di Agostino Spataro
1… Questo piccolo
libro prende spunto dal rinvenimento di una bella poesia “La partenza
dell’operaiu per l’America” di Domenico Azzaretto, a noi ignota, pubblicata nel
1908 dalla stamperia di Giuseppe Pennarelli di Fiorenzuola d’Arda, (Piacenza),
recentemente segnalatami da . Francesco Giuffrida studioso di tradizioni e di
canti popolari siciliani. Un lavoro davvero interessante che mette in luce il
talento di questo poeta di Ioppolo Giancaxio, come tanti emigrato negli Usa nel
1906. Zi Minicu trasse da questa esperienza d’oltre Oceano ispirazione per
comporre due poemetti che, fatto raro per quei tempi, mettono al centro il tema
drammatico dell’emigrazione siciliana agli albori del secolo trascorso.
(Pdf gratuito
qui: https://libriagostinospataro.blogspot.com/…/i-miei-gufetti.…
Una poesia
semplice, spontanea ma intensa che, per altro, s’intona con l’attuale fenomeno migratorio
in uscita da Ioppolo, dall’Italia e immigratorio proveniente dall’Africa,
dall’Asia e dall’America latina e orientato verso l’Italia, l’Europa e il nord –
America.
Chi era
Domenico Azzaretto?
I pochi
concittadini che lo conobbero- da me intervistati- lo ricordano come u zi Minucu
Azzarettu, poeta e suonatore ambulante.
Usava la sua
poesia, la sua musica per vivere. Anzi, per sopravvivere- direi- non avendo
altri mezzi di sussistenza.
Oltre a
questi rari e vaghi ricordi, mi piace richiamare il cenno biografico che ne
traccia Mimmo Galletto nella piccola antologia “Voci della memoria- Poeti popolari ioppolesi” (*) che rende bene
il suo profilo umano e professionale..
“Egli nacque a Ioppolo il 29 maggio
1864 e vi morì il 7 gennaio 1944. Professione ufficiale dagli atti
dell’anagrafe: suonatore ambulante. Svolgeva anche la funzione di sagrista e il
“mestiere” di poeta, nel senso che componeva versi su commissione e ne riceveva
un compenso. La sua poesia è al servizio di tutti per lodare o per biasimare,
infatti da “occasioni” e da “commissioni”, trae ispirazione. Con facilità, con
leggerezza quasi e spesso felicemente…”
A Ioppolo si
conoscono soltanto alcune composizioni di Azzaretto pubblicate nella citata
antologia. Nessuno sapeva, sa, dei due poemetti gemelli: “La partenza dell’operaio per l’America” e “La miseria dell’operaio in America”.
Una gradita sorpresa che- a mio
parere- si configura come un piccolo caso letterario nel più vasto panorama
della poesia popolare, vernacolare siciliana…
2… Questo libretto ha lo scopo di rendere
giustizia e onore al merito di Domenico Azzaretto, di Giancasciu, autore di due
poesie, intense e in controtendenza, composte agli esordi del ‘900 e pubblicate
e divulgate, a sua e nostra insaputa, negli ultimi decenni e riprese, divulgate
da studiosi di alto profilo, italiani e stranieri.
Un rinvenimento postumo, clamoroso,
figlio del caso, che, a 75 dalla morte, conferisce all’Autore una sorprendente
celebrità letteraria in Italia e, addirittura, negli Stati Uniti d’America. Un
poeta ritrovato, dunque! Come resuscitato a nuova vita!
…Può accadere
che un uomo poverissimo appartenente al cosiddetto “populu vasciu” (basso),
dileggiato per la sua povertà, possa diventare (purtroppo a sua insaputa) un
riferimento letterario importante della cultura sociologica nazionale e
internazionale?
Come vedremo, ciò é accaduto a zi
Minucu Azzarettu, poeta e suonatore ambulante, il quale non saprà mai (perché
morto nel 1944) della “scoperta” fatta da Roberto Cavallaro, docente
dell’Università “la Sapienza” di Roma, che nel 1982 pubblicò una dotta
recensione di una sua poesia sulla rivista “Studi Emigrazione/ Etudes
Migrations”, edita dal Centro Studi Emigrazione di Roma, che sarà ripresa da
altri studiosi italiani e stranieri.
Davvero una
felice, clamorosa scoperta che rende merito alla memoria, al talento di
Azzaretto.
Confesso che,
commosso, mi sono buttato in questo lavoro, anche per rendere giustizia,
moralmente s’intende, a questo uomo che in questi scritti dimostra di possedere
acume e sensibilità, purtroppo non sempre apprezzato per la sua creatività,
talvolta mal reputato dalla nostra stessa comunità.
Io, che
provengo dalla povertà ossia dallo stesso ceppo sociale del poeta, che sono
nipote di Agostino Cultrera (coevo di Azzaretto) anch’egli povero e grande
poeta dialettale, sono ben lieto di presentare al pubblico (spero anche ai più
giovani) l’altra faccia del nostro concittadino che, al ritorno da New York, dove incontrò la
drammatica realtà dell’emigrazione, compose le due poesie che fanno riflettere sul “sogno” americano.
Il nostro
vuole essere una sorta di risarcimento morale verso questo poeta che- come
detto- il caso ci ha fatto ritrovare sotto nuove spoglie…
Per
l’opinione popolare Azzaretto non era un poeta autentico, come quelli illustri
e celebrati nei libri di scuola o nei raduni politici, ma solo un poveraccio
che chiedeva la questua.
