martedì, dicembre 17, 2019

LA POLITICA: IERI E OGGI. Totò Cacciato intervista Agostino Spataro


Il Partito comunista, i successi, le sconfitte, le speranze, i problemi, i personaggi incontrati visti sotto una luce nuova, senza pregiudizi. 
Negli anni '70, il Pci lottò per la conquista di più avanzati diritti contrattuali e sociali dei lavoratori, 40 anni dopo gli "eredi" del Pci in gran parte li revocarono (abolizione art. 18 Statuto, ecc)-  Ad Agrigento, dopo il congresso provinciale del Pci del 1972, un crescendo di vittorie politiche ed elettorali (dal 25% del 1971 al 35,15% del 1976)- Ciò che non doveva cambiare era il sistema elettorale proporzionale, con il voto di preferenza che consentiva all’elettore di scegliere il candidato-  L“antipolitica” è una politica destrorsa ben orchestrata per creare confusione e  consentire a pochi di appropriarsi delle ricchezze e del potere pubblici- A Berlino non crollò il socialismo (mai realizzato), ma lo “statalismo socialista” e trionfò il “modello" neoliberista-  Si dice che il muro crollò sulla base di un’intesa raggiunta tra Gorbaciov e Reagan nel loro incontro nel mare di Malta del dicembre del 1987- Andreotti diede un contributo rilevante alla politica estera italiana. Andai ai suoi funerali-  La politica sull'immigrazione del Pci si basava su due principi essenziali: accoglienza nella solidarietà e lotta ai flussi clandestini- In America latina sembra essersi svegliato “il gigante dormiente“ ossia il variegato mondo dei  popoli indigeni. Questa é la novità.

Agostino Spataro, fin da giovane militante del P.C.I./ Deputato per tre legislature con prestigiosi incarichi  parlamentari. A quel tempo, le piazze d’Italia erano piene di gente e le bandiere rosse sventolavano al vento, nell’aria le note e il canto “Compagni, avanti!. Il gran partito noi siamo dei lavoratori…”. Era la festosa attese di un comizio politico. Era lo              spaccato degli anni Sessanta, la comunicazione politica si affidava ai comizi in piazza e alle parole  dei più rappresentativi parlamentari del partito, come Gian Carlo Pajetta, Pietro Ingrao, Mario Alicata e altri. Fra gli applausi al comiziante c’era chi gridava "Pane e lavoro". 

1. Domanda.   Onorevole Agostino Spataro  nel 1968 lei aveva vent’anni,  E' passato tanto tempo, siamo ancora a “Pane e Lavoro”.

1. Risposta… Beh! Già nel ’68 il “pacchetto” rivendicativo dei movimenti dei lavoratori si era impinguato, evoluto.  Chiedevano non solo “pane e lavoro”, ma anche servizi, riforme e diritti sociali fino ad allora negati: salari e contratti migliori, statuto dei lavoratori, scuola, sanità, trasporti, pensioni, ecc. Fu quella una stagione di effettivo cambiamento, di progresso delle condizioni di vita e di lavoro. Grazie alla ritrovata unità sindacale, fu possibile ampliare il fronte di lotta e conquistare diritti che nella storia i lavoratori dipendenti mai avevano avuto, goduto.  

Poi arrivò il terrorismo, di destra e di sinistra, che diede la stura ai gruppi dominanti per scatenare una controriforma (ancora in corso) mirata a  modificare, annullare tali conquiste.  Nel primi anni ’80, il governo Craxi e la sua maggioranza di centro-sinistra imposero il taglio di alcuni punti della scala mobile salariale, cui il Pci si oppose decisamente (ostruzionismo in Parlamento), a distanza di quasi mezzo secolo il colpo più doloroso: l’abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, voluta dal governo Monti, sostenuto anche dal PD ossia dagli “eredi” del Pci. 
Anche questo é "cambiamento"!        

2. D. I comizi erano la primaria forma di comunicazione, la televisione passava una striminzita Tribuna politica. Che ricordo ha di quelle folle, ha avuto occasione di ascoltare i grandi comizi, come  erano stati quelli di Togliatti, in tre ordini di palchi con tutti i rappresentanti del partito.

