Totò (Ph. Gigi Petix) |
Un documentario di Gaetano Di Lorenzo sulle recite al
Politeama con la testimonianza dell’oculista che gli impresari volevano
corrompere
Quando Fellini decise di rendergli omaggio in
quell’esoterico sberleffo al mondo del cinema che è il suo Toby
Dammit, lo rappresentò come una barcollante apparizione in frac a un party
di produttori, con occhiali fumè e bastone da ipovedente, l’ex mattatore di
varietà accompagnato da un’attrice che giganteggia al suo fianco accudendolo
come un’infermiera. Per Totò, il più sublime e terragno dei nostri attori a cui
spettò post mortem un destino d’intramontabilità, anche la cecità è
stata un elemento utile a forgiarne l’icona, insieme a quella fama che,
inossidabile, ancora oggi tracima da una generazione all’altra. Di conseguenza,
continua a emozionarci il capitolo esistenziale del Principe riguardante
l’episodio di quel trauma che, rendendolo quasi cieco, lo costrinse al
definitivo ritiro dalle scene. Il fattaccio, com’è noto, si consumò sulle
tavole del Politeama Garibaldi di Palermo, durante l’infausta replica del 3
maggio 1957 di una rivista prodotta dal signor Errepì, il re degli impresari
Remigio Paone, che per Totò segnava il trionfale ritorno in teatro dopo i sette
anni in cui era stato risucchiato dal cinema.
Una rivista che aveva lo stesso titolo, A prescindere, del
recente documentario con il quale Gaetano Di Lorenzo — volenteroso esploratore
dei sentieri meno battuti del made in Sicily ( suo è il lodevole e
premiato A proposito di Franco che ricostruisce vita e carriera del
regista Indovina) — rende omaggio al calvario del maestro di tutti.
Lo fa con scrupolo, e con un garbo da paleo-tv, ricostruendo, nei 55 minuti
prodotti dalla ArkNoah con la collaborazione della Sicilia Film Commission, i
giorni che precedettero l’annuncio, temuto dai fans, a cui l’8 maggio offrì
caratteri cubitali la prima pagina del giornale L’Ora: “Totò quasi
cieco scioglie a Palermo la compagnia”. Di Lorenzo, affiancato da Francesco
Torre per la sceneggiatura, recupera le immagini del mitico spettacolo
amatorialmente riprese da un ballerino della compagnia a Livorno, adopera
testimoni e ricostruisce un’intervista immaginaria al Principe (chiamando
Ferdinando Chifari e Gianfranco Ponte a interpretarla). Il tutto per riesumare
gli avvenimenti e commentarli con alcune vibranti riflessioni di De Curtis
alias Totò e della sua ultima amatissima compagna di vita Franca Faldini.
Così ripercorriamo la sequenza del dramma, già riportata in “ Totò,
l’ultimo sipario”, un memoir del 2013 scritto dal giornalista Giuseppe Bagnati,
a cui questo documentario si ispira.
Il 3 maggio al Politeama, Totò era impegnato a fare il verso a Gassman in
uno sketch su Napoleone quando, all’improvviso, si guardò intorno a occhi
sbarrati e voltò le spalle al pubblico che si scompisciava invocandolo come un
santo («Totò, si ‘na muntagna ri zuccaro!»), per poi sussurrare alla sodale
Franca, che recitava accanto a lui, « Non ci vedo, è buio pesto». Quella sera
prevalse l’ostinazione del “must go on”, del tirare avanti stoicamente per
arrivare alla marcetta in passerella, e lo stesso nei due giorni delle repliche
successive, quando il Principe sfidò l’avvicendarsi delle emorragie che
aggravarono ( forse per via di una precedente broncopolmonite) le già precarie
condizioni dell’occhio sinistro e quelle del destro traumatizzato, fino a
quella che sarebbe stata l’ultima recita di domenica 5.
Il giorno appresso arrivò la resa, dopo la sentenza medica attestante il «
severo stato patologico » del paziente. Ai duemila palermitani accalcati
davanti al Politeama la brutta notizia dello spettacolo sospeso arrivò insieme
al clamore degli strilloni che si sgolarono diffondendo l’annuncio “ Totò
annurbò!”. All’attore non rimase che tornare mestamente nella sua Napoli, e poi
a Roma, per affrontare una lunga convalescenza. E questo mentre il tam- tam sul
dramma provocava la solidarietà dei colleghi, molti dei quali (Tino Scotti
in testa) si dichiararono disposti a donare un occhio al Principe purché
potesse continuare a lavorare. Cosa che fece, ma solo nei film, fino al 15
aprile del 1967, quando morì stroncato dalla gragnuola d’infarti.
Ma a proposito delle « ore di schianto e di apprensione » ( così qualcuno
scrisse) vissute a Palermo, Di Lorenzo dà la parola a quell’oculista, Giuseppe
Cascio, a cui si deve la decisiva visita che avvenne nel suo studio di via
Meccio in quel maledetto lunedì di 63 anni fa. L’occasione è buona per
rievocare le spiritosaggini del Principe ( « Veda professore, dall’ombelico in
giù la situazione è normale, viceversa dall’ombelico in su… » ), la diagnosi di
retino- coroidite che lasciò poche speranze, e lo sgradevole episodio dei due
impresari di Caltagirone, inquietati dal fatto di dover rinunciare ai “ sold
out” di qualcuna delle rimanenti repliche siciliane di A
prescindere, che offrirono una lauta ricompensa all’oculista in cambio di
una compiacente attenuazione della diagnosi nella relazione medica per
convincere Totò a proseguire la tournée, e che furono bruscamente accompagnati
alla porta.
Quegli impresari si mossero sulla stessa linea del loro collega Paone, che
arrivò a pretendere per il suo scritturato una visita fiscale, un gesto cinico
che provocò la definitiva rottura dello storico sodalizio. Accanto alle
testimonianze del fotografo Gigi Petyx, autore del primo scatto palermitano di
Totò mentre abbassa gli occhiali da sole svelando lo sguardo perso nel vuoto, e
di qualche estasiato totòfilo, tra cui lo stesso esegeta Bagnati e il
giornalista Nello Bonvissuto presente a una delle repliche del Politeama, il
documentario dà spazio a quella di un altro fan d’eccezione: è l’attore Elio
Pandolfi, protagonista della grande stagione dell’italico teatro leggero e che
qui racconta, dall’alto dei suoi 93 anni, l’emozione di stare seduto in platea
davanti a uno spettacolo della leggendaria coppia Totò e Anna Magnani.
Ma il ricordo più toccante è quello di Franca Faldini ( scomparsa nel 2016
e qui efficacemente richiamata dalla voce di Emanuela Mulé), quando evoca
l’unica occasione in cui, durante il suo travaglio da ipovedente, Totò pianse.
Successe di fronte a uno specchio domestico, appena si rese conto che il frac,
indossato tante volte sulla scena, gli stava stretto per via dell’impinguamento
causato dall’ozio forzato. Forse in quel caso il Principe si convinse che per
lui si chiudeva un cerchio.
La Repubblica Palermo, 30 gennaio 2020
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