Quando si
sfogliano i quotidiani si resta impressionati dalla marea di cattiverie, di
crudeltà, di ingiustizie, di imbrogli, di tradimenti, di falsità, di
corruzione, di stupidità, di violenza, di volgarità che ci assedia da ogni
lato. Non so a voi, ma a me ogni tanto ritorna una domanda: com’è che ancora
reggiamo? Com’è che Palermo, la Sicilia, l’Italia…non sono state ancora
sommerse da questo fango tracimante, dilagante, asfissiante? A forza di
parassiti che ne succhiano la linfa, l’albero non dovrebbe essere ormai
essiccato e abbattuto?
Poi un
giorno, così, all’improvviso, ti muore un amico. Per esempio Sergio Di Vita. E
allora hai come un’intuizione: come racconta il mito di Colapesce, qualcuno –
sommerso sotto la superficie delle onde schiumose – regge una delle colonne su
cui galleggia l’isola. In silenzio, quasi nell’anonimato, del tutto ignorato
dai riflettori dei media, questo qualcuno c’è. Al risveglio,
la mattina, dedica qualche ora alla lettura di Gandhi o di Martin Luther King.
Oppure all’ascolto di Bach o di Mozart. Ma non è un orso solitario. Un giorno
accoglie un’amica che cerca ascolto attento, paziente. Un altro giorno un amico
che soffre di dolori reumatici e vuole provare un po’ di shiatsu
praticato con competenza. Una volta a settimana guida un gruppo di amici
che vogliono approfondire insieme a lui l’antroposofia di Rudolf
Steiner.
E, quando
necessario, esce anche da casa. Perché – siamo negli anni Ottanta – ogni
giovedì sera ci si riunisce al Palazzo del Comune come Co.c.i.pa
(Coordinamento cittadino informazione e partecipazione) per studiare i
bilanci preventivi e discuterli con gli assessori dei vari settori. Perché –
siamo negli anni Novanta – c’è da affiancare i diseredati concittadini del
movimento dei “senza-casa” che chiedono l’assegnazione degli appartamenti
sequestrati ai mafiosi. Perché – siamo all’alba del Terzo
millennio – c’è da sostenere il gruppo delle donne di Benin
City, desiderose di riscatto sociale e di inserimento lavorativo nella nuova
patria. Già: gli africani. Prima gli italiani o prima gli stranieri? Prima chi
soffre di più. Come far udire, da Palermo a Bruxelles, la voce di chi non ha
voce? Sergio fonda e gestisce, gratuitamente e quasi da
solo, “Congosol”, un’agenzia d’informazione di prima mano sul Congo.
Tanto
impegno sociale non era frutto tanto di emotività, di coinvolgimento
sentimentale, ma si basava ancor più su una formazione solida e continua: amava
documentarsi incessantemente, leggendo e facendo conoscere - con i suoi seminari,
i suoi laboratori e i suoi scritti - autori di ogni parte del mondo. Accademico
di nessuna accademia, riteneva che nessuna tematica gli dovesse restare del
tutto estranea. Ha attivato e diretto, sino alle ultime ore di vita,
presso la “Casa dell’equità e della bellezza”, il “Gruppo di formazione al
Teatro degli oppressi (secondo l’insegnamento di Augusto Boal) e alla
nonviolenza attiva”, a cui hanno preso parte – in tempi e modi differenti –
centinaia di persone. Soprattutto negli ultimi anni evitava di lasciarsi coinvolgere
in altre organizzazioni e in altri progetti: “Preferisco fare poche cose, ma
con la maggiore serietà di cui sono capace”.
Con
lui se ne va uno dei tanti “militi ignoti” della militanza civica di cui non
parleranno i libri di storia, a cui forse verrà intestata una stradina di
periferia, ma senza i quali sarebbe inspiegabile come mai una città regga al
logorio continuo dei furbi, degli approfittatori, degli egoisti perbene. Se ne
va uno dei cittadini che, per rievocare la celebre frase di Kennedy, non si
chiedono soltanto cosa la società possa fare per loro, ma anche cosa essi
possano fare per la società.
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com
La
Repubblica- Palermo, 28.2.2020
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