Le "sardine" a piazza Maggiore, Bologna |
di PAOLO FLORES D’ARCAIS
Quanto sarà effimero il
movimento delle “sardine”? O fino a che punto si moltiplicherà per contagio e
si radicherà per organizzazione? Lo vedremo presto con i prossimi flashmob di
Modena e Firenze. Intanto l’exploit di Bologna ha dimostrato una verità politica,
o meglio l’ha ribadita in forma perentoria: per dar vita a una mobilitazione
democratica (di “sinistra”, insomma) bisogna prescindere dai partiti. Quattro
amici e un appello progressista sul web possono creare un’iniziativa, se
avessero voluto coinvolgere un partito (il Pd, ormai) immaginando di avere il
valore aggiunto di una forza organizzata, si sarebbero assicurati un flop. Il
Pd, per una mobilitazione democratica, non costituisce un valore aggiunto ma la
macina al collo, un handicap che garantisce il fallimento.
Per un motivo assai semplice: il Pd, come insieme dei suoi dirigenti, anche locali, come apparato nel senso più ampio e articolato del termine (decine di miglia di persone) è totalmente screditato sotto un profilo democratico progressista, è vissuto (lucidamente o inconsciamente, ma comunque giustamente, esattamente) come parte integrante dell’establishment, come un “loro” estraneo alla cittadinanza attiva, un pezzo della Casta, insomma. Gettando un alone negativo e un’ombra di vituperio anche sugli eventuali quadri di base che magari vivono coerentemente l’impegno democratico progressista d’antan.
Il movimento delle “sardine” (d’ora in avanti senza virgolette), se anche Modena e Firenze saranno un successo (è una concreta speranza), costituiranno l’ultimo episodio di una lunga serie di protagonismo auto-organizzato della società civile progressista, quella che prende più che mai sul serio i valori della Costituzione repubblicana. Un fenomeno oramai quasi ventennale, dove ciascun episodio ha le sue assolute specificità, ma che evidenzia un filo rosso da analizzare. Anno Domini 2002, i Girotondi. A seguire “Il popolo viola” (due volte, se non ricordo male), poi le donne di “Se non ora quando”, poi le mobilitazioni anti legge bavaglio (e a inframmezzare, qualche ondata di lotte studentesche), solo per ricordare le tappe più rilevanti di grandi piazze gremite.
Nell’età dell’amnesia che è la nostra, queste vicende, che pure hanno avuto carattere di massa perfino grandioso (la manifestazione dei Girotondi a Roma, san Giovanni, il 14 settembre 2002 dilagò in un intero quartiere coinvolgendo quasi un milione di persone) vengono dimenticate già l’indomani. Oltre all’azzeramento dello spessore storico che il mondo dei social ha ormai nebulizzato nelle due generazioni più giovani, ha però giocato un altro elemento: nessuna di queste mobilitazioni ha lasciato traccia, è diventata movimento, ha sedimentato in presenza politica. Una fiammata, anche ciclopica, sempre entusiasmante, che un deposito lo lascia certamente negli animi dei partecipanti, ma politicamente parlando poi più nulla.
Tutte queste mobilitazioni della società civile, in sostanza, erano affette da un limite, che politicamente ha pesato come menomazione insormontabile e dissipativa. Hanno sempre oscillato tra l’idea di costituire un pungolo di rinnovamento (anche radicale, ma possibile) dei partiti della sinistra esistenti (in primis i Ds>Pd) o di doverne rappresentare un’alternativa, data l’irrecuperabilità degli apparati.
La prima ipotesi è stata sistematicamente vanificata dai Ds>Pd stessi, il cui apparato non hai mai tollerato innesti dalla società civile che intaccassero anche marginalmente il sistema interno di potere. La seconda ipotesi non ha potuto vedere la luce neppure in forma embrionalissima per la catafratta Nolontà di questi di partecipare in modo costruttivo e progettuale alla vita politica, che in una democrazia parlamentare significa dar vita a liste elettorali.
Il M5S è nato, e ha dominato per dieci anni la vita politica della protesta popolare, esattamente per quel vuoto, perché ha evitato di cadere nell’illusione di un rinnovamento/palingenesi del Pd, e perché molto rapidamente ha accompagnato le sue mobilitazioni di protesta con la presentazione di liste locali e infine nazionali nelle competizioni elettorali. Per questo, del resto, ha drenato in più occasioni milioni e milioni di voti del Pd (altri milioni sono finiti nell’astensione). Altri errori, però – anzi vera e propria tabe originaria bicorne – hanno segnato la fine del M5S, come ho ricordato nel mio precedente articolo: il rifiuto di riconoscere l’antagonismo (valoriale e di interessi sociali, non di schieramenti tutti ormai partitocratici) tra destra e sinistra, e la demenziale e avvilente selezione dei candidati attraverso provini da “reality” e voti-like da amici di facebook.
