Placido Rizzotto |
di DINO PATERNOSTRO
Placido Rizzotto (2 gennaio 1914 – 10 marzo 1948), prima di partire per
la guerra, era un semplice contadino semi-analfabeta. Dopo l’8 settembre del
’43, buttata la divisa militare, scelse di salire sulle montagne, con i
partigiani delle Brigate “Garibaldi”, per combattere contro il nazi-fascismo.
Per mesi aveva vissuto sulle montagne dividendo il pane e la paura con altri giovani come lui, convinto di battersi
per la causa giusta. Con i partigiani aveva imparato tanto. Aveva imparato che gli
uomini non nascono ricchi o poveri, padroni o schiavi, ma tutti uguali e tutti
liberi. Aveva imparato, però, che per affermare il diritto all’uguaglianza e
alla libertà bisognava organizzarsi e lottare, anche a rischio della vita.
Quanti giovani vide morire accanto a lui, su quelle montagne! Tanti. Troppi. E
fu per loro il suo primo pensiero quando la guerra finì e l’Italia ebbe il suo
25 aprile. A Corleone Rizzotto era tornato nel 1945. Insieme a questi ricordi,
aveva portato nuove idee, quelle imparate nei mesi trascorsi sui monti, al fianco
di quei giovani con i fazzoletti rossi. Lo chiamavano “il
vento del nord”. Il suo soffio faceva paura ai padroni ed ai gabelloti mafiosi,
ma riempiva di libertà i polmoni dei contadini, perché insegnava a non
abbassare la testa davanti ai “signori”.
Ma che i contadini
rialzassero la testa non piaceva per niente ai grandi proprietari terrieri di
Corleone. E non piaceva neppure alla mafia. Inizialmente, avevano pure
ironizzato su Gullo e i suoi decreti, facendo finta di non conoscerli. Qualcuno
di loro si era pure illuso di non farli applicare in Sicilia. I contadini e i
loro dirigenti, però, la pensavano diversamente. E, in corteo e con le bandiere
rosse, sempre più spesso “calpestavano” quelle terre, rivendicandone la
concessione. A Corleone avevano già ottenuto in concessione 50 ettari di terra del
feudo Donna Giacoma per la cooperativa “SACLA” ed altri 50 del feudo Drago ne
avrebbero ottenuto, il 17 novembre 1947, per la cooperativa “B. Verro”. A
galvanizzare ulteriormente i contadini contribuirono anche una serie di
successi elettorali. Nelle elezioni amministrative del 6 ottobre 1946, infatti,
la sinistra conquistò il comune col 63.11% dei voti, eleggendo sindaco il
socialista Bernardo Streva e portando per la prima volta in consiglio una
donna, Biagia Birtone, militante comunista. Ma il successo più esaltante la
sinistra corleonese l’avrebbe ottenuto un anno dopo, alle elezioni regionali
del 20 aprile 1947. La lista del “Blocco del Popolo” conquistò 3.413 voti, pari
al 44.41%. Una percentuale ancora più alta di quella ottenuta a livello
regionale, dove pure aveva avuto la maggioranza relativa.
Fu
allora che la controffensiva degli agrari e della mafia contro il movimento
contadino e la sinistra si scatenò rabbiosamente in tutta la Sicilia, nel
quadro di un disegno di normalizzazione del Paese. Tra i socialisti corleonesi, chi inquietava di più il
capomafia Michele Navarra era quel giovane appena tornato dal Nord, Placido
Rizzotto. Aveva provato ad avvicinarlo, ma non c’era stato niente da fare.
Allora, cominciò a far spargere la voce che questo Rizzotto «non si faceva i
fatti suoi». Ma Placido non ci badava. «Dopo che mi ammazzano non hanno risolto
niente. Dopo di me quanti ne spunteranno di segretari della Camera del lavoro! Non
è che ammazzando me, finisce ...», ripeteva agli amici, che gli consigliavano
prudenza.
