di CARLO RUTA
(storico e saggista)
L’attesa del «picco» e il risveglio dall’incubo. Mentre il contagio del
coronavirus in Italia si fa sempre più virulento, si insiste ad assicurare,
come in una specie di liturgia scaramantica, che si sta aspettando il «picco»:
ritenendolo ormai questione di giorni. Ma il picco di che? La situazione mi
sembra troppo seria per non meritare una più ponderata visione delle cose, a
partire da un dato di fatto: il morbo sta percuotendo l’Europa intera, con
effetti che, sul piano del contrasto, rendono la prospettiva ancora più
complessa e ingarbugliata. La mancata coesione nell’azione di contrasto allunga
e diversifica infatti i tempi del contagio e non permette di gestirne in
maniera unitaria l’evoluzione complessiva: diversamente da quanto è avvenuto in
Asia,
dove un chiaro orientamento strategico ha permesso di arrivare ad una
sorta di reductio ad unicum, di riportare cioè ad unità, come nella
favola del pifferaio magico, tanto il contagio virale quanto la risposta
complessiva.
In realtà, i tempi e i numeri dell’infezione in Europa variano da Stato a
Stato. Ogni paese avrà perciò i suoi picchi: di conseguenza, l’infezione, da un
picco all’altro, da un paese all’altro, per contagio diretto o indiretto, di
andata o di ritorno, tende a diventare sullo sfondo pandemico, pericolosamente,
un’endemia continentale, con andamenti ciclici, un po’come il colera di altri
tempi. Possono aprirsi allora problematiche nuove, di terreno, causate appunto,
in larga misura, dal collasso operativo che sta caratterizzando questa fase.
Un problema a sé resta tuttavia l’Italia, dove è palese che sta mancando
una risposta sanitaria e istituzionale coerente, e dove la drammaticità della
situazione, peraltro prevedibile, sempre più assume toni paradossali. Il
governo, la protezione civile, le regioni e perfino i comuni si muovono sempre
più in ordine sparso, in un clima ogni giorno più teso, in cui va creandosi
spazio, purtroppo, per atti fuori misura. Che bisogno c’era, ad esempio, di
militarizzare le strade della città di Palermo, dove si contano ancora diverse
decine di contagi e non esiste una emergenza di livello sanitario, mentre
poteva bastare a fare la differenza, in questa fase almeno, l’azione forte, già
avvenuta, della chiusura pressoché integrale dei collegamenti dell’intera Regione
con l’Italia continentale?
In sostanza, malgrado il «peana» di queste settimane, non si avrà nel Paese
un «picco» conclusivo e complessivo. La Lombardia avrà il suo, verosimilmente
presto, ma dopo, a distanza di giorni, settimane, o addirittura qualche mese,
arriveranno quelli dell’Emilia, del Veneto, della Toscana, dell’Umbria, del
Lazio, della Puglia, della Sardegna, della Sicilia e così via, che rischiano di
riaprire la partita. E nello specifico di ogni regione i picchi saranno ancora
vari e dislocati nel tempo. A Codogno e in altre zone rosse a quanto pare c’è
già stato, ma non è cambiato nulla, e verranno pian piano quelli di Lodi,
Bergamo, Milano, Brescia e di altri centri. Se così stanno allora le cose, i
conti istituzionali proprio non tornano.
È chiaro che questa vicenda si stenderà sul paese, come un sudario, per
mesi e mesi. Ed è chiaro che l’ordine perentorio rivolto a tutti gli Italiani
di stare chiusi nelle loro abitazioni, per quanto possa essere stato utile fino
ad oggi, non può costituire la soluzione del problema, mentre rischia, a lungo
andare, di paralizzare il Paese, con l’effetto di una catastrofe nella
catastrofe. Non è la soluzione, intanto per ragioni oggettive. Alla fine potrà
essere decisa anche la chiusura di tabaccherie e giornalai, ma non tutto può
essere chiuso. Le fabbriche di rilevanza strategica, come dimostrano gli eventi
bellici del Novecento, non potranno smettere di produrre, gli ospedali devono
continuare a prestare la loro opera nel caos e a ritmi sempre più insostenibili,
la produzione e il commercio agro-alimentare non possono fermarsi, gli uffici
pubblici, statali, regionali e comunali debbono continuare a funzionare, le
attività finanziarie non verranno fermate, gli organi dello Stato e
territoriali continueranno a deliberare, i corpi militari e di polizia
resteranno operativi, gli uffici della Protezione civile pure, i servizi di
nettezza urbana pure, i vigili del fuoco pure, e ancora, i mezzi
d'informazione, le organizzazioni umanitarie, e ovviamente si potrebbe continuare
a lungo. Su tali linee, che occupano milioni e milioni di persone, potrà
passare perciò, nonostante tutti gli sforzi e le quarantene in casa, il
contagio. E non si tratta di un'opinione perché è appunto quel che dalle
cronache sul campo stiamo apprendendo in questi giorni.
Occorre dirlo con chiarezza: il fatto che si mediti di continuare ad
oltranza, con giri di vite e perfino con la militarizzazione dell’intero
territorio nazionale, dimostra solo che non si hanno idee chiare e che,
purtroppo, si ignorano le lezioni della storia. Bisogna fare in realtà il
possibile per portarsi oltre lo scenario di questi giorni, in tempi brevissimi,
di settimane e non di mesi. Occorre fuoriuscire, in altri termini, da quel che
rischia di diventare un circolo vizioso.
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