Giuseppe Antoci |
Il procuratore De Lucia replica all’Ars: " Nessun
dubbio, l’attentato c’è stato" Il " protocollo" voluto dall’ex
presidente si è rivelato un ostacolo per gli imbrogli
di Antonio Fraschilla
«Forse siamo passati da un eccesso a un
altro: dai Nebrodi con i riflettori sempre accesi e trasformati in una specie
di meta di pellegrinaggio dell’antimafia gridata, al silenzio e al cono d’ombra
di oggi. L’operazione della procura di Messina mette però un punto fermo sulla
presenza mafiosa e sulla bontà del protocollo Antoci nella lotta alla
criminalità, e da qui non si torna indietro ». Il sindaco di Troina Fabio
Venezia, sotto scorta e che già quattro anni fa ha tolto quattromila ettari di
terreni pubblici a famiglie in odor di mafia, mantiene sempre un profilo basso
e i piedi bene a terra quando c’è da commentare vicende che riguardano questa
fetta di Sicilia. E come non amava salire sul carro dell’antimafia pellegrina
prima, non vuole gettare «il bambino e l’acqua sporca » per i veleni su quella
stagione.
Veleni e silenzi che ruotano tutti attorno alla vicenda di Giuseppe Antoci
e agli anni della sua presidenza del Parco dei Nebrodi: è stato lui che ha
inventato e lanciato il protocollo che porta il suo nome e che per la prima
volta ha inserito l’obbligo della certificazione antimafia per ottenere risorse
pubbliche della Ue e non solo. Un protocollo diventato legge e che ha creato
molti problemi alle organizzazioni mafiose dei vari Bontempo Scavo, Pruiti e
Conti Tanguali. Non a caso al cuore della mega- indagine della procura di
Messina del Gico e dei Ros che ieri ha portato all’arresto di 94 persone c’è
proprio il protocollo Antoci: per aggirarlo le famiglie mafiose cercavano
prestanome e intestavano terreni anche ai morti.
Ma al centro del veleni c’è soprattutto la sera del 17 maggio del 2016, la
sera delle pallottole sparate contro la macchina blindata di Antoci e della sua
scorta. La commissione regionale Antimafia guidata da Claudio Fava ha da poco
votato una relazione che ha avanzato più di un dubbio su quell’attentato,
parlando anche di una possibile « messa in scena » e definendo la pista
mafiosa «la meno plausibile » . Ieri il procuratore Maurizio de Lucia, a
margine della conferenza stampa sugli arresti per le truffe alla Ue, ha voluto
ribattere a queste tesi che derubricano i fatti di quella sera al massimo a un
atto dimostrativo: « Abbiamo una documentatissima indagine che non ha portato
ai responsabili ma certo non ha mai messo in dubbio che l’attentato vi sia
stato, dopo di che tra i moventi possibili mi pare evidente che l’azione
derivante dal protocollo Antoci sia una ragione che può largamente
giustificarlo » , ha detto, ribadendo la pista di mafia.
Il comandante dei Ros, Pasquale Angelosanto, ha rincarato la dose in
un’intervista video su LiveSicilia: « Le investigazioni hanno
consentito di contestualizzare l’attentato ad Antoci che adotta il protocollo e
incide concretamente su questi grumi di interessi mafiosi».
Messaggi che sembrano andare in direzione opposta a quelli lanciati dalla
commissione Antimafia di Fava e ribaditi a Sala d’Ercole, davanti al presidente
della Repubblica Sergio Mattarella, dal capogruppo di Italia Viva Nicola
D’Agostino.
Di certo c’è che i veleni hanno portato la politica regionale a far calare
il silenzio sui Nebrodi e sul Parco. Nell’arco di due anni si è passati
dall’eccesso delle passeggiate e manifestazioni antimafia a ogni piè sospinto
di Rosario Crocetta e dell’ex senatore Giuseppe Lumia, alla sordina del governo
Musumeci. Il presidente della Regione tra i suoi primi atti ha messo alla porta
Antoci, facendo concludere definitivamente la parabola dell’ex presidente del
Parco: prima lanciato in orbita, all’indomani dell’attentato, da Matteo Renzi (
che lo nominò responsabile legalità del Pd), poi messo da parte e mai candidato
con i dem.
Peccato però che a due anni da questa cacciata il governo Musumeci non
abbia ancora nominato un nuovo presidente del Parco: l’ente è retto da un
commissario, Gianluca Ferlito, dirigente del Corpo forestale, appena rinviato a
giudizio in un’inchiesta sull’affare delle guide sull’Etna con l’accusa di
rivelazioni di segreto d’ufficio e corruzione.
Da un eccesso a un altro, i Nebrodi non sembrano poter vivere una stagione
di una normalità fatta di atti concreti per migliorare i servizi al territorio
e lotta alla mafia. E in questo guado, alla fine, le famiglie che su questi
monti da decenni dettano legge provano a rialzare la testa, come dimostra
l’indagine di ieri.
La Repubblica Palermo, 16 genn 2020
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