La sera del 10 marzo 1948 fu l’ultima sera per Placido
Rizzotto. L’incarico di “chiudere” la partita col giovane sindacalista don
Michele Navarra lo diede al suo uomo di fiducia, a quel Luciano Liggio, che,
con la sua ferocia, incuteva paura agli stessi picciotti. Il compito di
attirarlo in trappola fu affidato a Pasquale Criscione, gabelloto del feudo
Drago, che del sindacalista era vicino di casa. Infatti, quella sera di marzo,
Criscione si avvicinò a Rizzotto, che stava in compagnia di Ludovico Benigno,
suo amico e compagno di partito, trovando un pretesto per attaccare discorso.
Insieme, accompagnarono Benigno nella sua casa al Ponte Nuovo, poi scesero per
via Bentivegna a fare due passi. Fino all’altezza di via San Leonardo. Qui fu
sequestrato, cacciato a forza sulla 1100 di Liggio e portato in contrada
“Malvello”, dove venne pestato a sangue e assassinato. Placido
aveva appena compiuto 34 anni. Per farlo scomparire per sempre, il suo
corpo venne buttato in una “ciacca” di Rocca Busambra. Nessuno avrebbe mai più saputo
niente di Rizzotto, se, nell’estate del ’49, a Corleone non fosse arrivato un
giovane capitano dei carabinieri, che assunse il comando delle squadriglie
antibanditismo. Si chiamava Carlo Alberto Dalla Chiesa e, come Rizzotto, aveva
fatto il partigiano. Dopo alcune battute, proprio lui e i suoi uomini riuscirono
ad arrestare Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, che, il 4 dicembre 1949,
interrogati nella caserma di Bisacquino, fecero clamorose rivelazioni.
Ammisero, cioè, di aver partecipato al sequestro di Placido Rizzotto, in
concorso con Luciano Liggio, che poi avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di
pistola. Ma, davanti ai giudici, entrambi ritrattarono, sostenendo che quelle
confessioni erano state estorte dai militari con la violenza. E quindi, il 30
dicembre 1952, la Corte d’Assise di Palermo assolse tutti gli imputati per
insufficienza di prove.
Per
tanti anni a Corleone non si parlò più di Rizzotto. Sarebbe toccato alle
generazioni studentesche degli anni ’70, ai figli e ai nipoti dei contadini
degli anni ’50, che, grazie alla scolarizzazione di massa, avevano potuto
imparare a leggere e a scrivere, ricordare il sindacalista assassinato dalla
mafia. Nel marzo 1983, infatti, la Camera del lavoro di Corleone e il gruppo di
giovani di “Corleone alternativa”, insieme alla segreteria della
Federbraccianti-Cgil siciliana, organizzarono una manifestazione per ricordare
il 35° anniversario dell’assassinio di Rizzotto. Erano decenni che a Corleone
non si parlava più del sindacalista assassinato dalla mafia. Un silenzio
colpevole, rotto finalmente dall’entusiasmo e dalla voglia dei giovani di
riappropriarsi della memoria storica. L’iniziativa si svolse in due giornate
(il 26 e 27 marzo) con lo slogan «La nostra memoria per il nostro futuro» e fu
una tappa fondamentale per far riscoprire alle giovani generazioni il
significato delle lotte contadine e il tributo di sangue pagato da alcuni loro
dirigenti.
Negli
anni successivi, la memoria non è stata mai più cancellata. Nel 2000, anzi, il
regista siciliano Pasquale Scimeca ha potuto realizzare il film “Placido
Rizzotto”, che riscosse ovunque un successo di critica e di pubblico.
