Un programma razzista, liberticida e dittatoriale fin dagli anni 20. Le
sanguinarie imprese del fascismo in Jugoslavia, Albania, Grecia. Il duce:
“Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi;
gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché
portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali”
Il fascismo non aspettò di certo la metà
degli anni trenta (ovvero l’occupazione dell’Etiopia del 1936 e le leggi
razziali del 1938) per manifestare il proprio intrinseco e costituente
carattere razzista, liberticida e dittatoriale. Mussolini esplicitò fin dalle
origini il suo «programma criminale» impegnando se stesso e poi il regime da
lui guidato al mantenimento delle «promesse» lungo l’intero arco temporale del
ventennio fascista, conformando la struttura identitaria della dittatura
italiana a quelle linee programmatiche.
In questo articolo, in una misura necessariamente sintetica, indicheremo
alcuni esempi della corrispondenza tra la verbale propaganda razzista del
fascismo delle origini e le sue fattuali conseguenze una volta instaurata la
dittatura sulle popolazioni civili dei Balcani.
* Curatore per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica
* Curatore per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica
JUGOSLAVIA
Una particolare attenzione venne riservata dalle camice nere alla regione
dei Balcani, destinata a divenire il principale campo di battaglia
dell’imperialismo fascista in Europa.
Lo squadrismo riuscì a presentarsi fin dall’inizio degli anni 20 come
elemento di sintesi delle istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste
(sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori non marginali della
società civile italiana che andavano dalla piccola e media borghesia alla
proprietà terriera fino ai militari.
In questo quadro di embrionale
manifestazione del fascismo Mussolini, a proposito della regione di confine con
la Jugoslavia, poteva già scrivere nel 1920 sul «Popolo d’Italia»: «In altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una
promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della
situazione politica».
Il fascismo triestino ed istriano accanto
alla lotta contro il sovversivismo sociale nelle terre della Venezia-Giulia
sperimentò quel fascismo di frontiera che tra
il 1920 ed il 1922 intensificò la propria azione violenta in tutta la regione
sotto la guida di Francesco Giunta, a Trieste, e di Luigi Bilucaglia.
All’attivismo anti-operaio promosso durante gli scioperi, in particolare a
Pola, si associò una politica di provocazione e scontro con i gruppi croati fin
dall’estate del 1920.
Il consenso ed il consolidamento politico
dello squadrismo si manifestò quando Mussolini espresse le linee politiche
anti-socialiste ed anti-slave del programma del fascismo nel suo intervento del
22 settembre 1920 a Pola: «Di fronte ad una razza come la
slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che da lo
zuccherino, ma quella del bastone […] i confini dell’Italia devono essere: il
Brennero, il Nevoso e le Dinariche […] io credo che si possano più facilmente
sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» .[1]
Nel pieno della guerra di aggressione alla Jugoslavia e della
pianificazione del controllo territoriale delle regioni balcaniche occupate,
Mussolini, il 31 luglio 1942 a Gorizia, indicò ai generali Ugo Cavallero, Mario
Roatta e Vittorio Ambrosio la linea di condotta che le truppe italiane
avrebbero dovuto seguire:
«Sono convinto che al terrore
dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo
comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri
quando occorre […] come avete detto è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere
gli italiani come gente disposta a tutto […] questa popolazione non ci amerà
mai […] il ritmo delle operazioni deve essere sollecitato […] l’aviazione ha
qui un compito abbastanza importante.
Questo territorio deve essere considerato
territorio di esperienza. Non vi preoccupate del disagio della popolazione, lo
ha voluto! Ne sconti le conseguenze, così come non mi preoccupo dell’università
che sarà un focolaio contro di noi. Non sarei alieno dal trasferimento di masse
di popolazione». [2]
Il campo di concentramento nell’isola di
Arbe. Foto tratta dal libro di Giuseppe Piemontese: “Ventinove mesi di
occupazione nella provincia di Lubiana. Considerazioni e documenti” ,
(Lubiana 1946). (da
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/29-8.jpg)
Queste direttive politiche furono tradotte
in termini operativi dai vertici del regio esercito rispetto al modus operandi delle truppe italiane impiegate
nella controguerriglia anti-partigiana e nella repressione della popolazione
civile.
Nel quadro di questa logica consequenziale i comandi militari dell’esercito
mostrarono la propria corrispondenza agli ordini del duce attraverso la
realizzazione di operazioni come quelle effettuate nella cittadina di Podhum
attaccata il 12 luglio 1942 (91 uomini tra i 16 ed i 64 anni fucilati sul posto
e altre 800 persone deportate) o nei villaggi di Zamet e nella zona di
Danilovgrad che vennero rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 con
l’approvazione di Mussolini.
