Maurizio Landini, segretario generale della Cgil |
di Gad Lerner
BEINASCO (TORINO) — Incontro Maurizio Landini alla festa provinciale
della Fiom Cgil torinese, la cui storia gloriosa è intrecciata a un comparto
industriale dell’automobile ridotto oggi a soli due stabilimenti FCA a ciclo
completo: Mirafiori e Grugliasco. Mentre il sindacato calcola che negli ultimi
dodici anni la produzione di vetture, in quella che fu una città-fabbrica, ha
registrato un crollo dell’80%. Di fronte a Landini ci sono dunque i
rappresentanti aziendali di una classe operaia costretta sulla difensiva, la
prima ad avvertire i colpi della recessione economica. Ma dal segretario
generale della Cgil, ex operaio come loro, vogliono sapere cosa ci si debba
aspettare dalla politica, adesso che al governo ci sono andati insieme i due
partiti più votati dagli iscritti: Cinquestelle e Pd.
Landini, è questo il governo che aveva in
mente quando il 17 agosto scorso, in anticipo su tanti altri, diceva
a Repubblica che bisognava evitare l’esercizio provvisorio e
costruire nuove alleanze per fronteggiare la recessione?
«Intanto a me pareva importante che il Paese sapesse attraverso il
dibattito parlamentare il perché della crisi e se c’era o non c’era un’altra
maggioranza. Rifiutando l’idea che si dovesse andare alle elezioni solo perché
l’aveva deciso qualcuno, a seguito della rottura di un accordo fra privati. Ci
voleva finalmente un governo, dopo tanto tempo perso, quattordici mesi di
campagna elettorale, intanto che i problemi si aggravavano. È quello che non
solo io, ma tutto il movimento sindacale chiedeva: un governo di svolta
rispetto alle politiche economiche e sociali sbagliate — badi bene — non solo
dell’ultimo, ma anche degli altri governi precedenti. E poi costruire un
rapporto diverso con l’Europa, invertire la spinta alle disuguaglianze partendo
da una grande riforma fiscale, la totale revisione della Fornero. Staremo
a vedere, ma intanto si è dimostrato che quella maggioranza, se c’era la
volontà, poteva nascere».
Possiamo dire che nel Conte bis si
realizza l’alleanza fra i due partiti più votati dagli iscritti della Cgil?
«Questo è un dato di fatto, confermato dai sondaggi e da numerose ricerche.
Vivono al nostro interno sensibilità che speriamo si manifestino anche nella
nuova maggioranza. Ma non voglio costruirci sopra delle alchimie politiche. Se
è per quello, c’è anche una parte dei nostri tesserati che ha votato Lega. Io
non sono un suggeritore di equilibri di governo, sono un custode geloso
dell’autonomia del sindacato dai partiti, dal governo e dalle imprese. L’abbiamo
dimostrata sul campo. Non ci lasciamo condizionare, per noi valgono quei
contenuti che abbiamo definito con Cisl e Uil e sostenuti con la mobilitazione
nel Paese».
Chi conosce meglio, fra i nuovi ministri?
«Beh, Teresa Bellanova è stata una dirigente della Cgil. Vorrei
approfittarne per esprimere solidarietà alla ministra dell’Agricoltura,
denigrata per il suo titolo di studio. Per vostra informazione, anch’io ho solo
la licenza media. È una colpa provenire da famiglie che non potevano
permettersi di far studiare i figli? Lo trovo offensivo e, se mi permette,
parecchio classista. Al contrario, Teresa ha radici che non si scordano, nel
lavoro sfruttato che ha duramente combattuto. Non avrà titoli ma ha studiato
quando il lavoro glielo permetteva probabilmente più di molti suoi critici. Ci
siamo trovati in dissenso sul Jobs Act ma sono sicuro che il suo impegno contro
il caporalato e il lavoro nero sarà importante».
Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro?
