VERONA — Come le rondini e le mimose, hanno sempre riportato il sole
negli occhi. La primavera del grande virus invece minaccia di tenersi anche le
fragole. «Domani avrei cominciato a raccogliere le prime — dice Franco
Giacopuzzi, 64 anni, contadino di Buttapietra — ma non ci sono più mani. Alcune
serre le ho abbandonate, in altre ci penserà il caldo a cuocere la marmellata.
I frutti marciscono tra le foglie: l’epidemia può fare una strage anche in
campagna ». Dalla Bassa Veronese, in questi giorni, sono sempre partite le
primizie per le tavole del Nord Italia e dell’Europa. Distese di fragole e di
asparagi, le prime zucchine con il fiore, agretti e misticanze, tra un mese
ciliegie e piselli. Era il via alla stagione padana della frutta e delle
verdure, della semina nei campi. Oggi, tutto fermo e terreni deserti. Le
primizie di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, sono assediate dalle erbacce.
«Le aziende agricole venete — dice Giacopuzzi — sono 65 mila. Solo la raccolta
di fragole, asparagi e radicchi dava lavoro a 7 mila stagionali. Rumeni,
polacchi, bulgari e ucraini un mese fa sono rientrati in patria. Ora le
frontiere sono chiuse, loro bloccati. Se anche potessero arrivare, li
aspetterebbe la quarantena. Butterò gran parte delle mie fragole: non c’è
nessuno per raccoglierle». Fa male. Tonnellate di cibo e mesi di lavoro al
vento.
Solo in Veneto 24 mila ettari di orti e frutteti, 70 mila stagionali
assunti ogni anno, prodotti per 5,7 miliardi. Le fragole occupano 530 ettari,
460 in serra, affari per 29 milioni di euro. «Queste — dice Giacopuzzi — sono
le settimane cruciali. Primi raccolti, semine, innesti delle barbatelle, ultime
potature, trattamenti prima della fioritura. Se ti mancano le braccia, perdi
l’annata. Per i giovani significa fallire, per i vecchi chiudere per sempre
aziende secolari. Preparare un ettaro a fragole costa 25 mila euro: se non
le prendi non solo non guadagni, ma li hai persi». Le conseguenze dell’epidemia
tra i contadini dilagano. In Italia mancano 370 mila braccianti stranieri, il
27% del lavoro necessario. «Siamo malati diversi — dice Antonio Tesini,
presidente della cooperativa Ca’ Magre di Isola della Scala — ma anche noi
adesso rischiamo la vita. Se non puoi raccogliere e vendere ciò che coltivi,
devi smettere. Se smetti non mangi: a meno di non cedere la tua campagna». Per
i coltivatori diretti il problema non è solo la mancanza di operai. Da un mese
e chissà fino a quando, stop anche ai mercati all’aperto. «Uno scandalo — dice
Tesini — che favorisce grande distribuzione e speculazioni. Siamo costretti a
svendere settanta tipi di verdure, o a lasciarle appassire nella terra.
Mantenendo le distanze e con le necessarie protezioni, anche noi contadini
abbiamo il diritto di offrire i nostri generi di prima necessità. Presto
parleremo delle famiglie ridotte in povertà». Non marciscono solo le
fragole di Verona e gli asparagi di Vicenza e Padova. A Marcòn, nel Veneziano,
Michele Sabbadin non trova persone per raccogliere uova e macellare polli. «Un
lavoro faticoso — dice — e qualificato: gli ita liani non sanno più farlo». A
Cavallino e sulle isole della laguna non c’è gente per tagliare castraure, i
primi carciofi violetti e presto i fagiolini. A Chioggia rischia la catastrofe
il radicchio. «Dovevamo iniziare prima di Pasqua — dice Giuseppe Boscolo Palo,
presidente del consorzio e del mercato ortofrutticolo — 200 aziende e 45% della
produzione italiana. Senza manodopera è impossibile. Vedremo distese di
compagne marcire e in balìa dei parassiti. Colpa anche di chi mangia: prima ha
fatto razzia di prodotti freschi, adesso acquista solo scatole e roba
surgelata. La nostra frutta e la nostra verdura, come il latte, vanno in malora
mentre in tavola arriva cibo da Grecia, Spagna ed est Europa». Se i contadini
italiani falliscono, chi garantirà il cibo quando anche il flusso
dall’estero si fermerà, come già succede in Germania e Francia? «C’è solo
una strada — dice Gianmichele Passarini, presidente di Confagricoltura Veneto —
ed è quella dei voucher fino a emergenza Covid-19 finita. Siamo travolti da due
cicloni: la paura che tiene lontani gli stagionali stranieri e il blocco
culturale che ha scavato un solco tra la terra e i giovani italiani.
L’epidemia, però, in queste settimane toglie lavoro e tempo libero a milioni di
persone: pensionati, licenziati, disoccupati, studenti, cassintegrati, migranti
e beneficiari del reddito di cittadinanza. Siamo in guerra e dobbiamo
combattere: superando burocrazie e lentezze queste persone devono poter dare
una mano per salvare le campagne». Ciliegi, peschi e albicocchi qui sono in
fiore, presto i frutti saranno maturi. L’assenza di braccianti impedisce anche
di curare le piante, di mantenere le stalle e mungere le vacche. «Il cibo però
— dice Giovanni Pasquali, direttore regionale di Coldiretti — vale la sanità. Se
vogliamo vivere, alla task-force negli ospedali adesso deve corrispondere
quella nelle campagne. Non basta l’aiuto dei parenti fino al sesto grado.
Ricevo centinaia di telefonate da chi cerca lavoro. Abbiamo cominciato a
mettere in contatto disoccupati e contadini, almeno tra provincie confinanti.
La natura non può aspettare: se i voucher non sono possibili, il governo
agevoli i contratti a termine. Con il Paese in ginocchio abbandonare anche
l’agricoltura sarà un errore storico». Dalle primizie, in calo fino al 70%, ai
vini, che segnano già un meno 40%: nelle campagne dominano macchine e
tecnologia, ma senza uomini tutto si ferma. Franco Giacopuzzi guarda le sue
fragole, già croccanti, e dice: «Colpa nostra. Da decenni non spieghiamo che il
cibo nasce dalla terra, non dal carrello. Così adesso c’è fame, ma le primizie
del Nord marciscono: non sappiamo perché il virus uccide, ma nemmeno da dove
nasce la vita».
Nessun commento:
Posta un commento