di 6000 SARDINE
Onorevole presidente del Consiglio, scriviamo a Lei in quanto massimo
esponente del potere esecutivo, come espressione di una maggioranza
parlamentare. È difficile provare a parlare per conto di una moltitudine di
storie soggettive e desideri che hanno riempito le piazze di tutta Italia,
testimoniando sete di partecipazione e segnando un punto di svolta nel panorama
immobile della politica italiana. La genesi di questa esperienza ci indica che
la spinta iniziale del movimento di popolo a cui abbiamo preso parte sta
proprio nelle diverse anime che lo attraversano, ma che si muovono tutte, con
sicurezza, nel solco dei principi e dei valori sanciti dalla nostra
Costituzione. L’incontro fra generazioni, così come lo stabilire un nesso
comunicativo fra di loro, è un fatto importantissimo, impensabile fino a
qualche tempo fa.
Osservando ciò che è accaduto, ci rendiamo conto che
dopotutto sono bastate un po’ di empatia e di cura nell’utilizzo delle parole
per coinvolgere una parte di cittadinanza che si sentiva naufraga in una
burrasca di “tweet” e “post” che rendeva sempre più distante la speranza di un
approdo. Presidente, noi non abbiamo nulla da insegnare, ma oggi tutti ci
chiedono come si sconfigge quel populismo che fino a tre mesi fa sembrava
inarrestabile. Non chiediamo riconoscimenti ma ascolto: abbiamo orecchie, occhi
e cuori sparsi per l’Italia e tante storie da raccontare che varrebbe la pena
concedersi il tempo di ascoltare.
Non siamo un partito e neanche un governo ma quella connessione che la
politica va cercando da decenni e quell’abbraccio che per troppo tempo è
mancato tra noi italiani. Siamo il ritorno alla partecipazione, ma non
presentiamo conti da saldare. Abbiamo però un obiettivo: intendiamo arrivare
dove gli slogan del populismo rischiano di ingannare gli elettori di oggi
per poi generare i delusi di domani.
Vorremmo arrivare nei luoghi in cui la politica rischia di perdere il suo
senso più nobile, lì dove qualcuno pensa che la dignità dei cittadini valga
meno di una manciata di voti. Per farlo abbiamo bisogno di capire di chi
possiamo fidarci: noi procediamo in banchi, ma sappiamo bene che in mare aperto
è possibile imbattersi in predatori famelici. Abbiamo bisogno di confrontarci,
di dialogare e trovare interlocutori credibili e leali. Capiamo l’attenzione
dalle politica parlamentare, ma abbiamo bisogno di risposte e non di attestati
di simpatia. Nutriamo profondo rispetto verso le Istituzioni, e abbiamo un alto
senso dello Stato: è per questa ragione che abbiamo sentito l’urgenza di
metterci la faccia e il corpo in un momento di grave crisi di valori.
Preferiamo i politici coraggiosi e lungimiranti a quelli che ogni giorno
dicono di risolvere un problema. Vogliamo essere l’argine laddove una certa
politica genera macerie, legittima un linguaggio d’odio che colpisce chi non
risponde a precisi schemi sociali di potere, disegna cornici entro le quali la
diversità e la pluralità costituiscono un ostacolo invece che un’opportunità.
Amiamo la politica anche se ce n’eravamo dimenticati essendoci spess o sentiti
orfani di rappresentanza. Crediamo nel ruolo dei corpi intermedi. Ci entusiasma
sentirci protagonisti e se siamo apparsi dormienti è forse perché siamo stati
invitati nella maniera sbagliata.
Siamo a disposizione della buona politica: dal basso, magari ingenuamente,
ma di sicuro con spontaneità e gratuità. Ci fidiamo forse più di noi stessi che
della classe politica, eppure siamo pronti a metterci in discussione perché
crediamo nel processo di riavvicinamento che abbiamo intrapreso. Ma sappiamo bene
che tutto ciò non dipende solo da noi cittadini. Vediamo tanta confusione, sia
nel Paese, sia nel Parlamento, ma ci piace pensare che la matassa da sbrogliare
possa diventare una rete di salvataggio.
