La storica foto della cattura di Luciano Liggio (Biagio Melita è alla destra di Liggio; alla sinistra il commissario Angelo Mangano) |
Oggi, 29 marzo 2020, ricorre il 40° anniversario della scomparsa del Maresciallo di Pubblica Sicurezza Biagio
MELITA, il poliziotto che amava Corleone e difendeva i corleonesi onesti. “U zù
Biagio” (così lo chiamavano tanti corleonesi) era un poliziotto stimato dai
cittadini onesti, costretti a subire giornalmente furti, rapine ed estorsioni dai
mafiosi. Di Melita e delle sue qualità
professionali hanno parlato tanti giornalisti, attraverso i loro articoli, delineandone
la figura umana e di swervitore dello Stato. Una parte importante della serie
televisiva “il capo dei capi” si è ispirata a lui, il poliziotto buono Biagio (il
nome non è casuale) “Schiro”.
Un oprimo piano di Biagio Melita |
Recentemente è stato ritrovato (in copia) il
carteggio relativo alla riapertura dell’indagine sull’assassinio del
sindacalista corleonese Placido Rizzotto, a cui lavorò il commissariato di
Corleone e Biagio Melita in particolare. L’input lo diede l’allora commissario Angelo
Mangano, dopo l’arresto del giovane Totò Riina (nel novembre del 1963) e di
Luciano Liggio (il 14 maggio 1964), che volle rilanciare ed approfondire le
indagini su una serie di omicidi commessi da Luciano Liggio e dalla sua banda,
prima dell’arresto.
All’epoca Biagio Melita era brigadiere di P.S.
e venne incaricato proprio dal dirigente del commissariato, suo inseparabile
collega, il mitico commissario Angelo Mangano, di indagare sull’omicidio di
Placido Rizzotto, rimasto (come tanti altri) insoluto. Com’era suo costume, Melita
si mise all’opera, instancabile. Iniziò ad indagare sull’omicidio del
sindacalista, riprendendo le indagini che all’epoca avevano condotto a Luciano
Liggio, Vincenzo Collura e Pasquale Criscione, quali esecutori materiali ed a
Michele Navarra, in qualità di mandante dell’omicidio.
Tra le carte si trovano gli appunti autografi
di Biagio Melita, con le persone da convocare per essere sentite e gli
indirizzi segnati accanto: Salvatore Iannazzo, Antonino Rizzotto, Carmelo
Rizzotto, Leoluca Orecchione, Salvatore Listì, Leoluca Benizio, Marianna
Criscione, Vincenzo Collura. E poi ancora Pietro Lisiotta, Antonino Maiuri,
Biagio Criscione, Angelo Vintaloro, Antonino Mancuso Marcello (questi ultimi,
all’epoca, tutti in galera). Tutti personaggi legati alla vicenda Rizzotto,
alcuni come parte lesa, altri come autori o complici del sequestro e dell’assassinio
del sindacalista.
Il commissariato allora era ubicato in via Spatafora
(nelle case Mancuso). Vennero convocati e sentiti formalmente in commissariato,
amici, parenti e testimoni della vicenda. Vennero sentiti anche Pasquale
Criscione e il padre di Placido, Carmelo Rizzotto. Vennero ascoltate le guardie
di P.S. Sanzio e Giuffrida, in servizio al commissariato di Corleone all’epoca
della scomparsa di Placido Rizzotto. Furono recuperati i rapporti di polizia e
dei carabinieri del 1948 e degli anni successivi.
