Lampedusa. Le bare al molo Favaloro |
di GIORGIO RUTA
Strage di donne al largo dell’isola: quindici i
dispersi, otto sono bambini la tragedia nei giorni del ricordo della sciagura
in cui morirono 368 persone
Lampedusa — La burrasca si abbatte su
Lampedusa. Pioggia e vento mentre al molo si fa la conta dei morti. Due,
cinque, sette, tredici. Tanti, troppi come i dispersi che il mare grosso non
permette di recuperare. «Erano circa 50 a bordo e 22 sono i superstiti. Non volevamo
assistere più a scene come queste. Non volevamo più commemorare tragedie» , si
sfoga il sindaco dell’isola, Salvatore Martello, dopo una notte passata
insonne.
In questo lembo di terra in mezzo al Mediterraneo oggi non va in scena lo
scontro politico. Non si replica il braccio di ferro tra ong e governo, non ci
sono racconti di migranti bloccati in mare e di porti bloccati. Di
comandanti che forzano i divieti del Viminale e di razzisti che urlano. Si
contano le vittime di un naufragio avvenuto ad appena sei miglia dalla terra
ferma. A due passi, neanche mezz’ora di navigazione. Una strage di donne e
bambini.
Sembra un deja vu. Sembra di vedere spezzoni di immagini del naufragio del
3 ottobre del 2013, quello dei 368 morti, ricordato meno di una settimana fa. I
superstiti che arrivano fradici, con i vestiti inzuppati d’acqua: gli occhi del
terrore. Le bare, tante bare. I primi due corpi sono scesi da una motovedetta
in nottata. Altri undici vengono sbarcati nella tarda mattinata. Gli uomini
della guardia costiera li poggiano sul molo, dove i dipendenti del Comune li
adagiano sulle casse per portarli in due camion.
« La politica ha bisogno di serietà. Il fenomeno migratorio non è stato
risolto e quello che succedeva prima, continua oggi. Tutti i discorsi fatti su
porti aperti o chiusi sono inutili se l’Europa non si riunisce intorno a un
tavolo: continueremo ad assistere a questa scena macabra», incalza Martello,
indicando con l’indice i feretri sistemati a terra.
Davanti al cancello del molo Favaloro c’è silenzio. Un
rispettoso silenzio. «Cosa è successo?», chiede un turista agli agenti che
presidiano l’ingresso. « Oh mamma mia, che tragedia » , dice una ragazza
milanese di nemmeno vent’anni. Non si vedono, come è successo quest’estate,
filo salviniani e scalmanati gridare all’invasione o inveire contro i
giornalisti « perché ci rovinate l’immagine dell’isola e noi col turismo ci
dobbiamo campare». Soltanto un uomo, a bordo di uno scooter, lancia improperi
contro un’attivista di Mediterranean hope, una delle realtà più impegnate
a Lampedusa. Un lampo di disumanità, in una giornata di rispetto.
Quando i due camion con le tredici bare adagiate nei cassoni lasciano il
molo Favaloro, segni della croce danno il commiato alle ennesime vittime del
Mediterraneo. I feretri vengono portati alla casa della Fratellanza, vicino al
santuario della Madonna di Porto Salvo. « Non abbiamo strutture per ospitarli,
credo staranno lì per un po’», dice il sindaco. Li hanno messi in un angolo di
uno stanzone spoglio, come se aspettassero, inevitabilmente, le altre bare. Un
gruppo di superstiti viene accompagnato lì a fare il riconoscimento. Qualcuno,
si intravede dalla recinzione, ha appoggiato un mazzo di fiori davanti alla
porta. Il parroco di San Gerlando don Carmelo La Magra prega e dà conforto.
Se ci si allontana dal capannello di giornalisti e telecamere, si vede
un’altra Lampedusa, in cui la stagione turistica non è ancora terminata. Gli
hotel e i ristoranti sono pieni, come i tavoli di bar dove spritz e caffè
aiutano a superare la noia di una giornata senza sole e senza spiaggia. In via
Roma c’è la signora Maria, residente nell’isola, che commenta la tragedia con
un’amica: « Poveri disgraziati, fa sempre male quando ci sono dei morti». Più
in là una milanese fa le stesse considerazioni: « Non si può perdere la vita
alla ricerca di un futuro migliore. Non è possibile che ancora oggi, nel 2019,
non abbiamo imparato la lezione ». Piccoli gruppi di migranti, sbarcati nei
giorni scorsi passeggiano in centro e si riparano sotto i balconi quando la
pioggia diventa fittissima.
Per il resto c’è indifferenza. Nel televisore di un bar, zeppo di
visitatori, passano le immagini del naufragio. Tutto scorre normale, come se la
notizia fosse lontana: accaduta altrove. E invece, a poche miglia, una
motovedetta ha preso il largo per recuperare altri corpi. Il mare è sempre più
grosso, la burrasca si trasforma in temporale. « Le ricerche continuano, anche
se le condizioni meteo non aiutano. Sono pronti pure i sommozzatori » , sospira
il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella. Le nuvole si fanno sempre
più scure, poi il sole cala e pure i più ottimisti perdono qualsiasi speranza
di trovare vivi in mare.
La Repubblica Palermo, 8 ottobre 2019
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