di Claudio Reale
È l’odissea dei siciliani sorpresi dall’epidemia
lontano dalla Sicilia. Per i quali adesso il presidente della Regione si offre
di pagare un albergo nel quale trascorrere la quarantena, ma che a decine ieri
si sono accalcati a Villa San Giovanni in attesa del via libera per poter
tornare. Un ritorno al quale erano costretti dall’impossibilità di fare
altrimenti: dai tre operai edili di Paternò bloccati in Lombardia ai 14
dipendenti dell’indotto Eni che ieri hanno cercato di tornare da Taranto, fino
alle decine di persone bloccate al nord o all’estero e ormai senza lavoro.
Sullo Stretto, ieri, la situazione era esplosiva. Sei siciliani sorpresi
dall’epidemia in Slovacchia, ad esempio, sono riusciti a rientrare proprio
nelle ultime ore: la Protezione civile li ha portati a Udine e da lì, dopo i
controlli sanitari, sono partiti in auto e hanno attraversato l’Italia grazie a
un lasciapassare della Farnesina. Fino allo Stretto, dove nella notte fra
lunedì e ieri andava in scena lo show di Cateno De Luca: « Abbiamo rischiato il
linciaggio – racconta una di loro, Maria Luisa Morici, insegnante a Bratislava
– nonostante avessimo tutti i documenti in regola. Noi per fortuna siamo riusciti
a passare, ma lì c’era di tutto, anche una bambina di sei mesi. Tutto solo per
alimentare un’evidente campagna elettorale».
Chi torna, invece, non lo fa solo per una questione di volontà. « Il punto
- ragiona l’insegnante palermitana Luisa Di Marzo, a Savona per una supplenza e
ora bloccata in Liguria a pochi giorni dalla scadenza del contratto – è che
vivere qui ha ovviamente dei costi. Non sappiamo fino a quando potremo
permettercelo senza uno stipendio » . Ditelo a Domenico Spampinato: la sua azienda
di Paternò è attiva anche a Cremona, e nella città lombarda sono rimasti
bloccati da domenica tre suoi dipendenti. « Quel giorno – spiega – il nostro
cantiere è stato bloccato ed è entrata in vigore la norma regionale che vieta
loro di partire ma impone loro di lasciare entro tre giorni il bed and
breakfast nel quale si trovano. Per fortuna adesso abbiamo trovato una
soluzione temporanea, ma non sarà per sempre. Pagherò io la quarantena e tutti
gli esami, ma bisognerà farli tornare».
Già, farli tornare. Come cercavano di fare i 14 siracusani che si sono
rivolti al sindaco Francesco Italia. « Hanno terminato le attività per
l’indotto Eni – dice – e sono stati rispediti a casa. Devono fare una
quarantena rigida, ma non possiamo lasciarli senza un tetto». Alla quarantena,
del resto, sono disposti un po’ tutti: « Io – racconta ad esempio la ballerina-
attrice Floriana Patti, avventurosamente tornata dalla Spagna dove stava
seguendo un corso – dovrei restare in isolamento fino a sabato, quando
scadranno le due settimane. Siccome però i miei genitori sono medici mi hanno
consigliato di allungare il periodo di auto- quarantena: non incontrerò nessuno
fino al 3 aprile».
Il problema è quasi sempre economico. Marco Lombardo, 22 anni, di Palermo,
ad esempio, studia a Milano, e a questo punto vorrebbe tornare. « Da casa –
osserva – veniamo visti come untori. No: noi non vogliamo uccidere i nostri
genitori. Semplicemente vivere qui costa » . Per affrontare il problema ieri il
presidente della Regione Nello Musumeci ha scritto alla ministra dell’Interno
Luciana Lamorgese: « Lo Stato – ha detto - ha determinato questo assembramento
e lo Stato deve risolvere il problema. Abbiamo suggerito di acquisire una
struttura ricettiva dove ospitare almeno le famiglie con persone fragili. Per i
siciliani ospitati in albergo si fa carico la Regione». Anche perché chi può,
invece, intanto si attrezza. Fabiola Cannizzaro, ad esempio, è una studentessa
dell’università di Palermo che l’epidemia ha sorpreso a Valencia, in Spagna: è
tornata domenica in Italia e lunedì nel capoluogo, e adesso fa la quarantena. «
I miei – sorride – mi hanno preso una casa in affitto. Vivo lì, da sola, per
evitare il contagio». Perché nessuno vuole contagiare i propri familiari.
Perché questa è la storia di famiglie con bimbi anche piccolissimi costrette a
penare per tornare a casa.
La Repubblica Palermo, 25 marzo 2020
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