Stoccolma |
di CARLO RUTA
(storico e saggista)
Sembra che il caso Svezia stia diventando davvero imbarazzante. Si insiste
ad accusare il governo del socialdemocratico Stefan Löfven di condotte
irresponsabili e perfino vergognose. Ma in realtà quello svedese rimane un
punto di vista che se valutato senza facili compiacimenti e senza
demonizzazioni, può fornire elementi utili alla comprensione di quel che accade
realmente.
Occorre precisare per prima cosa che l’atteggiamento svedese non ha nulla
d’inspiegabile, anzitutto sotto il profilo storico. Appare in linea infatti con
le tradizioni lunghe di popolazioni nordeuropee che in diversi contesti epocali
hanno affrontato situazioni estreme, non di rado catastrofiche, dando prova di
una temerarietà inusuale, senza perdere tuttavia quell’ethos solidale che ha permesso
loro di resistere, mantenere i propri caratteri identitarî e raggiungere
perfino traguardi importanti.
Si pensi, ad esempio, alle grandi migrazioni
scandinavo-germaniche di età antica e tardo antica, che interagirono fortemente
con la vicenda romano-imperiale e poi ricostruttiva dell’Europa mediterranea.
Si pensi, ancora, alle imprese marinare vichinghe dell’età di mezzo, che, non
meno temerarie, ebbero tra l’altro un ruolo di prim’ordine nel progresso delle
culture materiali, nautiche in primo luogo, nell’esplorazione di varie aree
dell’ecumene e negli scenari politici europei di quelle epoche. Il riferimento
storico finisce comunque qui perché solo i fatti di oggi possono dire qualcosa
sui paradigmi e sulle loro conseguenze.
Esplosa l’emergenza Covid 19, il governo svedese ha deciso di non ricorrere
a misure severe di limitazione delle libertà individuali, adottate, oltre che
dalla Cina, da numerosi paesi, a cominciare dall’Italia, primo grande focolaio
europeo dell’infezione. Ha deliberato, in particolare, l’amministrazione di
Stefan Löfven, la chiusura di scuole di diverso ordine e grado, ha deciso di
porre delle limitazioni per evitare gli affollamenti, ha suggerito poi una
serie di regole di condotta, ma qui si è fermato, confidando, per il resto, nel
senso di responsabilità dei cittadini. E da questa opzione ha avuto origine la
campagna denigratoria in atto, che davvero, dando una scorsa ai numeri,
dimostra di non avere alcun appiglio.
La situazione svedese viene presentata, in Italia in particolare, ed è un
paradosso, come una catastrofe assoluta, una situazione finita del tutto fuori
controllo, che ha causato un numero spropositato di contagi e di morti. Si
grida perciò allo scandalo morale, di uno Stato che starebbe sacrificando la
vita dei propri cittadini per salvaguardare l’economia. In realtà, occorre
dirlo con chiarezza, i dati emergenti vanno in altra direzione. I morti
risultano essere circa 1.200, su 10 milioni circa di abitanti: un numero di
certo significativo, che tuttavia risulta piuttosto contenuto se confrontato
con quello di altri paesi del Continente in cui è stato decretato l’isolamento
sociale, il cosiddetto lockdown. L’Italia, con i suoi oltre 60 milioni di
abitanti, conta, secondo i dati del 16 aprile, oltre 21.000 morti, cioè, in
rapporto alla popolazione, una cifra tre volte superiore a quella svedese. La
Spagna presenta una situazione analoga, con oltre 17.000 morti da contagio, su
47 milioni di abitanti, e nella stessa direzione si muovono Regno Unito e
Francia. Particolarmente istruttivo è poi, tra i paesi del Nord Europa in cui
vige un severo lockdown, il caso del Belgio, che, con oltre 5.000 morti su
appena 11 milioni di abitanti, registra un dato quattro volte superiore a
quello svedese, senza suscitare alcuno scandalo morale.
Appare infine risibile il confronto che viene operato, per dare slancio al
presunto «scandalo svedese», con altri paesi scandinavi, quando appare ben
chiaro che il contagio si sta manifestando ovunque in maniera disomogenea, da
regione a regione, da paese a paese, perfino all’interno dei paesi. Il Belgio
presenta un quadro epidemico devastante al cospetto degli altri Paesi Bassi,
pur avendo adottato tutti misure analoghe di contenimento. La Lombardia
presenta una vera e propria ecatombe rispetto alla regione laziale, pur
sottoposte entrambe alle stesse misure di isolamento sociale. Allora, è il caso
di chiedersi, pensosamente: perché non si pone fine a questo insulto
continuato?
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