Dal 2009 in poi, su invito
della Camera del lavoro, i bambini della Scuola elementare di Corleone hanno
dedicato delle poesie a Placido Rizzotto, che il 10 marzo di ogni anno hanno
letto ad alta voce, in piazza Garibaldi, davanti al busto del sindacalista
assassinato dalla mafia. Definire un eroe Placido Rizzotto e dei criminali Totò
Riina e Bernardo Provenzano potrebbe sembrare semplice, ma a Corleone ancora
non lo è. Che abbiano cominciato a farlo i bambini delle elementari, col
sostegno dei loro insegnati e delle loro famiglie, è il segno di una piccola
rivoluzione culturale in atto.
Grazie alla legge
Rognoni-La Torre del 13 settembre 1982, che ha consentito di confiscare ai
mafiosi i beni illecitamente accumulati, integrata dalla legge di iniziativa
popolare n. 109 del 1996, promossa dall’associazione “Libera”, che ha reso
possibile l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, nell’ultimo decennio
sono nate diverse cooperative sociali di giovani, a cui i comuni hanno assegnato
terreni e fabbricati da gestire. Una significativa esperienza nel campo
dell’uso sociale dei beni confiscati è in corso tra i comuni della zona del
Corleonese, i quali, d’intesa con la Prefettura di Palermo, hanno costituito
nel 2001 il Consorzio “Sviluppo e Legalità”, per avere uno strumento che dia
più forza ai singoli comuni aderenti e garantisce trasparenza nell’assegnazione
dei beni confiscati. A Corleone, una delle cooperative assegnataria di beni
confiscati è stata intitolata a “Placido Rizzotto”. Grazie a questa cooperativa
e alle cooperative “Lavoro e non solo” e “Pio La Torre”, da alcuni anni decine
di giovani contadini di questo territorio hanno un lavoro dignitoso ed una
giusta retribuzione, riuscendo a produrre beni alimentari biologici, come il
grano, la pasta, l’olio, la passata di pomodoro e le lenticchie, che hanno in
più la vitamina "L" della Legalità. Oggi i giovani delle cooperative
sociali assegnatarie di beni confiscati rappresentano gli eredi più autentici
del movimento contadino siciliano e dei suoi martiri. L’antimafia sociale che
loro praticano, fondata su interessi concreti e legittimi, è molto simile a
quella praticata dal movimento contadino del secolo scorso.
In
questi ultimi anni, la Cgil e i familiari di Rizzotto hanno chiesto
ripetutamente allo Stato di fare di tutto per ritrovare i resti del
sindacalista assassinato, sia cercandoli negli archivi del tribunale dove
probabilmente sono stati smarriti (o trafugati?), sia effettuando nuove
ricerche nella foiba di Rocca Busambra. Nel 2009, la stessa Procura della
Repubblica ha autorizzato il Commissariato di Polizia di Corleone a recuperare
altri resti umani dal fondo di un’altra foiba di Rocca Busambra, che si riteneva
fosse quella dove effettivamente la sera del 10 marzo 1948 fu buttato il corpo
di Rizzotto. I resti recuperati sono stati inviati al laboratorio della polizia
scientifica di Roma. La Procura ha pure autorizzato la riesumazione del
cadavere di Carmelo Rizzotto, padre del sindacalista assassinato, deceduto nel
1967, da cui è stato prelevato il materiale organico necessario per effettuare
un’attendibile comparazione del DNA. E finalmente, il 9 marzo 2012 è arrivata
la notizia tanto attesa. In una conferenza stampa, svoltasi presso la Questura
di Palermo, la Polizia ha potuto confermare che quelli recuperati a Rocca
Busambra sono davvero i resti di Placido Rizzotto. «Stante i risultati biologici – si legge nella relazione - e considerato
che nessun altro appartenente alla famiglia Rizzotto risulta scomparso; che
nello stesso luogo ove sono state ritrovate le ossa umane, sono stati
recuperati altri oggetti consistenti in parte di una cintura, alcune fibbie e
finimenti in cuoio, confermando quanto storicamente ricostruito sulle modalità
dell’occultamento del cadavere di Placido Rizzotto, che sarebbe stato gettato
nella foiba insieme al mulo sul quale era stato trasportato; che nella foiba il
personale operante ha recuperato anche una moneta da dieci centesimi di lira in
uso nel periodo della scomparsa; si ritiene che le ossa umane recuperate nella
foiba di Rocca Busambra, il cui profilo genetico di paternità è compatibile con
quelle esumate di Carmelo Rizzotto, siano proprio quelle del corpo di Placido
Rizzotto, ucciso dalla mafia e gettato nella foiba per occultarne per sempre il
cadavere». Un avvenimento straordinario, che ha dato un significato particolare
al 64° anniversario del suo assassinio. Grazie alle forze di polizia e alla
caparbietà con cui la Cgil e i familiari di Rizzotto, tra cui il nipote Placido
Jr., non hanno mai smesso di chiedere allo Stato verità e giustizia, finalmente
il capolega corleonese ha una tomba nel cimitero di Corleone, dove chi vuole
può portare un fiore, versare una lacrima e rinnovare l’impegno di lotta contro
la mafia, per il lavoro e lo sviluppo nella legalità.