Noi di reti ci riteniamo abbastanza esperti e ci piacerebbe trovare con Lei
i fili giusti, per tessere percorsi e provare a sciogliere nodi. A partire dal
Sud, un filo un po’ maltrattato, ma che malgrado tutto conserva la sua dignità
e aspetta solo di divenire rete, parte di un coraggioso e fiero intreccio finalizzato
alla crescita e alla cura. Il luogo in cui tante giovani menti, e persone nella
loro interezza, crescono, si formano, ma poi vanno via. Il secondo filo si
chiama Sicurezza: sicurezza di un lavoro e sul lavoro, sicurezza di assistenza
sanitaria, sicurezza di accesso ad un’istruzione di qualità. Il terzo filo si
chiama Dignità della Democrazia, ed è quell’arteria vitale che ogni giorno,
nella vita di ogni cittadino, collega la libertà al rispetto delle regole, la
vita reale a quella virtuale, e che può aiutare a capire la differenza tra la
politica con la P maiuscola e i suoi innumerevoli surrogati.
È presumibile che Lei ci dica che di questi temi si è già parlato e che
tanto è già stato fatto. Eppure, a nostro avviso, vi è alla base un problema
d’interpretazione. Le parole sono importanti. Quando il concetto di Sicurezza
viene messo in contrapposizione al salvataggio di vite umane, alla tutela dei
diritti fondamentali della persona dentro e fuori i confini nazionali o di
percorsi d’integrazione e cittadinanza, si generano eclissi della ragione e
sonni della civiltà. Quando il problema del Sud diventa l’invasione degli
stranieri e non la fuga degli autoctoni o l’assenza di opportunità, si esclude
ogni possibile sinergia tra l’accoglienza e la permanenza. Quando una certa
politica si ciba della contrapposizione tra salute e industria, si mina ogni
possibilità di sviluppo e di lavoro e si logora la reputazione dello Stato.
Quando le campagne elettorali divengono un ring senza regole né limiti alla
decenza si accentua la distanza tra i cittadini e la Res Publica. Non siamo
esperti, né tuttologi, ma siamo a disposizione, prima di tutto come individui e
poi con le tante competenze che abbiamo al nostro interno. Saremo i primi a
rinunciare ad un’automobile se ci verrà proposta un’alternativa credibile, i
primi a difendere le fasce fragili ed emarginate della popolazione quando lo
Stato non riuscirà a farsene carico, i primi ad investire se si scommetterà
sull’innovazione e a lavorare se verranno assicurate le giuste garanzie
sociali. Saremo i primi a pagare le tasse perché le abbiamo sempre pagate, ma
anche i primi a lodare un servizio pubblico quando questo sarà all’altezza
delle aspettative e proporzionale ai sacrifici richiesti per renderlo fruibile.
Saremo i primi a riempire le piazze quando la politica di qualsiasi colore
mostrerà di non rispettare l’intelligenza delle persone, la dignità dei
cittadini e la storia della nostra Repubblica.
Potremmo essere il popolo che avete sempre voluto, se riuscirete a dare
corpo alla politica che abbiamo sempre sognato. Abbiamo portato luce a
Bibbiano, Riace, Taranto. Saremo a Napoli e non vediamo l’ora di raggiungere
ogni luogo che merita di essere raccontato e di raccontarsi. Ma da soli non
bastiamo a noi stessi. Per uno strano scherzo del destino molte persone cercano
risposte in noi, quando dovrebbero chiederle anzitutto alle istituzioni della
Repubblica.
Non ci presentiamo a Lei nelle vesti di oracoli ma ci conceda, per un
giorno, di sentirci come Ermes. Smettiamola di considerarci solo come elettori
e politici. Iniziamo a onorare i nostri ruoli di cittadini e amministratori.
Ognuno faccia la sua parte ma torniamo a dialogare. Crediamo possa essere
questo il primo nodo da sciogliere, il primo passo verso un’Italia migliore.
La Repubblica, 1 febbraio 2020
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