di ROBERTO SAVIANO
Ha vinto Erdogan, che raggiunge il suo obiettivo: impedire
la costituzione di uno Stato autonomo curdo. Vince Putin,
"facilitatore" nei rapporti tra Turchia e Siria. Vince sempre Putin
che, con il ritiro delle truppe Usa, è unico burattinaio in Medioriente. Vince
in parte il sanguinario Bashar al-Assad anche se deve accettare le truppe
turche in Siria. Vince Trump per aver tenuto fede al ritiro degli Usa da quel
fronte di guerra: un risparmio per i contribuenti americani che non sono più
disposti a spendere soldi per luoghi e popoli di cui ignorano finanche
l’esistenza.
Perdono i curdi, traditi dopo aver perso migliaia di combattenti nella
guerra contro Daesh, combattuta anche nel nostro interesse.
Perde Netanyahu, che sperava in uno Stato curdo non per altruismo, ma
perché potesse dilatare le distanze tra Israele e Iran.
Ma chi perde più d’ogni altro è l’Europa, che perde per paura e ha
preparato questa sconfitta negli anni. Perde l’Europa che oggi è incapace
addirittura di rintracciare le origini della sconfitta, che ha perso tutte le
occasioni, non ultima quella di consentire l’ingresso nell’Unione europea della
Turchia.
Se ne discuteva concretamente, poi arrivò il veto della Germania e, a
volerne riparlare ora, sembra quasi di trovarsi impelagati in fantapolitica.
Oggi, chi ricorda questa proposta – come quella pannelliana di dare allo Stato
di Israele l’accesso all’Ue – viene preso per matto, non per visionario, ma
proprio per matto. Chi dovremmo far entrare in Europa? La Turchia di Erdogan,
la Turchia governata da un satrapo illiberale? «La Turchia potrebbe essere il
ponte tra l’Islam moderno e l’Occidente», ha scritto Enes Kanter, cestista
turco dei Boston Celtics perseguitato da Erdogan, sul Boston Globe
. E ancora: «Ma in questo momento, non c’è libertà: nessuna libertà di
parola, nessuna libertà di religione, nessuna libertà di espressione. Non c’è
democrazia. Erdogan sta usando il suo potere per abusare e violare i diritti
umani».
La Turchia è il Paese che ci rende tutti perdenti, un Paese che negli
ultimi anni ha accelerato una deriva illiberale e antidemocratica, che si trova
ai nostri confini orientali, a cui l’Europa ha appaltato la sicurezza delle
proprie frontiere promettendo sei miliardi di euro di cui la metà già erogata.
Alla Turchia l’Europa ha venduto armi, senza spendere una parola sulle
centinaia di persone in carcere in seguito a processi sommari: giornalisti,
intellettuali, professori che hanno commesso tutti il "reato" di
essere in disaccordo con Erdogan. L’Europa perde perché alimenta tutto questo,
perché foraggia, nutre e paga.
Nel mezzo ci siamo noi che spesso ci domandiamo cosa possiamo fare. Nessrin
Abdalla, comandante dell’Unità di Protezione popolare delle donne curde, dopo
il 9 ottobre e l’inizio dell’offensiva turca, ha chiesto all’Europa di
intervenire. Non si fidavano di Assad, ma non avevano scelta, erano e sono
senza cibo e senza acqua, senza armi e non hanno alcuna speranza a parte noi,
anche adesso che l’operazione "Sorgente di pace" si è conclusa.
A noi sta comprendere che la dissidenza non può essere ignorata, a noi sta
diventare moltiplicatori di queste storie: noi che abbiamo come armi solo le
parole.
La gravità della situazione nel Rojava rende evidente che la Turchia è
l’unico terreno fertile perché le nostre parole di europei possano avere un
senso, anche se pensare di essere immediatamente efficaci con le parole
sarebbe un atto di presunzione, soprattutto perché spesso non conosciamo
fino in fondo ciò che accade in Turchia. L’annuncio dell’operazione
"Sorgente di pace" iniziata il 9 e conclusasi il 22 ottobre ha
risvegliato sentimenti patriottici che per Erdogan sono di vitale importanza
per consolidare il consenso interno che è enorme ma sempre in pericolo.
La Turchia di Erdogan, per quanto caratterizzata sul piano dell’estremismo
religioso, rappresenta un orizzonte possibile dell’autoritarismo anche in
Europa: un Paese in profonda crisi economica, incattivito, dove i migranti sono
usati per dragare voti; disinformato e dove la dissidenza è punita in maniera
esemplare. In Italia abbiamo avuto un assaggio di tutto questo solo fino a
poche settimane fa e sarebbe sbagliato pensare di aver archiviato ogni
pericolo, poiché le condizioni socioeconomiche che ne hanno consentito
l’affermazione sono ancora lì.
In Turchia tutti i partiti si sono schierati a sostegno della guerra (guai
a chiamarla così, ma di cos’altro si è trattato?), l’unica eccezione è
rappresentata dal Partito democratico dei popoli. Anche Ekrem ?mamoglu, il
neosindaco di Istanbul, nemico giurato di Erdogan, ha appoggiato l’operazione.
Ma come può accadere tutto questo? Accade perché le forze democratiche si
trovano in un vicolo cieco. In Turchia non si può negare l’appoggio ai
militari, pena la perdita di consenso popolare, ecco dunque che le posizioni
dei leader antidemocratici condizionano il clima politico.
Una leva impossibile da trascurare è la presenza di oltre 4 milioni di
profughi siriani in Turchia, dove la questione migratoria viene utilizzata,
esattamente come avviene in Italia, per fare campagne elettorali sulla pelle
dei disperati. Siamo sotto ricatto e a ricattarci è una politica che non dà
spiegazioni, ma banalizza, che acuisce le differenze e ci arma gli uni contro
gli altri.
Oggi il peccato mortale è creare complessità, quella complessità che
Mariano Giustino, ogni giorno nel notiziario del mattino di Radio Radicale
, racconta con dovizia di particolari: una luce costante su cosa accade in
Turchia e Siria. Voce rara e necessaria.
Oggi il peccato mortale è provare a spiegare che ciò che accade tra Siria e
Turchia ci riguarda. E ci riguarda perché muoiono innocenti, e ci riguarda
perché gli accordi di pace vengono stretti solo con la promessa di nuovi
armamenti in arrivo. A quanto pare Putin sarebbe riuscito a convincere Erdogan
promettendo l’arrivo del nuovo sistema di difesa antimissile S-400 in Turchia.
Si chiude una guerra mentre ci si prepara alla prossima.
La Repubblica, 25 ottobre 2019
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