Nella foto Placido Rizzotto (zio e
nipote), foto Gino Di Leo
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INTERVISTA al nipote
del partigiano-sindacalista siciliano: «il corpo di mio zio è stato fatto a
pezzi, perché doveva essere messo dentro delle bisacce per essere trasportato
in cima alla montagna, dove è stato buttato nella foiba. La Repubblica italiana
è nata malata per questa trattativa iniziale che ha condizionato pesantemente
la politica e l’economia della Sicilia e dell’Italia».
PAOLO DE
CHIARA
Sono passati 72 anni dalla morte violenta del sindacalista-partigiano (Brigata Garibaldi) Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone, presidente dei Reduci e Combattenti dell’Anpi, esponente del Psi e della Cgil.
È stato ammazzato il 10 marzo del 1948, per il suo
impegno, per il suo coraggio, per la forza di contrapporsi ai mafiosi
dell’epoca. Per difendere gli ultimi, i contadini e le terre in mano ai
prepotenti. I movimenti dei contadini, sostenuti da sindacalisti con la schiena
dritta, stavano mettendo in difficoltà il potere dei notabili e dei mafiosi. Lo
hanno fatto a pezzi, per dare l’esempio a tutti gli altri. Tra i responsabili
dell’omicidio Luciano Leggio (esecutore materiale), Vincenzo
Collura e Pasquale Criscione (complici), il
medico-boss di Corleone Michele Navarra (mandante). Quest’ultimo verrà
ammazzato dalla banda di Leggio, dove cominceranno a muovere i
primi passi due giovani delinquenti: Riina e Provenzano.
Ci sono voluti troppi anni per fare questi nomi, anche se tutti conoscevano le
facce dei responsabili. Ma come disse il bravo giornalista d’inchiesta Gianni
Bisiach nel suo famoso documentario, girato a Corleone nel 1962: «Il
silenzio proteggeva la vecchia mafia del feudo. Il silenzio difende la giovane
mafia che è nata nel dopoguerra per sfruttare la riforma agraria e la
costruzione di strade, dighe e canali ottenendo appalti e imponendo balzelli».
E Placido Rizzotto, il sindacalista “senza paura”, verrà ammazzato
nel dopoguerra, insieme a tanti altri uomini liberi. «È stato sequestrato a
Corleone – queste le parole del fratello Antonino, raccolte nel documentario
girato 14 anni dopo -, poi è stato ritrovato sulla Rocca Busambra (1.613 metri,
è la cima più alta della Sicilia occidentale), in una buca dove c’erano tanti
cadaveri». La sera del 10 marzo del 1948, spiega a Bisiach il padre
Carmelo, Placido viene ucciso a colpi di pistola e poi gettato dentro un
crepaccio profondo 60 metri. «Solo dopo 21 mesi venimmo a sapere chi furono gli
assassini». All’epoca nemmeno si nominava la parola mafia, all’epoca c’era
l’abitudine, nei tribunali, di usare la discutibile formula “assolto per
insufficienza di prove”. L’unico testimone, il pastorello Giuseppe
Letizia, 13 anni, verrà eliminato per conto e per volontà del
medico-mafioso Navarra. Per ricordare la figura del sindacalista siciliano
abbiamo raccolto la testimonianza di suo nipote, che porta il suo
stesso nome. Placido Rizzotto è il figlio di Antonino,
il fratello del partigiano.Sono passati 72 anni dalla morte violenta del sindacalista-partigiano (Brigata Garibaldi) Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone, presidente dei Reduci e Combattenti dell’Anpi, esponente del Psi e della Cgil.
«Mio zio Placido era un contadino, dopo l’8 settembre aveva iniziato con
altri giovani a fare la Resistenza contro il nazi-fascismo. In
quel periodo ha acquisito una coscienza politica, che a Corleone
non avrebbe maturato. Quando Placido Rizzotto rientra a Corleone nel 1945,
insieme ad altri sindacalisti siciliani, comincia ad organizzare i contadini.
Nacque in Sicilia il primo grosso movimento antimafia, non solo di lotta, ma di
cultura ed informazione. Spiegavano ai contadini i loro diritti per far
evolvere la classe dei braccianti, nelle città veniva fatto con la classe
operaia».
E si arriva alle prime elezioni democratiche, vinte dal Blocco del Popolo.
«Nella regione siciliana, che aveva ottenuto nel frattempo lo statuto
speciale, il risultato fu nettamente a favore delle forze di sinistra,
socialisti e comunisti. Questo effetto preoccupò parecchi attori di quel
periodo: la politica, la chiesa, gli americani e quel gruppo di fascisti, come
la X Mas di Valerio Borghese. Tutte queste forze
stabilirono che si doveva fermare questo movimento. I feudatari e i mafiosi non
potevano perdere il loro potere; la politica, la chiesa, l’America e una parte
deviata dello Stato non voleva farsi sfuggire il controllo della Sicilia, un
posto strategico, lo spartiacque tra il blocco occidentale e il blocco
orientale stabilito con l’accordo di Yalta. Con tutti i mezzi decisero di
fermare questo movimento di contadini. Iniziarono le uccisioni di tanti
sindacalisti, ci fu la strage di Portella della Ginestra, a
seguire gli assalti alle Camere del Lavoro. Placido Rizzotto si
ritrovò a Corleone, uno dei centri più caldi, a combattere contro i
latifondisti e contro questa strategia della tensione stragista. Il
18 aprile, nelle prime elezioni repubblicane, vinse la Democrazia
Cristiana e di colpo cessarono le uccisioni dei sindacalisti».
Ritorniamo al 1945: Placido Rizzotto, dopo la guerra e la lotta partigiana,
ritorna a Corleone. In quale contesto si trova ad operare?