Sull’onda di
un’emozione che ha percorso l’Italia intera, centinaia e centinaia di cittadini
hanno chiesto che a Rizzotto fossero concessi i funerali di Stato. E il
Consiglio dei Ministri, nella seduta del 16 marzo 2012, ha deliberato di
concederli. Sono stati celebrati il successivo 24 maggio, nella Chiesa Madre di
Corleone, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
della segretaria generale della Cgil Susanna Camusso e di migliaia di cittadini
e di lavoratori provenienti da tutt’Italia. «Io non ti ho conosciuto
personalmente – ha detto in chiesa alla fine della cerimonia, con voce
commossa, il nipote Placido Rizzotto Jr. - ma solo attraverso le parole appassionate
dette da quanti ti hanno vissuto accanto. Nonno Carmelo, che ha lottato per
ottenere giustizia ed avere restituito il corpo del figlio. Nonna Rosa sempre
vestita di nero per quel figlio che non tornò più. Non ho avuto una tua
carezza, però ho avuto un grandissimo dono: l’orgoglio di portare il tuo
nome! Questo mi ha fatto, spesso,
sentire quel figlio che non hai potuto avere». E Susanna Camusso ha aggiunto:
«Placido Rizzotto, soldato e partigiano, segretario della Camera del lavoro,
era mosso da un profondo senso di giustizia e aveva compreso una verità che
ancora oggi è il pilastro della lotta contro la mafia e che Pio La Torre
tradusse in legge: le mafie si sconfiggono colpendole al cuore nei loro
interessi economici. (…) Oggi a Corleone la Camera del lavoro tiene vivo non
solo il ricordo, ma la memoria di Placido Rizzotto, nell’impegno quotidiano per
la legalità e nell’incontro con quelle nuove generazioni che scelgono di
dedicare le loro vacanze al lavoro nei campi confiscati alle mafie, per sostenere
quelle cooperative, eredi delle lotte dei braccianti, che continuarono e
continuano in Sicilia e nel Paese a far vivere Rizzotto e a chiedere giustizia
per tutti gli assassinati di mafia». Dopo aver assistito ai funerali di Stato
per Placido Rizzotto, il presidente Napolitano è andato a Portella della
Ginestra. «È stato giusto – ha sottolineato il Capo dello Stato - tornare al
punto di partenza. E il punto di partenza è Portella della Ginestra, il punto
di partenza è la terra di Corleone, la terra di Placido Rizzotto. Così abbiamo
chiuso l’arco, e ci auguriamo fortemente che non si debba mai più riaprire una
storia di brutali omicidi e di feroci stragi di mafia».
Dino
Paternostro
Pubblicato nel 2012 tra i "Pizzini della legalità" del caro editore Salvatore Coppola, scomparso da qualche anno.
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