2. R….Data l’età, non ebbi occasione di partecipare all’unico comizio che Togliatti tenne ad Agrigento  nel 1953, in cui parlò a una piazza Stazione strapiena. Partecipai (16 enne), a Roma, ai suoi funerali (immortalati da Renato Guttuso) e mi ritrovai in compagnia di tre compagni dirigenti sindacali agrigentini di cui due (non di tradizione comunista) venuti per assicurarsi “ch’era morto per davvero” e un terzo che piangeva di tutto cuore per la grave perdita. Questo per dire che anche nei tempi “eroici” c’erano singolari contraddizioni.  

3. D. Verso la fine degli anni Sessanta lei era militante del P.C.I., sarà eletto, la prima volta, nel 1976, giovane parlamentare a 28 anni.

3. R… Come si suol dire, feci tutta la gavetta politica: dalla militanza di base alla dirigenza, all’elezione in Parlamento nazionale. Dopo l’esperienza nella Federazione giovanile comunista, fui chiamato a un incarico nell’Alleanza contadini e quindi alla segreteria provinciale del Pci. Nell’estate del 1971, a seguito di uno scontro interno abbastanza duro (lo ricordo perché dovetti rinviare il matrimonio già fissato in Ungheria) fui inviato alla Cgil provinciale. Erano quelli tempi difficili per il Pci, in Sicilia e ad Agrigento, che nel 1971 aveva subito la controffensiva neofascista e perduto importanti posizioni elettorali.                            Nel partito c’erano smarrimento e disorganizzazione. Con un gruppo di giovani esponenti (fra cui Angelo Capodicasa, Federico Martorana, ecc) proponemmo una sorta di piattaforma per il rinnovamento del partito e per un nuovo modo di fare politica. Sulla base di tale programma, che aggregò tantissimi giovani dirigenti (in gran parte provenienti dal movimento studentesco), nel marzo de 1972, fui eletto segretario dal congresso provinciale del Pci. Un congresso memorabile, assai travagliato ma esaltante, che elesse un nuovo gruppo dirigente e avviò una svolta politica in provincia che sarà premiata da un crescendo di vittorie politiche ed elettorali.
Nel 1974 vincemmo il referendum abrogativo della legge sul divorzio; nel 1975 le elezioni amministrative; nelle politiche e nelle regionali del 1976 passammo dal 25% (del 1971) al 35,15%. 10 punti secchi. Lasciai la segreteria provinciale perché eletto alla Camera (come il più giovane deputato d’Italia), con un risultato mai raggiunto prima ossia il 35,15%, un dato superiore alla media nazionale (34%).    

4. D. Lei è giornalista ed ha una lunga bibliografia che apre nel 1985 con un testo impegnativo dal titolo “Missili e mafia”, scritto con Paolo Gentiloni e  Alberto Spampinato; poi una lunga sequenza di titoli  e argomenti  tra i più scottanti della politica nazionale e internazionale, argomenti ancora attivi e vivi. Ne ricordo tre: il Mediterraneo. “Popoli e risorse verso uno spazio economico comune”.1993. “Fondamentalismo islamico. L’Islam politico”.1995. “Sicilia, cronache del declino”.2006; altri temi riguardano l’immigrazione, l’America Latina. Tra i saggi più recenti  lei scrive di “Una bella amicizia polemicamente vissuta – Sciascia e Guttuso”. In apertura un capoverso titola: “Sciascia dovrebbe ‘lasciare’ Racalmuto per una vacanza”. Ce ne vuole parlare?

4. R…Da estimatore dell’opera di Leonardo Sciascia, con questa provocazione ho cercato di far capire che il suo lascito culturale, la gestione della Fondazione di Racalmuto non possono divenire oggetto di una contesa non proprio esaltante e per finalità improprie, a carattere locale. Poiché questo era, nei mesi scorsi, il clima creatosi intorno al futuro stesso della fondazione. Non si poteva continuare a strattonare Sciascia a destra e a manca. Da qui l’invito a prendersi una “vacanza” magari nella sua amata Parigi. Per una fortuita coincidenza, lo scrittore a Parigi c’è “tornato”, di recente, in occasione del 30° anniversario della sua morte, accompagnato dai dirigenti dell’associazione degli “Amici di Sciascia”.

