di EMANUELE LAURIA
«I luoghi comuni sulla Sicilia sono stati sbaragliati dall’evidenza dei
numeri». Con pragmatismo americano, l’americano Ignazio Marino racconta la
lezione che l’Isola ha impartito in uno dei momenti più drammatici della storia
recente. Da Filadelfia, il cardiochirurgo che oggi è vicepresidente della
Thomas Jefferson University dopo l’esperienza in Parlamento e alla guida del
Comune di Roma, torna a parlare della Sicilia non lesinando apprezzamenti per
le «scelte illuminate» fatte da chi governa il sistema sanitario, e per le best
practices di amministratori e cittadini che hanno limitato il diffondersi
dell’epidemia ma anche ribaltato, da Sud verso Nord, il concetto di solidarietà
nazionale. Ma la leva della memoria solleva ricordi commossi, dalle estati da
ragazzo profumate dai gelsomini di Stazzo, frazione di Acireale, all’esperienza
da pioniere all’Ismett, dal grande rapporto con il cardinale Pappalardo segnato
da lunghe telefonate alle quattro del mattino a quello con il sindaco Orlando
«che mi inserì di diritto nel suo personale repertorio dei pazzi». È un veloce
viaggio all’incontrario fatto sfiorando appena le delusioni del Campidoglio.
Una dedica accorata alla Sicilia, sua terra adottiva, con il puntiglio dello
scienziato che manda le risposte nella notte statunitense e precisa: «Mi
raccomando, non cambi una virgola».
Professore Marino, oggi lei lavora negli
States, dopo la lunga e sofferta parentesi politica. Cosa ricorda con maggior
piacere e cosa con disappunto della sua esperienza siciliana?
«I ricordi più cari sono legati alle persone. Il direttore amministrativo del Civico, Giovanni Giannobile,
determinante nel fondare l’Ismett, gli infermieri che selezionai, donne e
uomini straordinari e, soprattutto, i pazienti. Il contatto non si è mai
interrotto. Alcuni vennero a trovarmi in Campidoglio e tutti continuano a
sottopormi le loro analisi. Una bimba che subì un trauma espatico terribile
oggi è una giovane donna che spesso mi chiede consigli. Un’adolescente
moribonda per una devastante emorragia, che riuscii a salvare con un intervento
al fegato più complesso di un trapianto, oggi è un avvocato madre di due bimbe.
Una ragazza che trapiantai due volte di fegato tutt’oggi mi invia, ogni anno,
le sue arance. E come dimenticare il contadino settantacinquenne di
Caltabellotta? Mesi dopo l’intervento si ripresentò con una bottiglia del suo
olio. Quel tipo di riconoscenza è un privilegio raro, impagabile. Non ho
ricordi brutti. Ho una memoria selettiva e non ricordo nulla che causi
disappunto o dolore».
Che rapporto ha oggi con la Sicilia? Le
capita di tornarci?
«Da bambino trascorrevo l’estate a Stazzo. La domenica sera la nonna mi
dava il gelo di melone preparato con i fiori di gelsomino. Quel gelsomino
esiste ancora e ha un tronco grande come un albero. Se chiudo gli occhi ne
percepisco il profumo. E il mare: i suoi colori, il suono delle onde, per me
nato a Genova era un tripudio di armonia. Ricordo la tristezza che mi avvolgeva
quando dovevo salire sul treno per tornare in Liguria, una terra che adoro ma
che in quei momenti rappresentava la separazione dalla Sicilia. Peccato che
oggi non abbia la possibilità di trascorrere estati così».
Qual è la figura siciliana alla quale
rimane maggiormente legato?
«Senza dubbio il cardinale Salvatore Pappalardo. Un uomo e un sacerdote
straordinario. Quando lasciai Palermo mi regalò lo scrittoio rosso che
aveva utilizzato nella Cappella Sistina durante il secondo Conclave del 1978.
Ci infilò dentro una lettera scritta su un ritaglio di carta assorbente. Cose
antiche, vero? Lo utilizzo ancora oggi. E poi la mia amicizia con Leoluca
Orlando: siamo diversi ma anche molto simili e mi onora essere annoverato nel
suo personale "Repertorio dei pazzi di Palermo". Senza di essi
l’Ismett non sarebbe nato. E ancora mi piace ricordare il forte legame nato a
Palermo con due uomini che ammiro moltissimo: Giancarlo Caselli e il generale
Roberto Jucci».
Nel periodo della sua presenza in Sicilia,
l’Ismett si impose come punta d’eccellenza della sanità non solo isolana. Negli
anni successivi, secondo lei, quella fama si è consolidata?
