Domenica mattina la Cgil, la Legacoop e il comune di
Corleone, con le scuole e le cooperative sociali che lavorano sui terreni
confiscati alla mafia, ricorderanno Bernardino Verro, nel 104° anniversario del
suo assassinio. Sarà ricordato anche il dott. Giuseppe Liotta, il medico
pediatra tragicamente perito nell’alluvione di un anno fa. Dopo la cerimonia in
via B. Verro, davanti la targa posta sul luogo in cui il capo dei contadini
corleonesi fu assassinato, il consiglio comunale discuterà anche sulla destinazione
dell’edificio sede della coop “Unione agricola” e della “casa del popolo”, che
a breve sarà ristrutturata. L’idea è quella di farne la sede di un
archivio-laboratorio del movimento contadino corleonese e siciliano, che
potrebbe diventare punto di riferimento per ricercatori, studiosi e scuole. La
gestione dovrebbe essere affidata ad «Enti prestigiosi, quali l’Università degli
Studi di Palermo, i Sindacati operanti sul territorio, la Lega Cooperative, le scuole
di Corleone e l’associazionismo della città. Nel suddetto progetto di
fruizione, attraverso una forma associativa tra i sopracitati Enti, che possa
promuovere lo studio sul movimento contadino e sulle personalità che lo hanno
contraddistinto». CHI ERA BERNARDINO VERRO?
Bernardino Verro |
del 1915. Un’esecuzione di chiaro
stampo mafioso, anche se le prime indagini puntarono sulla vendetta privata.
DINO PATERNOSTRO
«Alle ore 15,30 del 3 corrente, in
Corleone, mentre quel Sindaco, Bernardino Verro, uscito dall’Ufficio comunale,
rincasava, giunto all’estremità della via Tribuna, veniva fatto segno, da due
sconosciuti, a parecchi colpi di rivoltella, che lo rendevano all’istante
cadavere». Cominciava così il rapporto che il prefetto di Palermo, Pericoli,
scrisse al Ministero dell’Interno il 24 novembre 1915, a distanza di tre settimane
dall’assassinio del leader socialista corleonese, che per oltre vent’anni era
riuscito a tenere testa alla feroce mafia del feudo, ai grossi proprietari terrieri
e agli stessi apparati dello Stato, che certo non erano teneri con un
personaggio bollato come «noto socialista rivoluzionario». Il rapporto del prefetto
Pericoli cercava di spiegare il «perché» e «da chi» era stato ucciso Bernardino
Verro, capo del movimento contadino e
primo sindaco socialista di Corleone. E tentò di rendere il meno allarmante possibile
il contesto in cui era maturato il clamoroso delitto. Infatti, nemmeno nella
Sicilia dei primi del ’900 accadeva spesso che un sindaco in carica, benvoluto
dalla stragrande maggioranza della popolazione, fosse assassinato in pieno
giorno, da killer a volto scoperto che usavano tranquillamente armi da fuoco e
utilizzavano come base logistica la stalla di un noto boss mafioso.
Un delitto - scrisse lo stesso
prefetto - che «mostrava un senso di spavalda sicurezza
nei malfattori…». Secondo il dott.
Pericoli, però, si poteva escludere che mandanti dell’omicidio fossero i grossi
proprietari terrieri e i gabelloti. Si, nel passato, Verro e i suoi contadini
avevano combattuto aspre battaglie contro latifondisti e gabelloti per affermare
le «affittanze collettive», ma ormai «tali lotte, superate da diversi anni,
avevano finito per abituare anche i più avversi a considerare l’intervento
collettivo dei contadini negli affitti come naturale effetto dell’evoluzione
sociale…», scrisse il prefetto. E allora chi aveva voluto la morte di Verro?
Secondo il dott. Pericoli, Angelo Palazzo, cassiere della cooperativa «Unione
Agricola», fondata da Verro nel 1906. Un cassiere infedele, che aveva rubato
alla cooperativa e che, per coprire gli ammanchi, aveva costruito delle cambiali
false, facendo ricadere la colpa su Verro, che il 21 settembre 1912 era stato
arrestato a Roma, mentre partecipava al congresso della Lega delle Cooperative.
Verro era rimasto dieci lunghi mesi in
carcere, poi era uscito in attesa del processo. Che nessuno a Corleone, tanto meno
i suoi contadini, credeva Verro
colpevole di falso in cambiali,
l’aveva ampiamente dimostrata la sua plebiscitaria elezione a sindaco del
giugno 1914. Ma il 26 ottobre 1915 era stata notificata a Verro, a Palazzo e a
tutti gli altri coimputati la requisitoria di rinvio a giudizio per lo scandalo
delle cambiali. «Ed allora il Palazzo, che aveva calunniato il Verro, per
vendicarsi di lui, a cui attribuiva la scoperta del reato, comprese, leggendo
il processo, fino allora segreto, che il Verro da coimputato era divenuto invece
il più temibile testimone d’accusa a suo carico, così da trarne la certezza…
che sarebbe stato sicuramente condannato…», si legge nel rapporto del prefetto.