5. D. Lei è stato parlamentare per tre legislature, (’76-‘79’-83), ed è stato anche componente di diverse commissioni parlamentare, ha, quindi, vissuto i rapporti e le evoluzioni politiche di quegli anni. La domanda è spontanea: quali differenze tra la classe politica di quegli anni e quella di oggi, quali differenze di costume e di comportamento sociale.

5. R…Non mi piace fare confronti con realtà, anche umane, fra loro diverse. Ciascuno vive il tempo che gli è dato. I nostri riferimenti erano la Costituzione repubblicana (una fra le più evolute al mondo) e l’idea della politica intesa come servizio per il bene comune, con particolare attenzione ai bisogni, ai diritti dei lavoratori, dei giovani, dei ceti più deboli della società.                                    
Da allora, sono cambiate tante cose. Ciò che- a mio avviso- non doveva cambiare era il sistema elettorale proporzionale, con il voto di preferenza che consentiva all’elettore di scegliere il candidato.                                                                                       Certo, talvolta i voti di preferenza si possono controllare, comprare, ma questo malcostume può essere ridimensionato, eliminato consentendo una sola preferenza numerica.                                               
E’ intollerabile che una cerchia ristretta di capi partito e di corrente possano nominare (non eleggere) i membri del Parlamento, espropriando gli elettori del diritto di selezionare, con il voto di preferenza, la classe dirigente del Paese. 
Di questo passo, anche il Parlamento sarà travolto dalla “antipolitica” che è una politica destrorsa ben orchestrata, camuffata e finalizzata a creare confusione, qualunquismo per consentire a pochi di appropriarsi delle ricchezze delle nazioni e delle leve del potere pubblico.

6. D. Con il crollo del muro di Berlino tutto è cambiato la politica, le relazioni fra gli Stati. Dove andiamo?

6. R… In realtà, in quegli anni, é crollato il primato della politica e dello Stato, soppiantati dalle oligarchie finanziarie che si sono impossessate del potere e della sua gestione, direttamente e/o mediante le grandi catene mediatiche, i “social” e talune associazioni “riservate” o addirittura segrete capaci di penetrare i livelli apicali delle società e delle istituzioni. Lo spartiacque si fa risalire al crollo del muro di Berlino nel 1989. A ben vedere, quel muro vergognoso non è crollato sotto i colpi di coloro che si fecero riprendere dalle tv col piccone in mano, ma fu semplicemente abbandonato dai suoi costruttori e gendarmi dell’Urss e della RDT, con l’accordo degli altri Paesi del Patto di Varsavia. Sulla base - si dice- di un’intesa raggiunta tra Gorbaciov e Reagan nel loro incontro a bordo di una nave nel mare di Malta nel dicembre del 1987. Un accordo parrebbe monetizzato: si parla di circa 40 miliardi di dollari che, però, a Mosca non arrivarono, provocando l’umiliante estromissione di Gorbaciov dal potere sovietico e la fine dell’Urss.  Il resto è noto…  
   
Dunque, a Berlino non crollò il socialismo (mai realizzato), ma lo “statalismo socialista” dell’Est, reso possibile dagli accordi fra gli Alleati. Trionfò il “modello" neoliberista, già dominante in Gran Bretagna e negli Usa, basato sul primato della finanza, dei mercati e su due pilastri  fondamentali: la corruzione che genera ricatto e il terrore che genera paura; entrambi usati per tenere a bada i governanti e per garantirsi il necessario consenso legittimante.                                                                                                                 
Tutto ciò fu agevolato dalla sistematica liquidazione dei partiti di massa, del ridimensionamento dei sindacati, dei loro gruppi dirigenti. Un mutamento drammatico, a tratti brutale, che travolse i principi democratici e costituzionali della sovranità e della coesione nazionale e internazionale (europea) e prodotto un potere informe, senza regole, spesso senza volto, ormai dominatore nel mondo, soprattutto nelle società d’Occidente. Un potere de-responsabilizzato che sfugge al controllo democratico e che pertanto degenera nell’abuso, nel privilegio.