Cicli operativi di questo tipo rientravano nella strategia di sostituzione
della popolazione finalizzata ad uniformare confini politici e razziali
nell’ambito del più generale progetto di snazionalizzazione:
«Il Duce ha approvato le modalità
esecutive delle operazioni […]; abbiamo adottato il provvedimento successivo di
sgomberare tutti gli uomini validi ad Arbe. Non importa se nell’interrogatorio
si ha la sensazione di persone innocue […] quindi sgombero TOTALITARIO […]
resta inteso che il provvedimento dell’internamento non elimina il provvedimento
di fucilare tutti gli elementi colpevoli o sospetti di attività
comunista. Non limitarsi negli internamenti. Le autorità superiori
non sono aliene dall’internare tutti gli sloveni e mettere al loro posto gli
italiani (famiglie dei caduti e dei feriti italiani). In altre parole far
coincidere i confini razziali con quelli politici». [3]
D’altro canto la declinazione fascista di
confini territoriali e confini razziali era stata sin dall’inizio della guerra
una delle chiavi di lettura della misura imperialista del regime.
Mussolini il 10 giugno 1940 in un discorso
tenuto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni aveva affermato: «Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai
Velibiti alle Alpi albanesi ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore […];
avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di migliaia di
elementi allogeni, naturalmente ostili […]; gli Stati che si caricano di troppi
elementi alloglotti hanno una vita travagliata […]; bisogna adottare verso di
essi un trattamento speciale […]; quando l’etnia non va d’accordo con la
geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di
parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini
politici con quelli razziali». [4]
Di fronte alla Resistenza jugoslava ed
alla rivolta antifascista nella regione del Montenegro Mussolini cercò di
ripristinare l’ordine fascista sul territorio inviandovi il generale di Corpo
d’Armata Alessandro Pirzio Biroli che diverrà governatore del Montenegro e che
al termine della guerra sarà iscritto nelle liste delle Nazioni Unite dei
«presunti» criminali di guerra italiani in ragione delle misure di repressione
operate contro la popolazione civile jugoslava:
«Recatevi a Cettigne per dirigere sul posto
operazioni di questa che ormai è una guerra ed insieme ai poteri militari
assumete quelli civili. F. to Mussolini». [5]
Al termine della guerra i danni complessivi denunciati dalla Jugoslavia
alla Conferenza per le riparazioni di Parigi ammontarono a 9 miliardi e 145
milioni di dollari di danni materiali e 1.706.000 morti, pari al 10,8% della
popolazione totale. Di questi, la stragrande maggioranza era rappresentata da
vittime civili giacché, secondo le stime ufficiali jugoslave le perdite tra i
combattenti inquadrati nelle formazioni partigiane E.P.L. e D.P.J. ammontarono
complessivamente a 306.000 uomini. Queste cifre vennero integrate dai dati dei
reduci dei campi di concentramento in Jugoslavia e Italia, dalla distruzione
del 25% degli abitati e dai danni arrecati dagli occupanti ai rami
dell’industria, dell’agricoltura dei trasporti e delle materie prime.
L’Italia a conclusione dei trattati di Parigi venne condannata a pagare
alla Jugoslavia, a titolo di riparazione, 125 milioni di dollari. [6]
ALBANIA
Nella riunione del 13 aprile 1939 del Gran
Consiglio del Fascismo Mussolini affermò: «L’Albania è la Boemia dei
Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in mano la regione balcanica. L’Albania è
una costante geografica dell’Italia. Ci assicura il controllo dell’Adriatico
[…] nell’Adriatico non entra più nessuno […] abbiamo allargato le sbarre del
carcere del Mediterraneo». [7]
Il 7 aprile 1939 l’Albania venne occupata dalle truppe militari del regio
esercito.
Nel corso della guerra la Resistenza albanese rappresentò il principale
elemento politico di contrasto all’invasore fascista e per questo le misure di
repressione territoriale assunsero un carattere uniforme a quello presente nel
resto dei alcani occupati.
Il 14 luglio 1943 venne realizzata, dal regio esercito, un imponente
operazione militare antipartigiana nei villaggi intorno a Mallakasha ed al
termine di quattro giorni di combattimento, in cui vennero usati artiglieria
pesante ed aviazione, tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo
causando la morte di centinaia di civili.
Al termine della guerra l’eccidio di
Mallakasha venne simbolicamente ricordato dalle autorità albanesi come la “Marzabotto albanese” ponendo in relazione i brutali
metodi dell’occupazione tedesca in Italia e quelli fascisti in Albania.
