Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris |
di LUIGI
NICOLOSI
Napoli – A distanza di dodici anni
non riesce ancora a darsi pace. La revoca dell’inchiesta sul “sistema”
calabrese è ancora una ferita aperta che brucia come non mai. Un dolore che la
maxi-retata culminata negli oltre trecento arresti eseguiti pochi giorni fa ha
reso di nuovo acuto. Il sindaco Luigi de Magistris, ex pm a
Catanzaro, affida così ai social il suo ultimo, lunghissimo sfogo.
Il primo cittadino di Napoli è un fiume in piena. Nella sua arringa-social finiscono tutte le autorità che all’epoca ne avrebbero ostacolato l’operando, disponendone addirittura l’allontanamento: “Hanno cacciato chi aveva scoperto un sistema criminale spaventoso, fatto di corruzioni, mafie e massonerie deviate ed hanno lasciato i collusi liberi di continuare ad operare indisturbati. Nel frattempo la Procura di Salerno andava avanti nelle indagini e nel dicembre del 2008 effettuava delle perquisizioni in Calabria ricostruendo quel sistema criminale che aveva operato per togliermi le indagini e distruggere la vita professionale mia e dei miei più stretti collaboratori. Venivano indagati numerosi magistrati (tra cui il Procuratore della Repubblica, il Procuratore Aggiunto, il Procuratore Generale), politici, uomini delle istituzioni, professionisti. La Procura di Salerno aveva ricostruito tutto minuziosamente, effettuava perquisizioni e sequestri e succedeva qualcosa che non era mai accaduta prima nella storia della Repubblica. I magistrati indagati indagano chi indaga su di loro e sequestrano quello che i magistrati di Salerno avevano sequestrato. Come se i ladri che vengono scoperti a rubare in una gioielleria arrestano i poliziotti che li stanno per arrestare”.
De Magistris ripercorre dunque le
tappe di quelle settimane di fuoco: “Il circuito
mediatico-politico-giudiziario si scatena e si inventa la guerra tra
Procure con il chiaro obiettivo di fermare i magistrati di Salerno che avevano
ricostruito numerosi reati con il coinvolgimento di magistrati e politici. Il
Csm sapeva tutto, il Presidente della Repubblica che presiede il Csm sapeva
tutto, gli stessi d’altronde del mio allucinante procedimento disciplinare, la
Procura Generale della Cassazione sapeva tutto, l’Associazione nazionale
magistrati sapeva tutto. Qualche piccola nota di colore. Il magistrato della
Procura Generale della Cassazione che seguiva gli aspetti disciplinari delle
indagini di Salerno su Catanzaro era Riccardo Fuzio, poi divenuto Procuratore
Generale della Cassazione e recentemente coinvolto, per il reato di rivelazione
di segreto d’ufficio, nelle indagini che hanno riguardato il pm di Roma
Palamara che era, all’epoca delle indagini della Procura di Salerno, presidente
dell’Associazione nazionale magistrati e che si guardò bene dal difendere la
legittima indagine di un ufficio che ha la competenza sui reati commessi in un
altro ufficio giudiziario. In pochi giorni i pubblici ministeri di Salerno
furono rasi al suolo da uno tsunami istituzionale concentrico tra Csm, Procura
Generale della Cassazione, Ministero della Giustizia: puniti e trasferiti,
niente più toga da pm. Finito tutto. Palamara commentò: “il sistema ha
dimostrato di avere gli anticorpi”. Era proprio un sistema. Che amarezza,
uomini senza vergogna. Avete distrutto la vita di un pool di magistrati di
Salerno che non avevano fatto altro che il loro dovere”.
L’excursus di de Magistris approda
così a tempi più recenti, quando era già alla guida di Palazzo San Giacomo: “Ve
lo ricordate il processo surreale a Roma sull’acquisizione dei tabulati
telefonici di parlamentari in cui siamo stati condannati in primo grado per
abuso d’ufficio io e Genchi e poi assolti in appello e in Cassazione? Ricordate
che dopo la condanna in primo grado fui anche sospeso da sindaco e ho dovuto
fare il sindaco di strada, per poi avere ragione su tutto in ogni sede
giudiziaria? Come mai si è tenuto a Roma quel processo quando la competenza era
della Procura di Salerno che ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura
penale procede sulle condotte dei magistrati di Catanzaro? Fu il solito
avvocato Pittelli (indagato nell’ultima maxi-inchiesta sulla ‘ndrangheta, ndr)
che saltò Salerno e si recò a presentare l’esposto direttamente nelle mani del
procuratore aggiunto di Roma, Achille Toro, anche lui poi travolto da fatti
giudiziari. Insomma nelle indagini avevamo individuato un sistema criminale di
tipo piduista che gestiva fiumi di denaro pubblico, incideva sul mercato del
lavoro, condizionava il voto, inquinava il funzionamento delle istituzioni e di
organi di rilevanza costituzionale. Decine di magistrati coinvolti, uomini di
governo, decine di politici, impenditori, professionisti, apparenti alle forze
di polizia ed ai servizi di sicurezza hanno impedito al Paese di sapere verità
che, evidentemente, avrebbero compromesso la tenuta fradicia di alcune
istituzioni. Eravamo pochi, ma motivatissimi, persone oneste, senza prezzo,
autonome, coraggiose. Eravamo arrivati al cuore dello Stato. Avevamo
ricostruito nomi, documenti, fatti, reati. Eravamo circondati, con il nemico in
casa, nello Stato. Oggi, nell’inchiesta coordinata dal Procuratore Gratteri
sono coinvolti alcuni degli stessi nomi ed un contesto anche simile. Coloro che
ci hanno sottratto le inchieste e ci hanno fermato non hanno solo distrutto
vite, anche familiari, di persone oneste che servivano lo Stato, hanno
soprattutto consentito ad un sistema criminale di continuare ad operare. Molti
dei responsabili di quei fatti gravi sono ancora ai vertici delle istituzioni.
I responsabili di quel colpo di stato giudiziario, politico ed istituzionale
sono peggio dei mafiosi. Hanno consentito alla borghesia mafiosa di continuare
a muoversi indisturbata per anni ed hanno impedito che si individuassero
responsabilità ad altissimi livelli istituzionali. Per dimostrare questo non
sono più necessari processi, che avete impedito che si svolgessero, ormai è
storia. Punto”.
Anteprima24.it, 27 Dicembre 2019
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