6. D. Gli uomini della politica. Quelli degli anni Settanta e Ottanta, sono nella memoria di tanti. Lei ne ha conosciuti parecchi, come erano i politici di allora, mi riferisco al comportamento sociale e impegno intellettuale.

6. R…Io ebbi la ventura di far parte di alcune importanti commissioni parlamentari (Bilancio e Partecipazioni statali, Affari Esteri,  Difesa, ecc) e della presidenza dell’Associazione nazionale di amicizia italo - araba (emanazione dei tre principali partiti italiani: Dc, Pci e Psi)  e  quindi di occuparmi di problemi, di dossier davvero importanti e, pertanto, d’incontrare personalità politiche e di governo (anche straniere) di un certo rilievo: da Arafat a Gheddafi, da Kadar a Ponomariov, da Ben Alì a Saddam Hussein, ad Hafez Assad, da Elias Sarkis a C. Weinberger (segretario difesa Usa), da Bani Sadr a Ignacio Lula, ecc.                                             
Com’erano? Il giudizio lo esprimemmo al momento e caso per caso. Personalmente, diffido dal pre-giudizio o dal post-giudizio, dal senso comune. In generale si può affermare che - pur con limiti ed abusi- il livello politico e morale della classe dirigente italiana (liquidata dai processi milanesi) era ben più elevato dell’attuale.                                                 
Di là dei nomi, si dovrà ammettere che quella classe politica (dentro cui ci metto anche il Pci all’opposizione) portò l’Italia, uscita sconfitta e distrutta dalla guerra, a divenire la quinta potenza economica mondiale, mentre quelle della “seconda” o “terza” Repubblica (non si capisce bene chi le manda) stanno facendo di tutto per indebolire l’autorità, l’efficienza dello Stato democratico e antifascista, per degradare, svendere pezzi importanti del nostro tessuto economico, per svilire, asservire la nostra politica estera a interessi estranei o concorrenti, ecc.

7. D…Durante la sua esperienza parlamentare lei ha conosciuto Giulio Andreotti. Che ricordo conserva della sua azione politica, quale eco trova oggi nella nostra storia?

7. R ..Fra i personaggi incontrati quello che non sono riuscito a decifrare fu proprio l’on. Giulio Andreotti con il quale convissi per quattro anni nella Commissione esteri di Montecitorio di cui egli era presidente. D’altra parte, chi può dire di averlo conosciuto fino in fondo?                                      
Il mio primo approccio con Andreotti avvenne nel 1979 e fu assai polemico poiché riferito a una ipotesi preoccupante di impiantare a Licata (Ag) una centrale nucleare del tipo "Candu" che- si diceva- avesse contrattato con il governo canadese.(doc/ne in: http://archiviospataro.blogspot.com/)  
L'intesa ci fu ma non se ne fece nulla. Dopo questo scampato pericolo, ci vedevamo due volte alla settimana in commissione esteri. Dico subito che non fui mai amico di Andreotti né di altri esponenti politici. L'unico mio amico fu il mio partito, il Pci al quale mi sento ancora iscritto.
In commissione esteri mi trovai davanti a due visioni contrastanti di Andreotti: una, più diffusa alla base del partito, influenzata dai sospetti, dalle accuse, vere o presunte, di suoi collegamenti con personaggi in odore di mafia e un’altra, accreditata ai vertici del partito, secondo la quale l’Andreotti del dopo-Moro ( non quello di prima!) era un abile statista che, soprattutto in politica estera, riusciva a rappresentare bene gli interessi nazionali dell’Italia e la causa della pace in Europa e nel mondo. 
In effetti, in quel periodo, era l’unico politico italiano che riusciva a parlare (senza irritarli) con i principali attori della scena internazionale, anche fra loro in conflitto. 
Dall’osservatorio della commissione esteri (dove mi occupavo di mondo arabo e di Paesi mediterranei), ho più volte constatato questa sua, positiva “versatilità”. 
Anche da ministro degli Esteri, Andreotti mantenne col Pci e con noi dell’Associazione italo-araba, presieduta dal ministro dc Virginio Rognoni,un rapporto fecondo di relazione, specie su taluni dossier relativi ai rapporti con i Paesi arabi.

