La targa commemorativa posta nell'atrio di Palazzo Comitini a Palermo |
Il 19 ottobre del 1944 soldati dell’esercito
italiano spararono su una folla inerme, che in via Maqueda, davanti a palazzo
Comitini, allora sede della prefettura, protestava per le condizioni di vita
nell’immediato dopoguerra. Morirono 24 persone, tra cui donne e ragazzi e 158 furono
ferite. Era stato proclamato uno sciopero dei dipendenti comunali e numerosi
cittadini si erano uniti ai manifestanti, chiedendo “pane e pasta per tutti”,
ma furono colpiti a morte o feriti anche passanti.
Una Commissione d’inchiesta non chiarì le
responsabilità della strage e fu fortemente criticata dai partiti di sinistra
che facevano parte del Comitato di liberazione nazionale (formato da Democrazia
cristiana, Partito liberale, Partito d’azione, Partito comunista, Partito
socialista, Partito democratico del lavoro) che sottolinearono la formazione
filo-fascista dei militari.
Il processo, che si svolse a Taranto nel febbraio
del 1947, per soli due giorni, assolse gli imputati, perché avrebbero agito per
“eccesso in legittima difesa”. In realtà nessuno aveva mostrato di voler
aggredire i militari accorsi sul posto. Successivamente gli imputati venivano
amnistiati. Si conclude così una vicenda che ben presto sarà dimenticata.
L’intervento dei militari, della Divisione
Sabaudia, in una manifestazione pacifica, si spiega con le disposizioni che
prevedevano l’impiego di reparti dell’esercito, “in formazione di
combattimento”, per servizio di ordine pubblico, in un contesto di grande
miseria, in cui domina il mercato nero, mancano i servizi pubblici, la mafia
riprende le sue attività in posizioni di potere, pullulano le bande armate, si
avvia una nuova fase delle lotte contadine e popolari, la scena politica vede
l’azione dei separatisti e dei partiti ricostituitisi dopo lo sbarco degli
Alleati, che continuano ad esercitare il loro controllo, nonostante il ritorno
dell’amministrazione italiana il 14 febbraio del 1944.
Nonostante le richieste di familiari di
vittime, sostenute dal Centro Impastato, che chiedevano che venissero
ricordate, la lapide all’interno di palazzo Comitini è stata posta solo nel
1994.
Nel 1995, Giovanni Pala, uno dei soldati
intervenuti sul posto, ha dichiarato che non era in “corso nessun attacco alla
prefettura” e che l’ordine di sparare e lanciare le bombe era immotivato.
Con il progetto “Le forme della memoria” Il
No Mafia Memorial ha avviato la raccolta di lapidi e altri segni che ricordano
i caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia e le vittime
innocenti, per iniziare un percorso che ricostruisca, con nuovi linguaggi,
biografie e contesti, con il coinvolgimento delle scuole.
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