Parafrasando un famoso detto latino,
potremo dire: nemo poeta in patria. A Giancasciu, non lo fu nemmeno Azzaretto. Seppure la sua poesia era assai
conosciuta in paese e- come vedremo- si farà strada in Italia e all’estero,
divenendo un punto di riferimento culturale per tanti studiosi.
Immagino come sarebbe stato contento u
zi Minicu nell’apprendere dell’interesse suscitato dai suoi componimenti presso
eminenti ricercatori, docenti e sociologi di importanti istituzioni culturali e
università italiane: dalla fondazione “Giovanni Agnelli “ di Torino alle
Università italiane di Roma e di
Palermo; dalla “State University di New York” alla “University of Central Florida”, alla
“Tennessee State University” degli Usa.
3… Talvolta, il popolo, mal consigliato,
scambia la povertà per una colpa e può diventare perfino spietato con i suoi
figli più poveri. Quasi che la miseria fosse desiderata dalla sua vittima e non
imposta dal potere dominante, locale o globale, come conseguenza del suo dominio…
…Invece di
aiuto, di conforto, al malcapitato viene riservato dileggio, indifferenza,
sospetto.
Effetto
questo di una legge terribile e crudele, ancora vigente, che non siamo riusciti
ad
abolire. Nel
passato, tale “legge” era imposta dalla tracotanza dei baroni feudatari, oggi,
nelle mutate condizioni economiche e dello spirito pubblico, dalla perfida
genìa che comanda il mondo.
A quel tempo,
la gente lavorava e viveva in condizioni di semischiavitù, malpagata e
sfruttata fino all’osso, sempre sotto l’incombente minaccia delle più abiette
angherie di aristocratici assenteisti e dei loro campieri e soprastanti che gli
stavano col fiato sul collo.
Zi Minicu,
per liberarsi di questa sorta di maledizione, tentò- come tanti altri poveri
ioppolesi - la via dell’emigrazione nelle Americhe che richiedevano manovalanza
europea per sviluppare e popolare i vasti territori sottratti ai popoli
indigeni con la violenza, talvolta con pratiche genocide.
Il nostro
poeta restò negli Usa per poco; il tempo necessario per rendersi conto della
realtà povera e violenta che caratterizzava la vita nei quartieri degli
immigrati di New York e, al ritorno, volle avvertire, con i suoi versi, i
tantissimi candidati in procinto di partire.
Un’esperienza
personale che però illumina di luce sincera, una realtà drammatica ben più
ampia, di massa come fu l’emigrazione siciliana transoceanica, a cavallo dei
due secoli (800-900)
4… Per averne
un’idea, basta scorrere taluni dati relativi alle diverse fasi migratorie
siciliane.*
Nel cinquantennio 1876-1925, gli
emigrati siciliani diretti verso Paesi transoceanici (Usa, Argentina, Brasile e
altri) furono circa 1 milione e mezzo, corrispondenti a circa il 18% del
totale dell’emigrazione italiana
orientata verso le stesse aree.
Il flusso
migratorio siciliano si orientò, in misura crescente, verso gli Usa che nel
cinquantennio 1876-1925 oscillerà fra il 74,2% del 1876 e il 91,2% del 1925.
Con una crescita del 17%.
Una vera e
propria fuga di massa dalla Sicilia verso gli Usa e il Sud America che nel
ventennio 1901-1919 si concentrò prevalentemente verso gli Usa per il 94% e
solo per il 3,7% verso l’Argentina, per lo 0,5% verso il Brasile e per lo 0,9% verso i restanti Paesi
dell’America.
Nel periodo
considerato (1876.1925) l’incidenza % dell’emigrazione siciliana sul totale
Italia fu:
- del 4,3%
nel periodo 1876-1900, di cui transoceanici 7,7%
- del 12,9% nel periodo 1901-1914, di cui
transoceanici 20,8%
- del 12,2%
nel periodo 1915-1918, di cui transoceanici 22,3%
- del
11,7% nel periodo 1919-1925, di cui
transoceanici 20, 8%
- del 10.0%
nel periodo 1876-1925, di cui transoceanici 17,0%
(* da “L’emigrazione siciliana negli
ultimi cento anni” di Francesco Brancato, Pellegrini Editori, Cosenza, 1995)
Anni duri,
terribili che proseguirono anche nell’intervallo fra le due guerre mondiali,
durante il periodo fascista, nei quali ci si poteva trasferire nelle colonie
d’Africa e continuare a emigrare in America, sempre attratti dal “mito” del
benessere che, per molti, si rivelò una realtà difficile e discriminatoria
Ioppolo non si sottrasse a questo
“destino”. Nel secondo dopoguerra, molti ioppolesi partirono anche perché
sospinti dal fallimento della lotta per la riforma agraria, vanificata da certe
leggerezze dei capi sindacali e, soprattutto, dalla minacciosa protervia dei
suoi nemici. Il sogno della terra a chi la lavora sfumò miseramente e incentivò
l’emigrazione ancora verso le Americhe: Canada, Stati Uniti, Venezuela,
Argentina e, fatto nuovo, verso alcuni paesi europei: Belgio, Francia, Germania
e Svizzera. Una migrazione bi-direzionale di massa che assestò un colpo
durissimo all’assetto demografico del paesino posto alle spalle di Akragante,
svuotando campi e catoi e accelerando il suo declino socio-economico che
continua ancora oggi.
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