Quindi, «… il Palazzo, che già si sentiva perduto, dovette essere portato a
considerare, come unica possibilità di sua salvezza, la soppressione del suo
implacabile accusatore…».
Ovviamente, Angelo Palazzo odiava
Verro, ma l’agguato del 3 novembre 1915 non fu la vendetta privata di un
piccolo truffatore di paese, bensì un’esecuzione in perfetto stile mafioso, a
cui parteciparono almeno 2 killer, che agirono a volto scoperto e godettero
dell’appoggio logistico della stalla Cutrera, dove uno dei due si appostò, in
attesa che il sindaco passasse. La verità è che il Palazzo da tempo era
affiliato ai «fratuzzi» di Corleone, che l’utilizzarono per infiltrare la cooperativa
agricola e screditarla con lo scandalo delle cambiali. L’assassinio fu deciso
insieme dalla mafia, dai gabelloti, dai latifondisti e dal Palazzo. Tutti avevano
interesse ad eliminare un sindaco ed un leader contadino «scomodo» come Bernardino
Verro, la cui esistenza terrena si concluse, infatti, nel pomeriggio del 3
novembre 1915, quando il suo sangue si mischiò col fango di
via Tribuna.
Quel primo pomeriggio del 3 novembre
1915, il sindaco Bernardino Verro stava tornando a casa, dopo una mattinata di
lavoro in municipio. Fino all’imbocco di via Tribuna l’avevano scortato due vigili
urbani, che egli si affrettò a licenziare: «Picciotti, questi quattro passi li
faccio da solo. Andate a casa a mangiare pure voi, che fra poco piove…». In
effetti, già piovigginava e Verro affrettò il passo verso casa, dove
l’aspettavano la compagna Maria Rosa Angelastri e la figlioletta Giuseppina Pace
Umana, di appena nove mesi. Ma arrivarono prima i killer, appostati quasi alla
fine di via Tribuna, a pochi metri dalla sua casa, che gli spararono addosso ben
11 colpi di rivoltella, 4 dei quali alla testa da distanza ravvicinata: i colpi
di grazia.
«Ho creduto opportuno, come la sola
possibile immediata riparazione alle conseguenze del delitto – scrisse il
prefetto Pericoli al ministero dell’interno nella relazione del 24 novembre 1915
– pensare alla sorte della bambina di nove mesi, lasciata dal Verro ed avuta da
una unione illegittima con una donna da Palermo, con la quale egli conviveva
maritalmente da più tempo, ed ho ottenuto che la madre, dalla quale, come dal
Verro, la bambina era stata riconosciuta, abbia un’occupazione che le permetta
di curare l’allevamento dell’orfanella, il cui ricovero in un Orfanotrofio ho
già assicurato pel momento in cui sarà possibile separarla da essa, mentre a
favore della bambina stessa, oltre l’aiuto mio personale, altri sussidi sono
stati deliberati dall’Amministrazione Provinciale e da quella Comunale».
Verro aveva conosciuto Maria Rosa
Angelastri a Palermo e avevano deciso di convivere, senza unirsi in matrimonio.
Alla bambina, come allora usavano tanti dirigenti socialisti, Verro diede dei nomi
che evocavano grandi ideali socialisti come la pace e l’umanità. Senza
rinunciare, però, a farli precedere dal nome della madre, Giuseppina. Giuseppina
Verro visse per tanti anni a Palermo, dove era tornata con la madre. A
Corleone, però, ritornava ogni domenica per portare un fiore sulla tomba del
padre. Fino agli anni ’60, quando decise di traslare il suo corpo dal cimitero
di Corleone a quello dei «Rotoli» di Palermo. Diverse volte fu candidata nelle
liste del Partito Socialista. Partecipò l’ultima volta alla commemorazione del
padre nel lontano 1985, quando fu inaugurato un nuovo busto in villa comunale.
Era già avanti negli anni, ma volle presenziare all’omaggio che la città di
Corleone faceva al suo primo sindaco socialista, dopo sessant’anni di colpevole
silenzio. Infatti, un primo busto in onore di Bernardino Verro fu posto a
piazza Nascè nel 1917, ma venne trafugato nottetempo: il primo caso di «lupara
bianca» riferito ad una statua. Per tanti anni, anche dopo il fascismo, nessuno
si ricordò più di Verro. Solo nel 1979, su iniziativa del gruppo consiliare comunista,
fu approvato un ordine del giorno per rifare un nuovo busto al sindaco assassinato
dalla mafia. Ma ci vollero quasi sei anni per trovare il tempo e il luogo dove
collocarlo. Finalmente, il 3 novembre 1985, in villa comunale fu ricollocato il
busto di Verro e nell’ex via Tribuna (oggi intitolata al martire socialista), proprio
nel punto dove fu assassinato, venne posta una targa commemorativa, dove sono state
trascritte le frasi incise ai lati del primo busto, quello trafugato in piazza
Nascè.
La Sicilia, 4 novembre 2007
Nessun commento:
Posta un commento