia che deciderà di trascorrere le vacanze estive in
Italia, un giochetto da appena 17,2 miliardi di euro in piena emergenza
economica perché «bisogna rilanciare il turismo ». Se è per questo, ancora la
settimana scorsa, aveva suggerito al governo Conte di aiutare la ripresa con
due sanatorie vecchio stampo, una fiscale e una edilizia. Ultimi exploit in
ordine cronologico del Matteo versione "Fast & Furious" che,
dall’esplosione dell’emergenza Covid- 19, è stato capace di affermare (e fare)
tutto e il suo contrario. In una spasmodica, quasi disperata ricerca della
centralità politica ormai svanita, assieme ai sogni di voto anticipato e
ingresso a palazzo Chigi.
Da qui, i cambi repentini di rotta che, nell’arco di una quarantena, messi
uno dietro l’altro, sono diventati ormai un divertente gioco sui social.
Proprio quei social sui quali la Bestia di Luca Morisi & C. ha costruito le
basi di un consenso di massa, tutto selfie, like e dirette Facebook, e in
cui adesso i follower si fanno beffa dell’aspirante premier. Del resto, è stato
un crescendo, dall’uscita del 24 febbraio (tre giorni dopo lo scoppio
dell’emergenza a Codogno), quella del perentorio «chiudere tutto, controlli
ferrei alle frontiere», seguito tre giorni dopo, dal sorprendente «chiediamo al
governo di accelerare, riaprire, aiutare ». Frontiere chiuse? Anzi no,
apriamole, tutti in vacanza da noi: «Siamo il Paese più bello. Venite in
Italia». Poi, quando ai primi di marzo la situazione si fa tragica, il paladino
della riapertura si inabissa, scompare, azzera le dirette Fb. Per ricomparire a
metà mese a Milano, al fianco del governatore Fontana, al palazzo della
Regione, per le conferenze stampa di aggiornamenti sulla crisi, Certo, ai
consensi non avrà giovato la passeggiata per il centro di Roma con la fidanzata
Francesca Verdini del 15 marzo, mentre l’Italia dei comuni mortali era in
lockdown da 7 giorni. Da quel momento, pur di recuperare i punti perduti, ha
invertito la rotta. «Chiudiamo tutto i per ripartire più sani», il 20 marzo.
Segue la svolta mistica per catturare i fedeli smarriti («La scienza non basta,
occorre la protezione del Cuore Immacolato di Maria», 4 aprile, Skytg24). Fino
alla richiesta esplicita di aprire le chiese per Pasqua, sulla quale venne
fulminato dalle gerarchie cattoliche, oltre che dalla comunità medica. Gli
scienziati dicono che per la scuola se ne riparlerà (forse) a settembre? Il
leader populista ancora ieri rilanciava: «Se ripartisse l’11 maggio, i miei
figli li manderei». Una affannosa incursione in terreni non suoi, lontanissima
dalla «necessaria ricerca di soluzioni condivise e responsabili» predicata
ancora due giorni fa alla Camera da Giancarlo Giorgetti, anima raziocinante
della Lega.
Adesso, l’unico mantra del capo è la riapertura. In tandem con Fontana,
come sospetta il governo Conte. Non certo con Luca Zaia. Perché se c’è una
costante nella narrazione salviniana (e dunque social) degli ultimi 40 giorni,
è quella che lo ha portato a ignorare e oscurare i successi sul campo del Doge
veneto. Più i contagi si riducevano nel Nordest, più il capo della Lega
esaltava il "modello lombardo". Non esattamente vincente, numeri alla
mano. Non a caso, se si considera che quello di Zaia per Salvini è lo spettro
di un antagonista politico interno da sempre sofferto e subito. Se dalla curva
dell’emergenza il governatore veneto uscirà da trionfatore, come sembra, la sua
ombra diventerà ancor più ingombrante per il capo.
La Repubblica, 17 aprile 2020
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