di Caterina Pasolini
Oggi (nella piazza virtuale) la giornata di Libera in ricordo delle vittime
Il virus non ferma l’impegno, la lotta alle
mafie, che dalle strade vuotate dalla pandemia, corre sui social e nelle
coscienze di chi non dimentica.
«Il senso di solidarietà ritrovato in questi giorni non deve far scordare
le ingiustizie sociali, i diritti negati, la corruzione, un sistema economico
che non ha fatto molto per impedire la presenza delle mafie. Questa vicinanza
riscoperta, tra telefonate e canzoni al balcone, deve sopravvivere al virus.
E trasformarsi per costruire domani un mondo più giusto, umano, senza muri». Così don Luigi Ciotti, 74 anni, fondatore di Libera, l’associazione che si batte contro le mafie, e che oggi per la prima volta da quando è stata fondata, 25 anni fa, non sarà in piazza.
E trasformarsi per costruire domani un mondo più giusto, umano, senza muri». Così don Luigi Ciotti, 74 anni, fondatore di Libera, l’associazione che si batte contro le mafie, e che oggi per la prima volta da quando è stata fondata, 25 anni fa, non sarà in piazza.
Non ci saranno cortei a celebrare la Giornata in ricordo delle vittime
innocenti delle mafie. Il coronavirus ha costretto tutti a casa, e così Libera
ha deciso di ricordarle attraverso una campagna sui social, con le loro storie,
i loro nomi.
«Dobbiamo scrivere i loro nomi, uno per uno anche nelle nostre coscienze,
perché il loro nome è come uno scrigno che racchiude vite, speranze, sogni,
emozioni», sottolinea don Ciotti. Lo si potrà fare dalle 9, scegliendo
dall’elenco sul sito vivi.libera.it il nome di una vittima a cui dedicare un
fiore, facendosi un foto e postandola sui social. Oppure dedicando alle otto di
sera «un minuto di silenzio e preghiera da vivere in casa propria, in comunione
con tutti i cristiani e le comunità di altre religioni, come testimonianza
condivisa di una fraterna solidarietà».
Perché c’è bisogno dell’impegno di tutti: «Le mafie sono ancora forti e la
lotta chiede un nuova consapevolezza. Bisogna capire che per vincerle, il
contrasto prima che repressivo deve essere sociale, educativo culturale se
vogliamo arrivate ad una giustizia vera, ad una vera eguaglianza», dice il
sacerdote. Evidenziando che tutto ciò può avvenire solo insieme, solo uniti.
«Da soli si può solo desiderare, sperare si declina al plurale. Perché la
speranza è di tutti o non è speranza».
La Repubblica, 21 marzo 2020
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