Due foto di piazza Maggiore a Bologna evidenziano plasticamente, carnalmente, il declino irreversibile del M5S: Beppe Grillo dentro un canotto sopra una folla debordante (2010), 15 mila cittadini in gioioso ritrovarsi progressista col tam tam digitale di quattro amici, e un M5S che in piazza non porterebbe nessuno e medita addirittura di disertare le urne.
L’inaspettato e galvanizzante esito di massa del flashmob delle sardine palesa perciò che esiste la SINISTRA SOMMERSA, una sinistra nella e della società civile, totalmente autonoma dal Pd. Magmatica, ma profondamente radicata nelle coscienze, nella capacità di indignazione, nella volontà e aspirazione ad un impegno concreto per “giustizia-e-libertà”, sempre più “giustizia-e-libertà”, per l’attuazione integrale della Costituzione, insomma.
Che spesso esercita questi valori quotidianamente, nel volontariato, nella serietà professionale, nel rigore della ricerca.
Magmatica, ma soprattutto carsica: sembra scomparire, ma sta semplicemente scorrendo sotto terra, custodita in milioni di coscienze, pronta a riemergere non appena si presenti l’occasione, quando in modo per lo più imprevisto un evento o un gruppo di amici fanno da catalizzatore a questa massa di energie egualitarie e libertarie diffuse, anche se troppo spesso frustrate. E quando una nuova generazione prende il testimone si ritrova accanto quelle scese in piazza dieci, venti, trent’anni prima.
Speriamo che le sardine dilaghino a macchia d’olio. Se accadrà, è sperabile che non commettano il duplice errore con cui, dai Girotondi in poi, le mobilitazioni della società civile si sono sempre esaurite: immaginare di trasformare i partiti della sinistra, rinunciare al momento della verità dell’alea elettorale. Che è un salto mortale, ovviamente, senza il quale, tuttavia, di una grande ondata di mobilitazione democratica, che a Bologna speriamo abbia avuto solo il suo esordio, non resterebbe nulla, una volta di più.
Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa non ameranno ricevere consigli, come quasi sempre accade a chi realizza una iniziativa politica inedita. In parte a ragione, perché la tentazione di “recuperare” una mobilitazione, “metterci il cappello”, e insomma farla lavorare per un proprio progetto, non solletica solo i partiti ma può albergare anche negli intellettuali.
E tuttavia qualche consiglio lo darò, perché in realtà è un auspicio, una speranza, o forse un wishful thinking, quello di vedere finalmente una mobilitazione progressista che non sia solo entusiasmo coinvolgente ma effimero, che metta invece radici e possa invertire la tendenza (non solo italiana) secondo cui ormai le masse vanno a destra (destra, cioè establishment, di cui molta “sinistra” è parte integrante).
Avete registrato il marchio, siete quindi consapevoli che può avere un valore, che in politica significa avere un futuro. Lo avete già concesso a chi sta promuovendo analoghe mobilitazioni a Modena e Firenze, e avete dichiarato che “siete subissati di richieste”. Arricchitelo con un progetto programmatico, almeno con il suo scheletro, perché non resti un movimento solo “contro” (identificare i nemici è importante, sia chiaro), ma anche “per”.
I materiali di analisi per un programma di sinistra non mancano, anzi abbondano. I più recenti sono quelli elaborati dal seminario contro le diseguaglianze coordinato da Fabrizio Barca. MicroMega vi ha dedicato due interi corposissimi volumi, nel 2011 e nel 2018, più una quantità di saggi sparsi lungo oltre trent’anni di vita (mediamente quella delle quattro Sardine, lo dico con ammirazione, il contrario del paternalismo).
L’abbondanza di analisi ha bisogno di tradursi in un programma politico. Per approssimazioni successive, ovviamente. Cominciate a realizzare questa traduzione. Parallelamente alla mobilitazione, coinvolgete quanti nelle varie città si dimostreranno, con l’azione, sulla vostra stessa lunghezza d’onda, anche nella comune elaborazione di un programma. Per punti essenziali, ma non generici (quali misure per combattere la diseguaglianza? Quali capisaldi per una riforma della giustizia? E per la guerra alla grande evasione? Ecc.). Naturalmente senza trasformarvi in professionisti della politica, che non solo vi muterebbe umanamente, esistenzialmente, ma vi impoverirebbe anche politicamente.
A enunciarla sembra la quadratura del cerchio, e invece fa parte dell’orizzonte del possibile. Auguri, allora, perché il vostro successo e il vostro futuro ci riguarda tutti.
(MicroMega, 18 novembre 2019)
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