Il 21
maggio 1964 rese le sue dichiarazioni Giuseppe Letizia sr., il papà del
pastorello Giuseppe “Rocco” (come lo chiamavano in famiglia), che Navarra fece
avvelenare perché testimone dell’omicidio Rizzotto. Letizia sr. era originario di
Monte Erice ed aveva 68 anni quando fu chiamato per rievocare la tragedia di
cui fu vittima il figlio. Il padre del pastorello raccontò di avere lasciato il
figlio, che in famiglia chiamavano Rocco, anche se all’anagrafe era stato
registrato come Giuseppe, la sera del 9 marzo 1948 in contrada Malvello. Il 12
marzo successivo il padre tornò a Malvello per riportare a casa il figlioletto,
ma lo trovò febbricitante. Rimasero entrambi in campagna perché il malessere
non sembrava grave. Ma il giorno dopo il ragazzino stava ancora più male ed il
padre lo accompagnò in ospedale dal dott. Michele Navarra, che, dopo averlo
visitato lo mandò a casa non riscontrandogli alcuna patologia grave. Permanendo
lo stato febbrile, il 14 marzo venne chiamato a casa Letizia il Dott. Ignazio
Dell’Aira, braccio destro di Navarra, «il quale disse che il bambino stava bene,
ma siccome era in preda a smanie gli somministrò un solo cucchiaio ed una volta
sola, un calmante». Il famoso “serenol”, che era un potente calmante. Il
piccolo Letizia morirà poco dopo, alle 22.30 di quella stessa sera del 14 marzo
1948.
Alle precise domande di Melita, che l’interrogò
il 21 maggio del 1964, 16 anni dopo il tragico fatto, il padre rispose che nessun
altro medicinale venne somministrato al figlio dal dott. Dell’Aira o da qualche
altro medico al bambino, tranne il calmante sopra indicato. Ad una nuova incalzante
domanda Giuseppe Letizia, padre del pastorello, rispose: «All’epoca la voce pubblica fece risalire la morte del mio figliolo a
subdola soppressione da parte dei medici curanti perché il bambino era stato
involontario testimone del grave fatto di sangue consumato in danno del
sindacalista Placido Rizzotto ed aveva avuto il torto di aver pronunziato,
nello stato di smania e di agitazione che aveva preceduto la sua morte, i nomi
dei presunti assassini di Rizzotto stesso. Io, in coscienza, non posso né
confermare né smentire tale voce pubblica in quanto ritengo che mio figlio,
durante la sua permanenza solitaria in Malvello, abbia potuto anche assistere
al grave fatto di sangue in parola. Una cosa è certa ed è che lo stato di
agitazione e di allucinazione in cui il
mio figliolo visse le sue ultime ore terrene dovettero presupporre un
terribile sogno o una triste realtà». Dichiarazioni interessanti, che
costituiscono una raccapricciante cronaca della morte di un bambino innocente,
testimone di un efferato delitto di mafia. Il padre non dice, ma non se la
sente di negare, anzi sembra a modo suo di suggerire una pista…
Biagio Melita rimase scosso e sconcertato
dall’esito delle indagini, che consegnò al Commissario Fernando Valentini, che
nel frattempo aveva sostituito Mangano. Pertanto venne redatto un rapporto
informativo all’Autorità Giudiziaria. Il rapporto iniziava illustrando
l’omicidio di Placido Rizzotto ed il contesto sociale nel quale era stato
consumato. Elementi significati ed innovativi rispetto all’inchiesta
immediatamente successiva all’omicidio sono essenzialmente due: il primo, che
la soppressione di Placido Rizzotto avvenne in contrada Malvello, territorio di
Monreale a sud-ovest da Corleone, e non su Rocca Busambra, dove poi venne
semplicemente gettato ed occultato il cadavere; il secondo, forse anche più
importante, che il piccolo Giuseppe Letizia (detto Rocco) ne fu testimone
oculare. Questa circostanza il padre, a 16 anni di distanza, con Navarra morto
e con Liggio in carcere, non si sentì di escludere.
