di Attilio Bolzoni
Nel centenario della nascita di Vittorio Nisticò,
direttore per vent’anni, Palermo celebra il quotidiano che ha fatto la storia
della Sicilia e del giornalismo. Intitolandogli una via
La prima volta che l’ho visto incollato sulla parete di un’edicola non
avevo ancora quindici anni. Mi aveva colpito la foto di un uomo con il nasone
tutto storto, una pagina fradicia d’acqua e quel titolo: «Aiutateci». Nella
penombra mi sono avvicinato per leggere. C’era scritto: «Mauro manca ormai da
cinque giorni, è stato sequestrato sotto i vostri occhi». Mauro De Mauro,
giornalista, rapito il 16 settembre del 1970 e mai più ritrovato. Scomparso,
lupara bianca. Il primo delitto eccellente di Palermo. Quella sera non avrei
mai potuto immaginare che, meno di dieci anni dopo, sarei diventato un cronista
del giornale L’Ora o come lo chiamavano i palermitani «il L’Ora »
o più brutalmente « il L’Ora morti e feriti», così gridavano gli
strilloni per le strade della capitale della Sicilia per annunciare l’ultima
ammazzatina di mafia alla Zisa o alla Vergine Maria.
Nello stanzone della Cronaca, rovente d’estate e gelido d’inverno, ci sono
entrato alle sette del mattino del 20 maggio 1979 (il L’Ora era un
quotidiano del pomeriggio, le rotative cominciavano a girare verso mezzogiorno)
e mi tremavano le gambe. Un’emozione che mi aveva inchiodato per un quarto
d’ora sulla sedia di ferro davanti alla seconda scrivania sulla destra, seduta
accanto a me c’era già Bianca Stancanelli, una fuoriclasse che nonostante la
giovanissima età — pressappoco la mia — era già una "firma" di quello
che era la voce dell’altra Palermo.
Giornale antimafia lo definiscono ancora oggi. Una bestemmia. Era un
giornale che pubblicava le notizie quando gli altri fogli le nascondevano. Solo
un giornale, un vero e grande giornale. Lì dentro, nello stanzone rovente
d’estate e gelido d’inverno, ho imparato tutto. Era la "scuola"
dell’Ora, quello che per direttore ha avuto per oltre vent’anni Vittorio
Nisticò, un calabrese emigrato verso Sud che ha formato dal 1955 almeno tre
generazioni di reporter di classe e inchiestisti di lusso, diventati famosi o
rimasti nell’ombra, comunque tutti giornalisti che hanno scritto non soltanto
articoli ma hanno fatto anche un pezzo di storia della Sicilia.
A dieci anni dalla morte di Vittorio Nisticò e a cento dalla sua nascita le
mappe della città di Palermo avranno una nuova strada, via Giornale
L’Ora, la prima in Italia dedicata a un quotidiano. Parte da via Mariano
Stabile e raggiunge via Pignatelli Aragona, passando proprio da piazzetta
Francesco Napoli davanti al palazzetto di vetro dove era acquartierata la
redazione e dove — domani — i giornalisti passati da lì scopriranno una targa
in attesa di dare alle stampe un libro: L’Ora, Edizione straordinaria.
L’ultima volta che era andato in edicola è stato alla vigilia di Capaci, un
paio di settimane prima dell’uccisione di Giovanni Falcone. Aveva quasi un
secolo. Primo direttore Rastignac, al secolo Vincenzo Morello. Primi editori i
Florio, proprio quelli della dinastia che fece "felicissima"
Palermo. Poi, nel secondo dopoguerra, il L’Ora che noi conosciamo meglio.
Le occupazioni delle terre, Emanuele Macaluso e Pio La Torre, le battaglie
civili. E la mafia. La prima inchiesta italiana su quella che si chiama — ma lo
sapremo poi — Cosa Nostra la scrivono due giornalisti dell’Ora, Mario
Farinella e Felice Chilanti. È quando i boss abbandonano il feudo e si
trasferiscono in città, mercato ortofrutticolo, cantieri navali e palazzi,
tanti palazzi che sotterrano i giardini di limone e fanno sparire le ville
settecentesche.
La strage di Ciaculli, il "sacco di Palermo" e le bombe in
tipografia. È il 1958. Il L’Ora esce anche quella volta in edizione
straordinaria: «La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua ». Poi l’altra
storica prima pagina che svela il volto di qualcuno che diventerà tristemente
noto negli anni a seguire: «Quest’uomo è pericoloso ». È Luciano Liggio da
Corleone.
La mafia fa brutta Palermo con il cemento e i capibastone della politica.
Sono Salvo Lima, Vito Ciancimino, Giovanni Gioia. Tutti sanno e tutti stanno
zitti. Solo il quotidiano della sera di Palermo li smaschera. Con la scuderia
dei suoi giornalisti più pregiati, Marcello Cimino, Giuliana Saladino, Salvo
Licata, Enzo Perrone, Orazio Barrese. Il commentatore delle vicende siciliane è
Leonardo Sciascia, i disegni che compaiono in prima pagina sono del pittore
Bruno Caruso.
Intanto il L’Ora perde altri due giornalisti, Cosimo Cristina e
Giovanni Spampinato. Anche loro uccisi.
Quando l’Italia scopre l’esistenza della mafia, non c’è inviato dei
giornali del Nord che non bivacchi nello stanzone della Cronaca di piazzetta
Francesco Napoli. E c’è un’altra stirpe di cronisti che cresce, Sergio
Buonadonna e Alberto Stabile, Alberto Spampinato e Nino Sofia, il cui padre
Marcello era stato capocronista sempre all’Ora e suo nonno Nino
direttore dopo una gioventù avventurosa che lo portò alla ribalta a fine
Ottocento per la sfida — lui in bicicletta, l’altro a cavallo — lanciata al
velodromo di via Parlatore a un Buffalo Bill passato da Palermo durante la sua
famosa tournée in Europa.
Il L’Ora, che è anche il L’Ora delle foto di Letizia
Battaglia e di Franco Zecchin, domenica ritorna per un giorno a Palermo. Con il
sindaco Leoluca Orlando che inaugurerà una lapide in ricordo di Vittorio
Nisticò «insieme a una redazione di coraggiosi giornalisti», tutti con la
voglia di raccontare, tutti trasmigrati lontano dalla Sicilia dopo la chiusura
del loro giornale. L’ultimo titolo, bellissimo, dell’Ora: «Arrivederci».
La Repubblica, 28 sett 2019
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