8..D. Insomma un Andreotti “amico degli arabi” come molti hanno detto?

8. R. Negli ambienti politici e diplomatici arabi l’on. Andreotti godeva di grande considerazione, fino al punto da ritenere una persecuzione (ispirata da centri ostili alla causa palestinese e araba in generale) le sue vicende giudiziarie relative a fatti di mafia.       A tal proposito, ricordo una difficile discussione tra i dirigenti dell’associazione italo-araba e gli ambasciatori arabi in ordine alla preparazione della visita in Italia (1998) di Yasser Arafat e del pranzo in suo onore (presso l’Hotel Excelsior di Roma), al quale la parte araba proponeva d’invitare l’on. Andreotti, in quel momento nell’occhio del ciclone giudiziario. Noi suggerimmo di soprassedere, di non estendere l’invito per ragioni di “opportunità”. Gli ambasciatori minacciarono di annullare il pranzo. 
L’on. Andreotti, probabilmente informato dai suoi, fece sapere di essere “costretto a letto” per ragioni di salute.  Una provvidenziale malattia che chiuse il confronto nel migliore dei modi. 
Qui mi fermo.  Aggiungo che, per quanto a me consta e sulla base degli atti, in quel periodo, Andreotti diede un contributo rilevante alla politica estera italiana e alla iniziativa di pace in Europa e nel mondo arabo/mediterraneo, dove c’era grande apprensione per l’installazione degli “euromissili" nucleari dell’Est e dell’Ovest. In Sicilia, a Comiso, erano stati installati i “Cruise”.  Anche per queste ragioni partecipai ai suoi funerali, seppure confuso tra la folla assiepata davanti la chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini…”

9. D. Non possiamo tralasciare di commentare un grosso problema, un evento che sta ogni giorno sulle pagine dei giornali quotidiani: l’immigrazione. Esodi che pongono problemi sociali gravi. Si avverte anche, in molti, un senso di compassione per quanto avviene, di ansia, un stillicidio di tragiche notizie. Vi sono soluzioni?  Non possiamo rimanere a contare gli annegati e i salvati.

9. R….. Esatto. L’Italia e l’Europa appaiono come quelli cui è stato passato il cerino acceso e lo guardano bruciare, impotenti, anche a rischio di bruciarsi le dita.                                                        
Personalmente, seguo il fenomeno dell’immigrazione fin dai suoi inizi ossia dai primi anni ’80, sia a livello parlamentare sia con articoli e libri che ne hanno illustrato le caratteristiche, i problemi e proposto le soluzioni possibili che- a mio parere- dovrebbero essere basate su trattati bilaterali e multilaterali fra Stati e fra l’Unione Europea e i Paesi di provenienza per regolamentare, governare i flussi secondo le esigenze reciproche.                                                                                                                      Ovviamente, agivo per conto del Pci (allora diretto da Enrico Berlinguer) che fondava la sua politica dell’immigrazione su due principi essenziali: accoglienza nella solidarietà e lotta ai profittatori che gestiscono i flussi clandestini. 
La nostra proposta di legge (del 1981) era contraria all’immigrazione clandestina  e propugnava il pieno riconoscimento dei diritti degli immigrarti regolari e delle loro famiglie, per i quali chiedevamo gli stessi diritti (e doveri) richiesti per i nostri emigrati  sparsi per il mondo. La proposta non fu nemmeno discussa in Parlamento perché ritenuta “poco conveniente” dai ceti imprenditoriali che preferivano (come oggi del resto) l’immigrazione  clandestina onde potere sfruttare a sangue gli immigrati e ridurre, a questo modo, il costo del lavoro per acquisire una certa competitività sui mercati.                        
Parliamoci chiaro- come scrivo nel mio, recente “Immigrazione, la moderna schiavitù”- in Italia e altrove non si vogliono lavoratori immigrati regolari, ma “schiavi” clandestini da sfruttare oltremisura.

