di Alberto Melloni
Devono sventare il bullismo e insegnare la grammatica,
vigilare sul razzismo e sulle equazioni, seguire la rivoluzione digitale e
combattere la dipendenza da smartphone. Elogio degli insegnanti
Cara Professoressa, caro Professore, le scrivo dall’altra parte del fosso
che separa scuola e università, dove ragazze e ragazzi approdano dopo aver
superato l’esame di immaturità e aver alimentato in tv, nei giornali, nelle
case, la produzione di riflessioni stucchevoli come film di quinta categoria:
"Il Grande Lutto" dedicato all’Invalsi, "Lo Iato" sul
divario nord sud, "De Amicis Reloaded" sull’immigrato promosso a
pieni voti, "¡No Pasarán!" sulla diserzione dal tema di storia,
"Più Scienza per Tutti" con riferimento al nostro presunto eccesso di
letteratura, "Redde Rocci vel Mariotti" sull’importanza formativa
delle lingue classiche, e l’immancabile "La Parola d’Ordine è Una Sola,
Categorica e Impegnativa per Tutti: Bocciate! E Bocceremo! (ovazione)".
Anche per questo lei ha la mia ammirazione e la mia riconoscenza. Perché in
ciò che sopporta c’è qualcosa di molto diverso dalla violenza messianica con la
quale don Milani sbranò la più famosa delle sue colleghe: c’è una ammirazione
fideistica e un disprezzo paternalista.
Da un lato infatti tutti si aspettano da lei l’onnipotenza onnisciente. Lei
deve smontare il bullismo e insegnare la grammatica. Far capire la relatività e
prevenire la violenza di genere. Trasmettere l’amore al sapere e la cultura
della sostenibilità. Gestire i disturbi specifici dell’apprendimento ed essere
attore della rivoluzione digitale. Vigilare sul razzismo e sulle equazioni di
secondo grado. Iniziare all’arte e combattere l’analfabetismo religioso.
Trasbordare gli immigrati da Lampedusa a Manzoni. Difficile? Non per lei,
che ex opere operato, è psicologa, maieuta, poetessa, poliziotta.
Dall’altro gli stessi, quando sospettano non sia onnipotente, le porgono il
loro disprezzo. Perché è stata lei – non tenti di negarlo – che non ha
insegnato l’antifascismo, l’autorità, il congiuntivo, le competenze
digitali e dunque il razzismo, la cialtroneria, l’analfabetismo di ritorno e la
dipendenza da smartphone sono colpa sua. E poi, se non avesse perso tempo a
leggere, avrebbe potuto restaurare un po’ di autoritarismo, strappando di mano
ai ragazzi i telefonini con la frusta di Indiana Jones, dopo un corso online
disponibile sulla apposita piattaforma Edufuffa. E dunque, per
queste colpe, lei si merita non solo uno stipendio modesto ma soprattutto
il disprezzo sociale, il compatimento, l’omologazione ai tanti inetti che si
mescolano agli eroi in aula insegnanti ed escono.
La ammiro e la ringrazio perché lei questo mix lo affronta
con souplesse non solo quando arriva dai media, ma anche quando i
genitori diventano aggressivi per autoassolversi. Quando lo Stato dice ad
alcuni di voi che il vostro è un mestiere per il quale serve una selezione
rigorosa oppure il titolo di precari. Quando le università le hanno venduto
crediti in cambio di qualche improbabile passerella verso la cattedra. E
soprattutto quando la violenza e il risentimento pompato dai sovranisti e dai
populisti nelle vene di questo Paese diventano tensione fisica nella sua aula:
e anziché aprire la finestra evocata dal personaggio Howard Beale del
film Quinto Potere e dire «tutto questo non lo sopporterò più», apre
la porta di un’aula ed entra.
Certo, lo saprà: di qua dal fosso della scuola, facciamo presto a parlar
male di questi ragazzi che naufragano su test a prova di Tar o parlano come
Soliti Idioti. Però, i meno peggio di noi, sanno i limiti della nostra
università, antichi e nuovi; sanno che un sistema che educa non tira fuori da
tutti e non a tutti aggiunge quello che dovrebbe; che è finanziata troppo
dagli iscritti e troppo poco dagli evasori. Però i meno ottusi di noi sanno che
poi alla fine tanti di questi ragazze e ragazzi che lei oggi ci consegna,
quando avranno finito l’università, quando arrivano in paesi con sistemi
scolastici più costosi e più iniqui del nostro, quando entrano in sistemi
scientifici e industriali esteri e dove si fanno più concorsi che ricorsi –
vincono. Il che vuol dire che "c’è del marcio", qui: ma c’è anche
qualcosa di sano. E fra mille lacune, quella traiettoria esistenziale di cui
lei ha fatto il grosso ha mille acciacchi ma c’è un qualcosa che non è poi così
male: perché quando politiche lungimiranti – pensi la media unica alla quale
non so lei, ma certo io, figlio di genitori di pochi mezzi economici, devo
tutto – e la probità di persone come lei le hanno dato gli strumenti la scuola
fa la cosa giusta. Dunque grazie.
Alberto Melloni
P.S. Lo so che il
suo collega che le ha fatto vedere questo articolo non merita il grazie di
nessuno, anzi non merita niente. Però in questo limbo di riunioni non ci dia
peso: e sappia che il grazie era solo per lei.
– L’autore ha curato e introdotto il Meridiano Mondadori dedicato agli
scritti di don Lorenzo Milani
La Repubblica, 8 settembre 2019
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