Grecia
Nella riunione del 15 ottobre 1940
tenutasi a Palazzo Venezia Mussolini, Galeazzo Ciano, Pietro Badoglio, Mario
Roatta, Soddu, Francesco Jacomoni e Visconti Prasca discussero della strategia
che l’Italia avrebbe dovuto adottare per invadere la Grecia. Nei suoi
interventi Mussolini non lasciò adito a dubbi sull’azione da
intraprendere: «Lo scopo di questa riunione è quello di
definire le modalità dell’azione – nel suo carattere generale – che ho deciso
di iniziare contro la Grecia […] questa è un’azione che ho maturato lungamente
da mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra ed anche prima
dell’inizio de conflitto[…] Fissata la data si tratta di sapere come diamo la
parvenza della fatalità di questa nostra operazione. Una giustificazione di
carattere generale è che la Grecia è alleata dei nostri nemici […] ma poi ci
vuole l’incidente per il quale si possa dire che noi entriamo per mettere
l’ordine. Se questo incidente lo fate sorgere è bene, se non lo determinate è
lo stesso. […] è per dare un pò di fumo. Tuttavia è bene se potete fare in modo
che ci sia l’appiglio all’accensione della miccia. […] Nessuno crederà a questa
fatalità, ma per una giustificazione di carattere metafisico si potrà dire che
era necessario venire ad una conclusione». [8]
A seguito delle attività provocatorie e
terroristiche sostenute dal governo fascista, Mussolini spedì nelle prime ore
del 28 ottobre 1940 l’ultimatum al governo di Metaxas nel quale si fece
riferimento ai falsi attacchi subiti dall’Albania lungo la zona di confine che
l’Italia aveva delimitato con la Grecia: «Il Governo italiano […] deve
ricordare al governo greco l’azione provocatrice svolta verso la Nazione
albanese con la politica terroristica da esso adottata nei riguardi della popolazione
della Ciamuria e con i persistenti tentativi di creare disordini oltre le sue
frontiere. […] Tutto questo non può essere dall’Italia ulteriormente tollerato
[…] il Governo italiano è venuto pertanto nella determinazione di chiedere al
Governo greco, come garanzia della neutralità della Grecia e come garanzia di
sicurezza per l’Italia, la facoltà di occupare con le proprie forze armate […]
alcuni punti strategici in territorio greco […]; ove le truppe italiane
dovessero incontrare resistenze, tali resistenze saranno piegate con le armi e
il governo greco si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze che ne
deriverebbero». [9]
Nel corso del conflitto le difficoltà
operative incontrate dal regio esercito spinsero all’utilizzo massiccio
dell’aviazione per fiaccare l’opposizione delle truppe greche e per colpire
gravemente la popolazione civile. Mussolini affermò perentorio ai suoi
generali: «In questo periodo di sosta occorre che
l’aviazione faccia quello che non possono fare gli altri. Questi bombardamenti
incessanti dovranno: a) dimostrare alle popolazioni greche che il concorso
dell’aviazione inglese è insufficiente o nulla; b) disorganizzare la vita
civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Quindi voi dovete scegliere
– chilometro quadrato per chilometro quadrato – la Grecia da bombardare». [10]
Al termine del conflitto venne stilato un bilancio dei danni arrecati dagli
occupanti alla Grecia in termini di vite umane, disarticolazione di settori
strategici dell’economia nazionale e di distruzione dei villaggi e delle città
che avevano subito bombardamenti, rastrellamenti e incendi da parte delle
truppe nazifasciste.
I dati pubblicati nel 1946 nella relazione
«Les sacrificies de la Grèce pendant la guèrre 1940-1945»
(verificati dall’agenzia delle Nazioni Unite «United Nation Relief and
Rehabilitation Administration (UNRRA)» e dalla Croce Rossa)
certificarono: «Il primo anno dell’occupazione (1941-1942) fu
incontestabilmente il più doloroso per il popolo greco […]; molti paesi europei
furono conquistati dall’Asse e videro le loro popolazioni in balia delle
privazioni e delle sofferenze. Tuttavia nessun popolo ha sofferto quanto il
popolo greco a seguito delle privazioni e della fame. […] Gli uomini, le donne
e soprattutto i bambini che la fame aveva ridotto allo stato di scheletri
vagavano per delle ore intere per le strade […] Tutte le mattine la polizia si
occupava di sgomberare dalle strade decine, alle volte centinaia, di cadaveri.
