di Attilio Bolzoni
L’aggressione del boss all’agente in cella rompe i
codici sull’uso del corpo. Dai baci in bocca alle "taliate" mute, così
comunicavano fedeltà e potere
La mafia di Corleone l’avevamo dichiarata estinta il 17 novembre del 2017
con la morte di Totò Riina ma (anche se gli storici forse riporteranno quella
data come epilogo della stirpe criminale più sanguinaria della Sicilia) la
cronaca ci sta raccontando qualcos’altro di molto interessante. E cioè che la
scomparsa antropologica di quella razza mafiosa si è consumata per davvero il
16 gennaio 2020, giorno in cui Leoluca Bagarella ha preso a morsi un agente di
custodia. Un "muzzicuni", che in siciliano vuole dire appunto morso,
all’orecchio di un operatore della polizia penitenziaria che lo stava scortando
dalla cella alla sala delle videoconferenze del carcere di Sassari, per
presenziare al processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia. È il gesto banale e finale, l’atto che rivela sino in fondo l’impietosa
fine dei Corleonesi, l’impotenza che trasforma uno degli uomini più pericolosi
d’Italia — ideatore delle stragi Falcone e Borsellino e di quella di Firenze, l’assassino del commissario Boris Giuliano e del colonnello Ninni Russo,
l’esecutore materiale dei delitti contro il boss Giuseppe Di Cristina e
dell’esattore Ignazio Salvo — in una sorta di Hannibal the Cannibal dei poveri
che può sfogarsi ormai solo addentando qualcosa o qualcuno.
Cognato dello
"zio Totò" che ne ha sposato la sorella Ninetta, incarcerato al 41
bis dal giugno del 1995, Leoluca Bagarella con quell’atto così poco
mafiosamente "corretto" ha messo una pietra tombale sul regno di
Corleone. Lui che faceva paura perfino a Bernardo Provenzano quando
reggeva la Cosa Nostra dopo le bombe di Capaci e di via D’Amelio, che irrideva
il vecchio padrino titubante sulla strategia del terrore portata avanti e gli
diceva: «Allora, se non ci vuoi seguire appenditi un cartello al collo con su
scritto "Io, Provenzano, non sono daccordo con le stragi"...».
Provenzano non replicò intimidito. Lo Stato non ha perso e la mafia non ha
vinto come scrivono i professori Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo che alla
vicenda hanno dedicato una pregevole pubblicazione (per mafia indichiamo
esclusivamente quella Corleonese) A processo
1996: Leoluca Bagarella nell’aula bunker della Dozza a Bologna
e in effetti il "gesto" del disperato Bagarella rappresenta il
capolinea per quell’anomala generazione di boss.
Gesti. La mafia che ha sempre parlato senza parlare, ne ha ha fatto largo
uso. Del bacio per esempio. Nelle borgate palermitane fra di loro si baciano
ancora in bocca "ma senza lingua", antica consuetudine ai più
ignota sino a quando è arrivata la storia nel 1987 del famoso bacio (molto
presunto) fra il capoclan Balduccio Di Maggio e l’allora presidente del
Consiglio Giulio Andreotti. Lo raccontò lo stesso Balduccio ai procuratori ma i
giudici non gli credettero. Un incontro a casa dei Salvo, una specie di
trattativa misteriosa che non si capì mai sin quando non ci venne in soccorso
con la sua intelligenza lo straordinario attore Ciccio Ingrassia. Con parole
che sono oro: «Io non lo so se si siano mai incontrati Andreotti e Riina, ma
sono sicuro di una cosa: se si sono incontrati si sono baciati».
Gesti. Anche più recenti, giugno 2017, Locride, San Luca. C’è il latitante
Giuseppe Giorgi detto "La Capra", ricercato dal ’94 arrestato dai
carabinieri a casa sua. Lo trascinano fuori e un uomo — legato a lui con il
"San Giovanni", che significa una parentela acquisita — si precipita
verso l’ammanettato per inchinarsi e baciargli la mano. A nome di tutta la
famiglia. Anche "mezza parola" a volte è troppo. Basta la "talìata",
la guardata. Come quella dei detenuti del maxi processo riservata al grande
pentito di Cosa Nostra Tommaso Buscetta, quando per la prima volta entra
nell’aula bunker dell’Ucciardone come testimone. Nessuna invettiva, nessun
"gran cornuto" gridato dalle gabbie, solo silenzio. Un po’ paura e un
po’ rispetto. La mafia è fatta anche così, di queste cose che si mischiano.
E poi i patti e i ricatti. Le mani che s’intrecciano e poi si confondono.
Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano negli anni ’70 e negli anni ’80 che sono
una sola persona, la politica e il sangue, il profumo e la merda, le sale
damascate e le borgate, la legge e l’impunità. Mani sudate e volti invisibili.
C’è tutta una letteratura che va da fine ’800 ai nostri giorni. Dove tutto è
indistinto, il bene e il male, i buoni e i cattivi. Ecco perché quel
"muzzicuni", quel morso, segna la fine di un’epoca. È l’afflizione,
l’angoscia di chi non ha più speranza. Leoluca Bagarella, la tua storia finisce
qui.
La Repubblica, 18 genn 2020
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