Mattia Santori, Giulia Trappoloni, Andrea Garreffa, e Roberto Morotti fondatori del movimento delle "sardine" |
La nascita e
i timori per quello che verrà. Un futuro però che non prevede un partito
politico, assicurano. Il gruppo fondatore del movimento “Sardine” ha inviato
una lunga lettera a Repubblica tracciando i passi fatti dal movimento in questo
intenso mese.
Una scelta insolita ma che la dice lunga sullo stato d’animo che
attraversa il movimento delle “Sardine”. Una lunga lettera
indirizzata a Repubblica, scritta a
quattro mani dai fondatori bolognesi Mattia Santori, Andrea Garreffa,
Roberto Morotti e Giulia Trappoloni. Nelle loro parole il timore di venire
travolti da quello che loro stessi hanno creato, quel movimento che gli sta
sfuggendo di mano. Non volevano tutta quella attenzione mediatica, forse, ma di
sicuro non volevano essere tracciati come l’unica alternativa per un interno
schieramento politico. Insomma, era inevitabile che il vuoto a
Sinistra li innalzasse a nuova stella polare che guida elettori ormai
disillusi dai democratici verso nuovi approdi. Scrivono i quattro:
“Caro
direttore, il 14 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in
Italia. Roberto in ufficio, Giulia in ambulatorio, Mattia in palestra, Andrea
in piazza a farsi carico delle questioni logistiche. Dopo poche ore piazza
Maggiore sarebbe stata strabordante di Sardine. In una misura che nessuno
prevedeva, tantomeno noi. Le foto di quella piazza avrebbero fatto il giro del
mondo. La mattina seguente le Sardine erano già un fenomeno mediatico di
portata internazionale, ma noi non lo sapevamo. Avevamo scatenato un maremoto a
nostra insaputa. Quei giornalisti che nei giorni precedenti ci avevano
ignorato sarebbero diventati la nostra ombra. È buffo ripensare a quanto
fossimo infastiditi da quell’unica telecamera presente a Bologna. Tre giorni
dopo, a Modena, le telecamere sarebbero state una dozzina. Un mese dopo, a
Roma, un centinaio”.
“Questo
movimento deve rimanere del tutto e per tutto spontaneo”
Il gruppo fondatore bolognese racconta di come, fuori dalle loro
indicazioni, siano nate diverse piazza spontanee in tutta Italia. Ma quello che
si fa fatica a comprendere di questo movimento è il dopo, ovvero i progetti
futuri. Perchè se è vero che la nascita è arrivata in maniera spontanea, tale
presupposto non può certo esistere per sempre. Servirà un’organizzazione, una
benchè minima struttura, che però viene rigettata con forza. A nulla, ad
esempio, ha portato la riunione dei 160 delegati
allo “Spin Time” di Roma. Continua la lettera: “Il 15
novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Ma il
telefono squilla e su Facebook spuntano i primi tre eventi spontanei: Modena,
Firenze, Sorrento. Allora prendiamo una decisione che ci avrebbe sconvolto la
vita. Decidiamo che l’Emilia-Romagna non è la sola terra in cerca di un modo
per esprimere un sentire diffuso e diamo vita a un coordinamento nazionale, con
l’obiettivo di favorire lo sviluppo di unfenomeno culturale e sociale di
resistenza all’avanzata del populismo e dei suoi meccanismi di
attecchimento. Questo fenomeno deve rimanere in tutto e per tutto spontaneo. La
forza delle Sardine è collegare il virtuale al reale, e non c’era niente di
meglio che favorire la nascita di un fenomeno sociale fatto di individui in
carne e ossa, capaci di mostrare che le piazze, virtuali e reali, sono di
tutti”.
Riappropriarsi delle piazze, dopo anni di eventi della Destra italiana,
era e rimane l’unico obiettivo. La facilità, come raccontano nei passi
seguenti Mattia Santori e soci, di organizzare un evento sotto
l’ombrello del marchio “Sardine” è un’arma a doppio taglio: se
da una parte si semplifica il compito di chi tali eventi non li ha mai
organizzati, dall’altra ci si espone alla strumentalizzazione ed alle
incursioni esterne. In altre parole, come cercano di arginare coloro che
scendono in piazza solo per intestarsi quegli eventi? I quattro raccontano: “La
squadra bolognese si è allargata e questo ci ha permesso di rispondere alle
centinaia di mail e messaggi che ricevevamo, e che tuttora riceviamo, ogni
giorno. Lo schema per gli organizzatori era semplice: prendi contatto con i
bolognesi, valuta i suggerimenti, procurati i documenti necessari, lancia
l’evento su Facebook, lavora per riempire la piazza di persone e contenuti,
stupisciti di quanto la tua città sia migliore di come te l’aspettavi. Una
volta lanciato, l’evento viene inserito nel calendario ufficiale della pagina
‘6000sardine’ e un referente per piazza aggiunto alla chat nazionale. In 30
giorni si erano riempite 92 piazze in tutta Italia, a cui si sono aggiunte 24
piazze estere, europee e statunitensi. Circa mezzo milione di persone sono
uscite di casa, al freddo e sotto la pioggia, per dire che la loro idea di
società non rispecchiava per nulla quella presentata dall’attuale Destra
italiana, quella stessa Destra che non perde occasione per affermare di avere
il popolo dalla sua parte”
“Siamo
arrivati nelle roccaforti leghiste”
Il movimento in meno di un mese cresce, si rafforza, ma aumentano anche
con esso le aspettative di chi inizia a seguirli. Quelli che scendono in piazza
attendono un indirizzo politico insomma, che puntualmente arriva, quando Mattia
Santori invita da piazza Matteotti a Imola a votare per Stefano
Bonaccini alle prossime regionali in Emilia Romagna. Ma la piazza è fatta
però da tante anime diverse, come raccontano gli stessi organizzatori
bolognesi: “Talvolta le persone non sono neanche riuscite a raggiungerle per
via della massa che occupava gli ingressi, come a Firenze. Eppure c’erano.