Di tutti i paesi conquistati la Grecia è
quella che conta proporzionalmente la più grande quantità di ostaggi e vittime
delle persecuzioni e di esecuzioni. Prova inconfutabile della partecipazione
unanime del popolo greco alla resistenza nazionale. […] Tremilasettecento
(3.700) villaggi e città furono in tutto distrutti, una parte a seguito di
bombardamenti, saccheggi ed incendi. A seguito di queste distruzioni 1.200.000
persone, cioè 1/6 della popolazione totale del paese si trovano senza riparo.
88.000 famiglie contadine nelle macerie delle loro abitazioni, 30.000 famiglie
contadine vivono in case semidistrutte, 510.000 famiglie urbane sono
miseramente alloggiate. […] L’armata dei partigiani ingaggiò nelle montagne dei
duri combattimenti di cui il prezzo fu pesante. Con le rappresaglie gli
occupanti massacrarono più di 40.000 persone, per lo più donne e bambini, e
incendiarono 3.000 villaggi». [11]
Secondo i dati forniti dal rapporto i morti in totale durante l’occupazione
della Grecia ammonterebbero ad un totale di 620.000 persone: 360.000 morti a
causa della fame; 30.000 morti a causa della guerra; 7.000 vittime dei
bombardamenti; 43.000 persone uccise da esecuzioni operate da tedeschi (35.000)
ed italiani (8.000); 25.000 persone uccise da esecuzioni operate dai bulgari;
60.000 morti tra la popolazione giovanile; 45.000 morti tra gli ostaggi ed i prigionieri
dei nazifascisti; 50.000 morti tra le file della resistenza greca.
Oltre 190.000 persone risultano perseguitate ed imprigionate dalle truppe
occupanti: 100.000 da parte tedesca; 35.000 da parte italiana; 50.000 da parte
bulgara; 5.000 da parte delle milizie albanesi inquadrate, addestrate e
comandate dall’esercito italiano.
Le deportazioni dei prigionieri fuori dal
territorio greco raggiunsero la cifra di 88.000: 40.000 eseguite dai tedeschi;
18.000 dagli italiani; 30.000 dai bulgari. [12]
Dall’Italia all’Africa, dai Balcani alla Russia le promesse criminali di
Mussolini erano state mantenute. Fu la Resistenza a farsi carico di chiederne
conto al dittatore e ai suoi gerarchi.
Davide Conti, Curatore per l’Archivio
Storico del Senato della Repubblica del riordino dei fondi «Rosario
Bentivegna»; «Carla Capponi»; «Mario Fiorentini-Lucia Ottobrini»
[1]
T.Sala-S. Bon Gherardi, L’Istria tra le due guerre,
Bollati Boringhieri, Torino, p.30.
[2]
U.Cavallero, Diario, edizioni Ciarrapico,
1984, Cassino, p. 443.
[3] Verbale 2 agosto 1942 della riunione
di Kocevje indetta dal generale Mario Robotti, in «Quaderni della Resistenza»,
Anpi Friuli-Venezia Giulia, n.10, Udine 2003, pp. 30-31.
[4] «Il Piccolo di Trieste» 11
giugno 1941.
[5] Archivio Storico Ministero
Affari Esteri (Asmae), Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale
1923-1943, serie V, busta 2, AP 49, Montenegro, telegramma n.20983 del luglio
1941 di Mussolini al generale Pirzio Biroli.
[6]
Cifre della Commissione jugoslava presentate nella Conferenza per le
riparazioni di guerra tenutasi a Parigi nel 1945, in J. Marjanovic,Guerra popolare e rivoluzione il Jugoslavia 1941-1945, Ediz.
Avanti! Milano 1962 pp. 153-154.
[7]
Verbale riunione Gran Consiglio del Fascismo 13 marzo 1939, in E. Misefari, La Resistenza degli albanesi all’imperialismo italiano, Ediz.
Cultura popolare, Milano 1976.
[8] Ufficio Storico Stato Maggiore
dell’Esercito (USSME), documenti del Tomo II, «La Campagna di Grecia», verbale
riunione di Roma 15 ottobre 1940, documento n.52, pp. 159-163.
[9]
Ussme, ibidem, nota del governo italiano al governo greco
presentata dal Ministro Grazzi al Presidente del consiglio ellenico alle ore 3
antimeridiane del 28 ottobre 1940, documento n. 65, pp. 184-185.
[10]
Ussme, ibidem, verbale riunione tenuta di Roma del 10 novembre
1940, documento n.99, p. 314.
[11]
«Les Sacrificies de la Grèce pedant la guèrre 1940-1945», Edition
de la Ligue «La Paix par la Justice», Atene 1946.
[12] Ibidem.
PUBBLICATO MARTEDÌ 20 NOVEMBRE 2018 DA PATRIA INDIPENDENTE, RIVISTA DELL'A.N.P.I. NAZIONALE
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