Nel rapporto era scritto: «Non vi sono dubbi che la soppressione del
Rizzotto è stata operata in C.da Malvello. Un particolare molto eloquente e che
all’epoca è stato trascurato, è costituito dalla morte del piccolo Letizia
Giuseppe di Giuseppe. Il padre del predetto ragazzo, Letizia Giuseppe fu Rocco,
dichiara a verbale (vedasi allegato 7) di avere trovato il figlio febbricitante
in contrada Malvello, dove lo aveva lasciato il giorno nove precedente. Il
piccolo accusava dolori in più parti del corpo. Il dr. Navarra, visitato il
bambino in paese non gli riscontrava alcun male. A questo punto si nota la
diffidenza dei familiari sul giudizio del predetto sanitario. Infatti si rivolgono
al dr. Dell’Aira, ma anche questo conferma la diagnosi di Navarra ed il piccolo
Letizia, dopo aver ingerito un cucchiaio della medicina prescritta, muore. Il
bambino raccontava ai familiari, anche davanti al sanitario, che la sera del
giovedì, 11.03.1948 (il giorno successivo alla scomparsa di Placido Rizzotto)
mentre dormiva nella casa colonica di Malvello aveva sognato che Francesco
Cammarata aveva sparato colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di Benizio Leoluca.
Lo stesso bambino accusava al Dott. Dell’Aira, un dolore in corrispondenza
delle costole di cui non sapeva spiegare le cause. Le conclusioni sono semplici:
il bambino era stato testimone del grave delitto. Se si fosse trattato di un
sogno appena svegliato l’incubo sarebbe finito. Il racconto del bambino era la
realtà vissuta, come realtà erano i dolori che accusava, evidentemente per
percosse subite dopo il delitto consumato da Liggio, Criscione e Collura. In
seguito alle percosse ed allo spavento e di quanto era stato testimone, era
stato colpito da delirio febbrile. Il padre, certamente ignaro del grave reato
consumato dalle persone indicate sopra, rendeva edotto del racconto del figlio
i due medici i quali temendo che tale episodio potesse fare incriminare gli autori,
seguaci della cosca mafiosa del Navarra, hanno soppresso il minore”.
Il rapporto all’Autorità Giudiziaria si
concludeva: “L’opinione pubblica, sia
allora che oggi indica implacabilmente nelle persone di Leggio Luciano, Pasqua
Giovanni, Collura Vincenzo, Criscione Pasquale, Benizio Leoluca e Cammarata
Francesco Paolo gli esecutori materiali della soppressione di Placido Rizzotto.
LO confermano i verbali di interrogatorio delle seguenti persone in atti
generalizzati: Rizzotto Carmelo, Di Palermo Giuseppe, Siragusa Giuseppe….”.
Purtroppo, neanche queste indagini e il relativo rapporto ebbero esito. E il
delitto rimase impunito. Resta la soddisfazione che le indagini per
ritrovare i resti di Placido Rizzotto, occultati della “ciacca” di Rocca
Busambra, furono portati avanti e conclusi brillantemente (tra il 2007 e il
2009) da Antonino Orazio Melita, figlio di Biagio, e anch'egli poliziotto in servizio al commissariato di Corleone. La comparazione del DNA
avrebbe consentito nel 2012 di avere la certezza che i resti umani ritrovati a
Rocca Busambra fossero quelli di Placido Rizzotto. Il 24 maggio dello stesso anno
a Rizzotto furono celebrati nella Chiesa Madre di Corleone i funerali di Stato,
alla presenza delle massime autorità civili, militari e religiose e del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Biagio Melita riposa nel cimitero della città
di Corleone, nella tomba di famiglia, insieme alla sua adorata moglie. In vita
difese sempre i cittadini onesti corleonesi e si distinse per correttezza e generosità.
I suoi rapporti terminavano sempre sottolineando il dramma sociale che viveva
la città di Corleone per le “scorrerie,
furti, rapine e omicidi commessi dai mafiosi contro la pacifica e laboriosa popolazione corleonese”
Morì a soli 55 anni per una malattia
contratta a causa dei gravosi servizi resi allo Stato. In un epoca storica dove
cittadini, politici locali e soprattutto i giovani, sono alla ricerca di figure
positive che hanno operato nel nostro territorio, il poliziotto Biagio Melita ed
il suo esempio professionale, personale e familiare sono da inserire tra le
eredità morali e civiche più importanti della nostra città. Probabilmente è
arrivato il tempo affinchè la città di Corleone dedichi all’onesto e bravo
poliziotto una strada o una piuazza, per indicarlo come esempio alle nuove
generazioni.
Dino Paternostro
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