«La gente aveva fame di lavoro, aveva famiglie da mandare avanti.
Soggiacevano allo sfruttamento, non osavano ribellarsi. A Corleone, tra
il ’46 e il ’47, ci sono stati 52 omicidi, tutti ad opera di
sconosciuti. Non c’è mai stata una condanna. Gli omicidi non erano
regolamenti di conti tra bande mafiose, anche perché non c’erano bande.
La guerra di mafia nasce negli anni ’50 quando Leggio si
mette in contrapposizione con Navarra».
La storia di Rizzotto si intreccia con la storia di Italia…
«Esatto, per una serie di coincidenze si intreccia con la storia
d’Italia. Corleone è stato un paese che negli anni successivi,
come mafia, ha avuto quei risvolti di leadership, prima con Luciano
Leggio poi con Riina e poi con Provenzano e,
quindi, nell’immaginario collettivo è il paese della mafia. Ma così non è,
perché insieme alla mafia è nata l’antimafia. È nata gente come
Bernardino Verro. C’è stata gente uccisa perché cercava di ribellarsi. La
storia di Placido Rizzotto si intreccia con la venuta a Corleone di Pio
La Torre. Dopo un anno arriva Carlo Alberto Dalla Chiesa, che
si interessa al caso Rizzotto e riesce ad arrestare i due partecipanti
all’omicidio di mio zio, li fa confessare…»
Stiamo parlando di Collura e Criscione?
«Esattamente. Lui arresta un certo Giovanni Pasqua per
l’omicidio della guardia campestre Calogero Comaianni (ucciso
il 28 marzo 1945, nda). Dalla Chiesa arresta Pasqua che confida al
Capitano dei carabinieri i nomi degli assassini di Rizzotto: Leggio, Criscione
e Collura. Questi ultimi due confessano l’omicidio e indicano il luogo dove è
stato buttato il corpo, Rocca Busambra. Dalla Chiesa fa un primo
ritrovamento dei resti di mio zio, insieme ad altri due cadaveri. In seguito
Collura e Criscione ritrattano la confessione dicendo che era stata estorta
sotto tortura, la Procura non avvalora il riconoscimento dei familiari e, i
due, vengono assolti per insufficienza di prove. Dalla Chiesa chiederà di
andare di nuovo nella foiba per prendere i resti rimasti, ma questo permesso
viene negato dal ministro Scelba».
Bisogna aspettare sessantuno anni per il ritrovamento definitivo dei resti,
precisamente il 7 luglio del 2009.
«Con l’esame del DNA, che ai tempi non sarebbe stato possibile, si è potuto
accertare che quelli erano i resti di Placido Rizzotto».
Dobbiamo ricordare anche il medico-mafioso Michele Navarra, il mandante
dell’omicidio.
«Sì, il capomafia di Corleone. Leggio era il suo luogotenente, un giovane
mafioso molto ambizioso, molto feroce a cui fu affidato il compito di eliminare
mio zio».
Chi era il mafioso Michelle Navarra?
«Era uno che aveva molte relazioni con i politici, anche con gli americani.
A Navarra gli americani, dopo lo sbarco, avevano dato la concessione di
ritirare tutti i mezzi di trasporto che avevano abbandonato in Sicilia. Il
Navarra, con il recupero di tutti questi mezzi di trasporto, impianta la prima
agenzia di trasporti siciliana, intestata al fratello. Questa azienda di
trasporti, poi, sarà venduta alla Regione siciliana. Il mandante locale era,
sicuramente Navarra, ma con l’avallo e con le direttive, probabilmente, di
persone molto più in alto».
L’omicidio Rizzotto porterà ad un altro omicidio: quello dell’unico
testimone oculare, il pastorello Giuseppe Letizia.
«Da ricostruzioni recenti sappiamo che mio zio fu ammazzato quasi subito e
poi fu portato in un casolare di campagna, dove c’era un altro mafioso che non
è mai stato menzionato nelle indagini, un certo Giuseppe Ruffino,
che si occupava di furto di bestiame e macellazione clandestina. Ruffino
si è occupato di macellare il corpo di mio zio, fatto a pezzi perché doveva
essere messo dentro delle bisacce che, con un mulo, dovevano essere trasportate
in cima alla montagna. Nel crepaccio butteranno il mulo, insieme alle bisacce,
con i pezzi del cadavere di mio zio. Il bambino, molto probabilmente, non ha
assistito all’omicidio, ma alla macellazione del corpo. A quanto pare, ha fatto
anche dei nomi. In preda al delirio viene portato, dal padre, in ospedale e
preso in cura da Navarra, il quale appena capisce la situazione costringe un
altro medico a praticare una iniezione letale».
Qual è l’insegnamento che, oggi, resta dell’azione di Placido Rizzotto, a
72 anni dalla sua morte?
«Bisogna con tutti i mezzi leciti reagire e non subire mai lo sfruttamento
da parte di altri uomini, anche a costo della propria vita, perché con il tempo
i risultati si ottengono, ovviamente se non si rimane isolati. Placido Rizzotto
aggregava le persone con un obiettivo comune. Era il famoso teorema dei
Fasci siciliani: una verga può essere spezzata, due verghe possono essere
spezzate, ma un fascio non si riesce a spezzare. Nel dopoguerra stava nascendo
una nuova classe dirigente. Furono tutti trucidati. Quel patto scellerato che
fecero le istituzioni deviate con la mafia, la prima vera trattativa
Stato-mafia, ha dato un potere enorme a questi mafiosi. La Repubblica italiana
è nata malata per questa trattativa iniziale che ha condizionato pesantemente
la politica e l’economia della Sicilia e dell’Italia».
www.wordnews.it, 10 marzo 2020
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