lunedì, marzo 09, 2020

“Lo Stupro”: la violenza e il coraggio di Franca Rame, eroina moderna armata solo di parole

Franca Rame

Era il 9 marzo 1973 quando Franca Rame fu stuprata. La fecero salire a forza su un camioncino cinque esponenti dell’estrema destra, pedine di un gioco malato architettato da alcuni ufficiali dei Carabinieri per punire “la compagna di Dario Fo”, attrice teatrale, drammaturga, politica, attivista. Una donna scomoda, che parlava quando doveva stare zitta, che non sapeva tacere su quello che non andava e non funzionava. Che aveva prestato la sua voce prima all’Organizzazione Soccorso Militare e poi, negli anni Settanta, al movimento femminista. Una donna che doveva imparare a stare al suo posto.


Le spaccarono gli occhiali, le tagliarono viso e corpo con una lametta, – una maschera di sangue -, le bruciarono la pelle con le sigarette e la violentarono a turno. Per quello stupro non c’è mai stata nessuna condanna, ma solo la prescrizione, a 25 anni dal fatto, nonostante nel 1987 due fascisti, Angelo Izzo e Biagio Pitaresi, rivelarono al giudice Salvini che a compiere lo stupro fu una squadraccia neofascista e soprattutto che l’ordine di “punire” Franca Rame con lo stupro venne dall’Arma dei Carabinieri. Nonostante la testimonianza di Nicolò Bozzo, che sarebbe diventato stretto collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa e che al tempo dei fatti era in servizio presso la divisione Pastrengo.

Arrivò la notizia del sequestro e dello stupro di Franca Rame. Per me fu un colpo, lo vissi come una sconfitta della giustizia. Ma tra i miei superiori ci fu chi reagì in modo esattamente opposto. Era tutto contento. «Era ora», diceva.[…] Era il più alto in grado: il comandante della “Pastrengo”, il generale Giovanni Battista Palumbo. […] Allora io vissi quella reazione di Palumbo solo come una manifestazione di cattivo gusto. Credevo che il generale fosse piacevolmente sorpreso della notizia, nulla di più. D’altronde Palumbo era un personaggio particolare, era stato nella Repubblica Sociale, poi era passato con i partigiani appena prima della Liberazione. Non faceva mistero delle sue idee di destra. E alla “Pastrengo”, sotto il suo comando, circolavano personaggi dell’estrema destra, erano di casa quelli della “maggioranza silenziosa” come l’avvocato Degli Occhi.

Ma secondo Nicolò Bozzo lo stesso generale Palumbo non sarebbe il responsabile primo dell’ordine di stuprare Franca Rame, quanto l’esecutore di «una volontà molto superiore». È in quella terra di nessuno dove negli anni Settanta si incontravano e mescolavano terroristi e apparati dello Stato che matura la decisione di colpire Franca Rame. E di colpirla in quanto donna, rubandole qualcosa che non si può vedere né toccare: la dignità.

Ma la Rame non ha mai smesso di difenderla, la sua dignità. La sua e quella di tutte le altre donne, uomini, bambini, persone, che siano mai stati oggetto di violenza. E lo ha fatto con le parole. Nel 1975 scrisse un monologointitolato Lo Stupro, che finirà poi nello spettacolo Tutta Casa, Letto e Chiesa. Sette minuti di dettagli chirurgici e sensazioni soffocanti, che negli anni ’80 l’attrice portò in televisione, alla RAI, davanti a milioni e milioni di persone, in anni in cui di violenza sessuale si parlava troppo poco.
Risale al 1979 Processo per stupro, il primo documentario su un processo per violenza sessuale mandato in onda dalla RAI: un caso mediatico, quello di Fiorella, che, tuttavia, non fece altro che dare luce al calvario che era – ed è, in alcuni casi, ancora oggi – per la vittima la denuncia dello stupro. A Fiorella gli avvocati chiesero se e in che modo era stata picchiata, se c’era stata fellatio cum eiaculatione in ore e altri dettagli sulla violenza, e se aveva mai avuto prima rapporti carnali con il principale imputato; chiesero inoltre alla madre della vittima come mai la figlia era andata ad un appuntamento con un uomo che non le aveva presentato e chiamarono a testimoniare amici degli imputati, che dichiararono che la ragazza, malgrado fosse fidanzata, s’intratteneva facilmente con altri uomini al bar. È proprio per evitare i soprusi e le violenze anche al momento della denuncia («Lei ha goduto?», «Ha raggiunto l’orgasmo?», «Se si, quante volte?») che Franca Rame disse di aver preso il racconto da una testimonianza che aveva letto su Quotidiano Donna.

E invece, ad aver subito violenza era stata proprio lei. E lo ha raccontato con coraggio, esorcizzando lo schifo, l’umiliazione, la paura, il silenzio, con le parole. Ha dimostrato con la sua arte che era più forte di ogni violenza e che non si sarebbe mai arresa al silenzio politico ed esistenziale. Che non avrebbe mai smesso di essere una donna scomoda e che soprattutto non avrebbe mai imparato a stare al suo posto. Perché il suo posto era lì: nel mondo, in mezzo alla gente.


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