Leonardo Sciascia |
DONATELLA MARINELLO
Nel novembre del 1989 Sciascia muore. Il
trascorrere del tempo non ha sottratto
alcunché all’attualità delle sue opere, esse sono tuttora in grado di dialogare con la contemporaneità
di un Paese, il quale , sia pure cambiato anche sotto il segno delle
globalizzazione, rivela nei dettagli le
stesse problematiche che l’autore ha narrato in un trentennio di vicende, di
atteggiamenti, di costumi, di modi di agire
che dagli anni cinquanta arriva fino alla fine degli ottanta del
Novecento. L’ assenza di una delle voci civili più acute della nostra
letteratura non è né satura di silenzio né agisce per
sottrazione, basta aprire una pagina della sua scrittura cristallina per estrarre un acume in grado di
aggiungere chiarezza al nostro sguardo che osserva la società di
oggi. Leggere Sciascia come una lente di ingrandimento per correggere la visione sfocata del vivere una
contemporaneità che necessita a volte di anni e tempo per rivelarsi a noi in
tutta la sua costruzione di significato.
Per avvicinarsi all’autore, il
lettore di seguito troverà alcune indicazioni che ho selezionato in modo del
tutto personale. La peculiarità della
narrazione di Sciascia, a parer mio, si desume da un brano tratto da "Una storia semplice",
in Opere, Bompiani, nel quale viene
descritto il rapporto che intercorre tra l’esercizio dello scrivere e un brigadiere, protagonista del romanzo e
deputato a risolvere la trama delittuosa.
“Il brigadiere cominciò a fare il suo lavoro
di osservazione, in funzione del rapporto scritto che gli toccava fare: compito
piuttosto ingrato sempre, i suoi anni di scuola e le sue non frequenti letture
non bastando a metterlo in confidenza con l’italiano. Ma, curiosamente, il
fatto di dover scrivere delle cose che vedeva, la sua preoccupazione,
l’angoscia quasi, dava alla sua mente una capacità di selezione, di scelta, di
essenzialità per cui sensato ed acuto finiva con l’essere quel che poi nella
rete dello scrivere restava. Così è forse degli scrittori del meridione,
siciliani in specie: nonostante il liceo, l’università e le tante letture“(pag.736).
Dare testimonianza scritta delle cose che
vediamo conferisce acume e nel contempo
rende la scrittura ricerca e
ricostruzione di verità, non soltanto esercizio
vuoto di parola né prestidigitazione esornativa di suoni.
Il secondo stralcio appartiene a "La corda pazza", Adelphi. Qui lo
scrittore riporta le considerazioni fatte da un poeta e scrittore messinese
Scipio Di Castro, vissuto nel XVI secolo, sul carattere dei siciliani e sulla loro natura
timida e cauta quando si tratta di tutelare gli interessi privati, viceversa
temerari “quando maneggiano la cosa pubblica”. Il trincerarsi nella difesa
materialistica del particulare può
rendere servi e la storia offre parecchie testimonianze in merito. Mi interessa
però muovere da questo brano per riflettere con voi sui rischi innescati dalla
chiusura dentro una dimensione privata, tipica della nostra
contemporaneità. Non viene compromessa solo
la libertà, non ci si consegna a una condizione di potenziale
servitù ma si abdica ad ogni ruolo civico poiché ci si
sottrae anche dal progettare il
benessere di una comunità:
“Timidi quando trattano i loro affari, poiché
sono molto attaccati ai propri interessi
e per portarli a buon fine si trasformano come tanti Protei, si
sottomettono a chiunque può agevolarli e diventano a tal punto servili che
sembrano nati per servire” (pag. 12).
Il terzo brano è un estratto dal romanzo "Le parrocchie di Regalpetra", Editori
Laterza . Siamo nel secondo dopoguerra, un
maestro elementare osserva i suoi
alunni affamati, del tutto refrattari ad una scuola percepita come luogo di
costrizione. Egli ha avuto la
possibilità di svincolarsi da un determinismo che ha ostacolato nei
secoli ogni prospettiva di
miglioramento della posizione sociale di
chi ha subìto solo miseria e vessazione. La consapevolezza di avere una vita migliore per sé e per la propria
famiglia non dissipa tuttavia
l’inquietudine che si aggruma in
un nodo di paura poiché ogni conquista può frantumarsi “finché l’ingiustizia sarà nel mondo” mentre
il caso consegna la fragilità di una vita alla carta che si
scopre dentro le volubili variabili del gioco .
“Io penso - se fossi dentro la cieca miseria,
se i miei figli dovessero andare a servizio, se a dieci anni dovessero portare
la quartara dell’acqua su per le scale, lavare i pavimenti, pulire le stalle; se
dovessi vederli gracili e tristi già pieni di rancore; e i miei figli stanno
invece a leggere il giornalino, le favole, hanno i giocattoli meccanici, fanno
il bagno, mangiano quando vogliono, hanno il latte il burro la marmellata;
parlano di città che hanno visto, dei giardini nelle città, del mare. Sento in
me come un nodo di paura. Tutto mi sembra affidato ad un fragile gioco;qualcuno
ha scoperto una carta, ed era per mio padre, per me, la buona; la carta che ci
voleva. Tutto affidato alla carta che si scopre”(pag.111).
Attraverso questa selezione di brani,
emerge lo scrittore di cose,
fedele al suo impegno civile, vigile e attento custode della ragione. Dentro il cono d’ombra proiettato dal caso che aggiunge incertezze alle nostre
vite che nega o schiude la speranza che consente o tronca un destino alternativo,
un punto fermo a cui afferrarsi rimane l’essere fedeli testimoni del nostro oggi e costruttori attenti di un
presente nel quale siamo chiamati ad agire come cittadini. “Noi siamo quello
che facciamo”, postula un personaggio sciasciano (Candido, 1977) e ancora
l’autore evidenzia in un’intervista alla
francese Padovani: “Ritengo che non si arriverà mai a niente di perfetto, di
giusto e di affatto libero, in materia di organizzazione politica e sociale, ma
che occorra vivere e lottare come se si fosse convinti di arrivarci ("La Sicilia come metafora", 1979). La spinta propulsiva ad agire,condensata
nel come se , mi appare una
straordinaria eredità lasciata dallo scrittore, al pari della virtus che sprona
il contadino a seminare indipendentemente dal raccolto, sicché dentro la voragine oscura delle infinite possibilità, tra questo spazio e questo tempo, Sciascia
continua a dialogare con noi.
Donatella Marinello
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