Nie Yuanzi, la donna che inventò il dazebao, un giornale murale dai grandi caratteri, che si sarebbe diffuso in tutto il mondo... |
dal nostro
inviato Filippo Santelli
HONG
KONG — Quando Nie Yuanzi scrisse il suo poster di critica contro il
segretario dell’Università di Pechino, «borghese e reazionario», e lo appese su
un muro del campus, non pensava di aver creato un nuovo genere. Letterario e
politico. Ma qualche giorno prima, era il maggio 1966, Mao aveva lanciato la
Rivoluzione culturale, il grande appello alle masse contro i revisionisti, e
appena gli mostrarono quel "poster a grandi caratteri", in mandarino
dazibao, capì che era il mezzo perfetto per il suo messaggio. Definì l’opera di
Nie il "primo poster marxista-leninista cinese" e ordinò che fosse
letto alla radio e pubblicato dai giornali. Mentre l’autrice, rivoluzionaria
della prima ora e quadro del Partito, ma già 45enne, salì d’improvviso al
vertice. Per tutti Nie Yuanzi divenne l’inventrice dei dazibao, un titolo con
cui ha dovuto fare i conti fino alla morte, avvenuta la scorsa settimana a 98
anni: «Quel poster mi ha portato una fama enorme – ha detto nel 2016
al New York Times – ma anche dolori e tormenti infiniti».
Perché dopo
la folgorazione di Mao, che subito produsse il suo, "Bombardare i
quartieri generali", i dazibao iniziarono a tappezzare i muri della Cina.
Da Pechino all’ultimo villaggio dello Yunnan. Una propaganda efficacissima,
perché travestita da libera espressione personale. Chiunque sapesse scrivere
aveva il diritto (costituzionale) ad appendere la sua critica in piazza, spesso
scopiazzata dai giornali di regime, a volte accompagnata dalle caricature dei
bersagli. Nella paranoia della Rivoluzione culturale le accuse anonime
divennero sentenze di condanna. Ognuno si svegliava col terrore di ritrovare
il proprio nome al muro, tra i nemici del popolo. Scrivere un’autocritica e
attaccarla sulla porta di casa era l’unico modo per salvarsi, ma non sempre
bastava.
Molto prima
di Facebook, i muri della Cina diventarono una bacheca di calunnie e vendette.
E toccò alla stessa Nie. Quando Mao morì, e presero il potere quelli che lui
aveva purgato, fu tacciata di "controrivoluzionaria" e arrestata.
Mentre Deng Xiaoping, ironia della sorte, usava i dazibao del Muro della
democrazia per cementare il nuovo corso, a lei fu imputata la campagna contro
il figlio Deng Pufang, reso invalido dalle Guardie rosse. Rilasciata dopo
qualche anno, Nie ha passato il resto della vita a difendersi dall’accusa di
essere uno dei mandanti delle violenze della Rivoluzione culturale. Il suo
funerale, segreto, mostra che non ci è riuscita. Eppure, oltre ad essere stati
la voce dei collettivi universitari di mezzo mondo, dal ’68 a oggi, l’eredità
dei dazibao è ancora ben visibile in Cina. Nei grandi striscioni a caratteri
bianchi su sfondo rosso che lungo le strade o negli uffici mandano messaggi
motivazionali, riciclando le parole di Xi Jinping. O nelle confessioni dei
funzionari corrotti trasmesse in tv, nuovi media per la stessa pubblica gogna.
La
Repubblica, 8 settembre 2019
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