Hanno voluto esserci. Corpi fisici in uno spazio. L’unico elemento non
manipolabile in un mondo pervaso dalla comunicazione ‘mediata’. C’è chi ha
provato a dire che la foto di Bologna risaliva a un capodanno, chi ha affermato
che a Roma c’erano solo 35.000 persone. Ma troppa gente poteva provare il
contrario, troppi occhi, troppe orecchie, troppi cuori potevano riaffermare la
verità. Ogni piazza è stata diversa: per età, genere e provenienza
politica. Nonostante gli attacchi e le sirene del populismoabbiano
iniziato a mitragliare, le persone si sono fidate, hanno continuato a fidarsi.
E lo hanno dimostrato diventando Sardine e riempiendo le piazze”
Cosa è venuto fuori dalla riunione di Roma? Molto poco. Solo un
generale invito a tornare nelle piazze, ognuno nella sua zona. Ma questo, da un
punto di vista squisitamente politico, coma implica? Che ognuno potrà
scegliersi la strada nel suo territorio, ovvero allearsi o meno con un
determinato partito, senza che il gruppo bolognese possa mettere bocca? Non
sembra: “Il 15 dicembre eravamo 150 persone come ce ne sono tante in
Italia. Solo con tante ore di sonno perse e il portafoglio più vuoto del solito.
Operai, studenti, insegnanti, professionisti, precari, disoccupati. Militanti,
ex politici, disillusi, attivisti, volontari. Un muro di giornalisti fuori,
molta semplicità dentro. Tante facce nuove. Forse troppe. Spazi spartani e
molto freddo. Sensazione da primo giorno di scuola, gente troppo adulta per
poterci essere abituata. Ma la classe è numerosa e ci accorgiamo subito che le
cose che ci uniscono sono molte di più di quelle che ci dividono. Che in
qualche modo siamo sempre stati fratelli e sorelle, solo non ci eravamo mai
conosciuti. Nessuno è portatore di verità assolute e il dialogo, che
passa dall’ascolto, è l’unica sintesi di quelle differenzeche, contaminandosi,
rimarranno tali anche dopo essersi confrontati. Ci diamo una strada comune: tornare
nelle piazze, nelle strade, nei territori. Ogni iniziativa scatena un applauso,
suscita speranza, ci avvicina. La strada è lunga, lo sappiamo. La fretta è il
nostro più grande nemico, sappiamo anche questo. Tutto sta nel trovare il ritmo
giusto e soprattutto nel mantenere, proteggere e curare quel dialogo che ci ha
permesso di vivere e condividere una mattinata che rimarrà nei nostri cuori per
sempre”.
“Rinchiusi
in una pentola, stavamo per scoppiare”
Quello che colpisce è che il gruppo scriva dell’insofferenza di trovare
un sbocco politico che desse risposte alle proprie esigenze. Tutto legittimo
sia chiaro, ma quei partiti, a Sinistra, che hanno perso la totale fiducia di
ragazze e ragazzi che si rivedono in determinati valori tipicamente di una certa
parte politica, possono intestarsi quelle piazze? Insomma, le “Sardine” non
protestano anche, ma forse soprattutto, contro di loro? Questo è un passaggio
importante della lettera: ” Il processo che abbiamo contribuito a
creare sarà lungo ma intanto è iniziato. Le sardine potevano essere storioni,
salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare.
Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno
permesso semplicemente di fischiare. È stato grazie a un bisogno condiviso
di tornare a sentirsi liberi. Liberi di esprimere pacificamente un pensiero e
di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai
tunnel solipsistici dei social media”.
La conclusione non poteva che essere dedicata alla domanda che tutti si
pongono, ovvero se avverrà la trasformazione partitica del movimento. Scrivono
daBologna: “L’Italia è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che
non ha precedenti negli ultimi decenni. Chi cercherà di osteggiarla sentirà
solo più acuto il fischio, chi tenterà di cavalcarla rimarrà deluso. La forma
stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe
essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una
pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una
rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi
ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e
impreparati, ma finalmente liberi. L’unica certezza che abbiamo è che siamo stati
sdraiati per troppo tempo. E che ora abbiamo bisogno di nuotare”.
Fonte: Repubblica - 20/12/2019
Fonte: Repubblica - 20/12/2019
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