10 . D. Il suo  recente articolo, pubblicato su montefamoso.blogspot.com, apre con un magnifico incipit: “I popoli latino-americani sembrano aver preso coscienza dei loro diritti e delle loro ricchezze naturali, minerarie e agricole strategiche che vogliono mettere al servizio del loro sviluppo”. Praticamente c’è tutto. Vuole commentare?

10 .R…. Dall’inizio del nuovo secolo, lo scenario latino-americano (dal Messico all’Argentina) è attraversato da forti movimenti politici progressisti, etnici e culturali che hanno provocato la  crisi del  potere delle oligarchie neo-colonialiste e favorito un relativo recupero della  sovranità dei popoli (specie indigeni) sulle risorse strategiche nazionali.                                 Tale mutamento è avvenuto col voto democratico e non con la forza bruta delle dittature militari. Il caso della Bolivia di Evo Morales é davvero emblematico e per questo l'hanno fatto saltare.                 
Le oligarchie, non potendo reggere il confronto elettorale, pensano di riconquistare le posizioni mediante " colpi di stato” parlamentari ( come in Paraguay e in Brasile), con inchieste giudiziarie mirate (Argentina e Brasile) e con farseschi personaggi “auto proclamatisi”  presidenti (in Venezuela e recentemente in Bolivia) in nome della difesa dei “diritti umani e politici” che stanno violando e calpestando, impunemente.                                
Nell’ultimo trentennio del ‘900. l’America Latina fu trasformata in una tragica distesa di sanguinarie dittature militari generate e coordinate nell’ambito del famigerato “Piano Condor” elaborato dalla Cia e dai dipartimenti Usa: Cile, Argentina, Brasile, Bolivia, Uruguay, Nicaragua, Panama, San Salvador, Honduras, Guatemala, ecc.                          
Il crollo avvenne sull’onda delle lotte dei movimenti di resistenza popolari e del mutato scenario internazionale. Nel sub-continente si affermarono, con il voto libero e democratico, governi progressisti che tentarono (con buoni risultati) di rendere giustizia alle vittime (centinaia di migliaia) e di riappropriarsi delle loro risorse naturali (minerarie, agricole, idriche, ambientali, ecc).                
Fu avviata una nuova politica economica che produsse una crescita sostenuta del PIL, un buon rientro dal debito estero e, soprattutto, una più equa redistribuzione della ricchezza, a favore dei lavoratori e dei ceti più deboli.                                                      

11 D. Oggi, cosa sta accadendo di preciso in America latina?

11. R.  Purtroppo, è in atto la controffensiva neoliberista, di tipo reazionario. Le conseguenze sono già pesanti. La situazione é drammatica. Lo ha detto anche Papa Francesco - argentino e primo pontefice latinoamericano- di ritorno dal suo recente viaggio in Giappone- “ La situazione attuale in America Latina somiglia a quella del 1974-1980, in Cile, Argentina, Uruguay, Brasile, Paraguay con (Alfredo) Stroesner e credo anchBolivia…” (da  giornale "El Tiempo” di B. Aires)

Certo, il pericolo di un ritorno a soluzioni autoritarie esiste, anzi è in atto, stavolta (fatto inedito!) con il sostegno delle varie chiese evangeliche (di emanazione nord-americana) che mietono enormi consensi in Paesi a fortissima tradizione cattolica.                                          Tuttavia, non sarà facile attuare il disegno reazionario. I popoli non si rassegnano al passo indietro, come dimostrano le recenti vittorie elettorali di Alberto Fernandez in Argentina e di Evo Morales in Bolivia. 
Inoltre, quasi a far da contrappeso agli "evangelici" sembra essersi svegliato “il gigante dormiente“ latinoamericano ossia il variegato mondo dei  popoli indigeni, i "nativi" che sono qui da almeno 30 millenni e che oggi che si ribellano agli eredi dei colonialisti spagnoli, portoghesi, ecc, che li dominano da mezzo millennio. 
E questa - mi sembra- la vera novità che si profila all'orizzonte, che  potrebbe segnare la liberazione definitiva dei popoli oppressi e discriminati in  questa importante regione  del Pianeta.   

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