«Fondai l’Ismett con l’ambizione di realizzare un centro di eccellenza e
una guida innovativa per l’Italia. Molti ricordano le polemiche quando nel
luglio 2001 trapiantai, per la prima volta, un paziente Hiv
positivo. L’Italia dovette cambiare le norme e riconoscere
scientificamente corretto trapiantare i sieropositivi. Eravamo una squadra
piccola ma affiatata, con Aldo Doria, Salvo Gruttadauria, Augusto Lauro e il
miglior anestesista cha abbia incontrato nella vita, Victor Scott. Tutti
professionisti straordinari, a cominciare da Aldo, oggi uno dei migliori
chirurghi degli Stati Uniti. L’Ismett resta un centro di eccellenza e spero che
quello spirito sia rimasto».
L’emergenza Covid ha investito anche la
Sicilia, seppur fortunatamente in modo meno pesante rispetto ad altre regioni,
soprattutto del Nord. Si è fatta un’idea sul perché di questa diversa
diffusione del virus?
«Non ho una risposta unica: si tratta di diversi fattori. Trascorsa la fase
emergenziale della pandemia, la letteratura scientifica sarà ricca di analisi
dalle quali trarre utili lezioni.
Dal punto di vista scientifico e della salute pubblica in Sicilia sono
state fatte scelte illuminate, come dedicare alcune strutture
esclusivamente ai pazienti Covid-19, limitando il contagio e concentrando le
risorse».
Il contagio non è dilagato malgrado il
temuto ritorno di trentamila "emigrati", studenti e lavoratori,
tenuti poi nell’Isola a rispettare la quarantena. E nell’Isola, al di là di
qualche episodio folkloristico, sono stati rispettati divieti anche più rigidi
di altre regioni. Qualcuno si è detto stupito che dal Sud sia giunta questa
lezione. Lo è anche lei?
«Il merito è dei siciliani che hanno risposto con grande responsabilità
adottando tutte le necessarie misure di distanziamento sociale. I luoghi comuni
sul Sud sono stati sbaragliati dall’evidenza dei numeri».
In Sicilia sono stati ospitati e guariti
pazienti gravi giunti dalla Lombardia. È un segnale capovolto della solidarietà
nazionale o la prova di una inattesa efficienza della tanto bistrattata sanità
isolana?
«Certamente è prova di generosa solidarietà: caratteristica dei siciliani.
Ma soprattutto la dimostrazione del valore dell’articolo 32 della Costituzione
che garantisce cure a tutti sul territorio nazionale. All’inizio dell’epidemia
negli Usa alcuni Stati rifiutarono il trasferimento dalla rianimazione di donne
in gravidanza, e intubate, provenienti da altri Stati. Situazioni isolate ma
che fanno riflettere sul valore del Servizio sanitario nazionale italiano. È un
concetto non popolare nelle amministrazioni delle Regioni italiane, ma la
frammentazione dell’assistenza sanitaria voluta dal Parlamento nel 2001 deve
essere cancellata».
Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime
settimane dall’emergenza Covid? Alcuni scienziati sostengono che un eventuale
dilagare dell’infezione in Africa possa coinvolgere anche i paesi che si
affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo. È una preoccupazione che
condivide?
«Previsione drammatica ma possibile».
In ultimo, professore, cosa le manca
dell’Italia e della Sicilia? C’è qualcosa che rimpiange anche di un’esperienza
politica finita per lei nel modo più doloroso, con la bufera sulle spese di
rappresentanza che ha causato la sua decadenza da sindaco di Roma?
L’assoluzione della Cassazione per quelle vicende la considera un giusto
riscatto?
«Oggi sono tornato negli Stati Uniti ma l’Italia resta il Paese in cui sono
cresciuto. Ho affetti importantissimi, che mi mancano. Mi manca anche ciò che
non sono riuscito a concludere.
Ma amo Philadelphia e la mia professione. Ho sempre apprezzato l’etica del
lavoro, la meritocrazia e lo spirito di squadra dell’ambiente accademico
americano. Non mi manca, invece, certa
politica italiana. Quella che considera il potere un sostantivo e non come un
verbo, poter fare, poter cambiare. Ho sempre agito eticamente. La decisione
della Cassazione che ha dichiarato "infondate e fantasiose" le
indagini nei miei confronti, mi ha fatto piacere ma non cancella anni di
sofferenza per la mia famiglia, i miei amici e i miei collaboratori. Questa
vicenda è adesso narrata in un documentario di Francesco Cordio, Roma Golpe
Capitale, che Own Air propone gratuitamente sulla piattaforma Vimeo. Però per
me la vita non è mai quella di ieri, forse nemmeno quella di oggi. È sempre
domani. E domani andrà ancora meglio. Ne sono certo».
La
Repubblica Palermo, 26 aprile 2020
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