di Lavinia
Rivara
«Mi vergogno
per chi coinvolge i bambini, i figli devono essere tenuti fuori dalla polemica
politica». Chi ha pronunciato queste parole il primo agosto sulla spiaggia del
Papeete? Possibile che sia lo stesso leader che ieri ha chiuso un comizio prendendo
in braccio una bimba coinvolta nella vicenda di Bibbiano, probabilmente con una
storia traumatica alle spalle, scandendo lo slogan "Mai più bambini
rubati"? La stessa persona che sempre su quel palco ha schierato a favore
di telecamere numerosi altri minori dietro lo striscione "Bambini
strappati"? Sì, questa volta la Bestia di Salvini, la favolosa macchina da
propaganda del leader, non è stata capace di trovare un finale migliore per il
rito di Pontida: bambini. Usati per attaccare gli avversari politici.
Ma è stato
solo l’ultimo atto di una escalation sull’uso politico dell’infanzia.
Nessuno
contesta al leader leghista la condivisione su Facebook di momenti di vita
privata con i suoi figli: saggi di danza, pagelle, passeggiate. Ognuno è libero
di pensarla come vuole sull’opportunità di tanta insistenza, ma alla fine è una
scelta personale. Meno privata è apparsa la presenza della figlia sabato
all’assemblea degli amministratori della Lega, immortalata con indosso la
maglietta miss Papeete in una foto di gruppo con il papà e i governatori del
centrodestra.
Certo
l’utilizzo dei bambini nella propaganda non è una novità. Sulla loro
mobilitazione politica nella prima metà del Novecento, dalla Grande Guerra a
Mussolini, ha scritto un libro lo storico Antonio Gibelli ("Il popolo
bambino", Einaudi). Ora Salvini si inserisce a pieno titolo in questa non
felice tradizione. In agosto inveiva contro il giornalista di Repubblica
Valerio Lo Muzio che aveva filmato suo figlio su una moto d’acqua della polizia:
«Vada a riprendere i bambini lei che è specializzato». Ieri è stato lui a
metterli lì in posa e farli riprendere, schierati come bandiere di partito. E
allora sì, un po’ di vergogna in effetti ci sta.
La Repubblica , 16 settembre 2019
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