«La conosco meno. Ho avuto modo di rappresentarle le nostre posizioni sul
salario orario minimo, che non può e non deve prescindere dalla validità erga
omnes dei contratti nazionali di categoria, se vogliamo combattere la piaga dei
falsi contratti-pirata. E qui c’è uno dei segnali di cambiamento che mi aspetto
da questo governo: il recepimento degli accordi tra sindacati e sistema delle
imprese per la misurazione della rappresentanza, la validazione degli accordi e
la democrazia economica. Poi, oltre ai salari orari minimi, bisogna garantire
anche gli altri diritti: malattia, infortuni, maternità, ferie. Sul
reddito di cittadinanza, di cui la ministra è stata fra gli artefici, è noto
che noi lo avremmo fatto diversamente, pur essendo favorevoli a uno strumento
per combattere la povertà. Non dimentichiamo che si può essere poveri anche
lavorando. Ci confronteremo nel merito e sapremo convincerla».
Stefano Patuanelli, ministro dello
Sviluppo economico?
«Sinceramente non lo conosco. Mi dicono che ha dato un contributo
importante al programma di governo. Gli ricorderò che il suo ministero non
serve solo a gestire le crisi aziendali ma deve delineare scelte strategiche di
politica industriale, oggi assenti e di cui il Paese ha un particolare
bisogno».
Di sicuro conosce, invece, il premier
Conte…
«Mi sono permesso di esprimere un giudizio positivo sul modo in cui ha
respinto prima le avances e poi gli insulti della Lega nel mese di agosto. Ha
dimostrato coraggio politico e rispetto delle istituzioni. Ora che guida
un’altra maggioranza, mi dà l’impressione che, a differenza dei precedenti,
abbia capito che i cambiamenti non si realizzano senza le parti sociali. Con
Cisl e Uil abbiamo già chiesto che si attivi il confronto, che instauri un
rapporto strutturale, vero e produttivo, con le organizzazioni sindacali e
datoriali. Ho fiducia. È questo un altro dei segnali di discontinuità che il
governo deve dare rispetto agli esecutivi che l’hanno preceduto.
La democrazia è fatta di rappresentanza.
La prima richiesta che farete al nuovo
governo?
«Una seria riforma fiscale. Che riduca la tassazione sul lavoro dipendente
e sulle pensioni, in modo che la gente veda aumentare le proprie entrate. Accompagnata
da una ripresa della lotta contro l’evasione fiscale e da un provvedimento che
affronti in una logica di solidarietà e di lotta alle diseguaglianze, l’abnorme
concentrazione di ricchezza finanziaria e patrimoniale che si è determinata.
Questa è una delle priorità, se si vuole allestire un piano straordinario di
investimenti, da contrattare anche in Europa».
Ci sono invece provvedimenti del primo
governo Conte di cui chiedete la revisione?
«Oltre ai decreti sicurezza di Salvini e a un approccio più complesso e
direi accogliente nei confronti dell’immigrazione riaprendo una discussione con
l’Europa sulle regole, va profondamente rivisto il cosiddetto
"sbloccacantieri" che aumenta la piaga dei subappalti e facilita la
malavita a sfuggire ai controlli. In edilizia, al contrario si possono
sperimentare anche forme di intervento pubblico, come utilmente avvenuto nella
integrazione Salini-Impregilo-Cdp-Fondazioni bancarie».
E sulla questione dei bassi salari,
dobbiamo aspettarci un autunno caldo? So che i metalmeccanici chiedono 153 euro
di aumento.
«Se è per quello, gli alimentaristi, con ragione, ne chiedono 205. E poi ci
sono i bancari… l’anno prossimo scadono i contratti di 9 milioni di dipendenti
privati, a cui si aggiungono i pubblici. Cgil, Cisl e Uil chiedono
unitariamente che i prossimi aumenti salariali vengano detassati, per favorire
anche una ripresa dei consumi».
Landini, lei in passato ha rifiutato più
volte di impegnarsi direttamente in politica. Da sindacalista, quale contributo
può dare la Cgil a rigenerare una sinistra che ha reciso molti legami con le
classi subalterne?
«Le rispondo che come sindacato unitario, cioè recuperando quella forza che
si manifesta solo se c’è l’unità sindacale, noi possiamo dare un contributo
ancora più importante. Rimettendo al centro il lavoro, la sua qualità e la sua
sicurezza si può aspirare a una rigenerazione culturale del Paese, vincere
questa brutta tendenza alla frantumazione e alla mercificazione delle persone.
Una sinistra popolare e più in generale una nuova cultura politica non può
rinascere fuori da questo orizzonte unitario, restituendo al lavoro la sua
dignità che in troppi hanno sminuito e che in molti ancora calpestano».
La Repubblica, 7 settembre 2019
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