di Giorgio Ruta
Tirocinante nell’ospizio di Villafrati, indicata come
l’origine del contagio " Perché si sono inventati questa storia? Perché
tanta cattiveria nei miei confronti?"
«Nessuno mi chiede come sto, per tutti sono
l’untrice» . Un audio che circola su whatsapp con notizie false, la rabbia che
monta sui social e in un attimo la vita di una ragazza sprofonda in un incubo.
La chiameremo Rita, la ventenne di Vicari, positiva al coronavirus, additata
dalla "piazza virtuale" come la responsabile del contagio della casa
di cura di Villafrati, in cui è tirocinante. « Non dormo da giorni, non posso
credere a tutta la cattiveria che mi sta piovendo addosso: perché inventarsi
una storia del genere? Io di questa vicenda sono probabilmente una vittima, di
sicuro non sono la responsabile».
Nell’audio, una donna che dice di essere la moglie di un dipendente di
Villa delle Palme, dove si contano 72 positivi, racconta che a portare il coronavirus
sarebbe stata una ragazza di Vicari che lavora nella struttura. La giovane
sarebbe stata infettata dal nonno, dopo aver incontrato una nipote proveniente
dal nord Italia. I paesi sono piccoli, la voce si diffonde e la ragazza viene
individuata. «Il messaggio è diventato virale, è arrivato nei telefoni di
tantissima gente. Di bocca in bocca, di post in post, la storia è mutata: io
sarei tornata dalla Lombardia, prima di andare a lavorare e contagiare
tutti. Peccato che le due versioni non sono vere, io non mi sono mossa da
qui. Ho denunciato l’audio alla polizia postale e querelerò i commenti più
infamanti che ho visto su Facebook: c’è chi mi ha augurato di essere bruciata
con il lanciafiamme, pensate a mio padre quando lo ha letto».
Rita cova rabbia, è stanca. Il tono della voce tradisce l’emozione, mangia
poco. «Vi racconto la verità e vi assicuro che l’unica colpa che ho avuto è
quella di aver scoperto per prima di essere contagiata e forse, grazie alla
sorte, di aver prevenuto altri casi in paese».
Andiamo per ordine. La ragazza studia Scienze motorie a Messina, città da
cui manca da inizio febbraio. È tirocinante nella casa di cura di Villafrati,
dove si occupa di riabilitazione. «L’ultimo mio giorno di lavoro è stato il 6
marzo, da allora, visto le ultime restrizioni, sono rimasta a casa, dove vivo
con la mia famiglia. Il 15 marzo mio nonno, che accudiamo nel nostro
appartamento si sente male, ha problemi neurologici, e lo portiamo all’ospedale
Buccheri La Ferla di Palermo. Lì gli sale la febbre e i medici gli fanno un
tampone: è positivo. Lo fanno anche a me e al resto dei miei familiari e
risultiamo contagiati io, mia mamma e mio fratello. Per fortuna non abbiamo
sintomi » . In quel momento Rita contatta, per correttezza, Villa delle Palme.
Qualche giorno dopo, tra domenica e lunedì scorsi, si scoprono i casi nella
casa di cura. E scoppia la caccia all’untore. «Io non so da dove sia arrivato
il virus. Ma di sicuro io non sono andata in Lombardia e non ho nessun parente
che è venuto dal nord. Stavo studiando molto: lavoravo e mi mettevo sui libri,
non ho fatto vita sociale. È probabile che qualcuno mi abbia contagiato
all’interno della struttura, dove entrava ed usciva tanta gente. Ma questo
adesso mi interessa poco, voglio venir fuori da questo incubo: non posso
sentimi in colpa, non dormire, leggere che la gente mi vuole uccidere. Per
fortuna che i miei amici e il sindaco di Vicari Antonio Miceli mi sono vicini».
Rita divide l’appartamento con la mamma e il fratello. Mentre il papà e la
nonna, che non sono risultati positivi al Covid 19, vivono nel piano inferiore.
«Spero che tutto questo finisca presto. Sogno di camminare per le vie del paese
e non vedermi gli occhi puntati addosso. Voglio soltanto continuare a studiare
e a lavorare».
La Repubblica, Palermo 26 marzo 2020
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