domenica, settembre 29, 2019

ANNIVERSARI. Arrivò L’Ora e chiamò mafia la mafia


di Attilio Bolzoni
Nel centenario della nascita di Vittorio Nisticò, direttore per vent’anni, Palermo celebra il quotidiano che ha fatto la storia della Sicilia e del giornalismo. Intitolandogli una via
La prima volta che l’ho visto incollato sulla parete di un’edicola non avevo ancora quindici anni. Mi aveva colpito la foto di un uomo con il nasone tutto storto, una pagina fradicia d’acqua e quel titolo: «Aiutateci». Nella penombra mi sono avvicinato per leggere. C’era scritto: «Mauro manca ormai da cinque giorni, è stato sequestrato sotto i vostri occhi». Mauro De Mauro, giornalista, rapito il 16 settembre del 1970 e mai più ritrovato. Scomparso, lupara bianca. Il primo delitto eccellente di Palermo. Quella sera non avrei mai potuto immaginare che, meno di dieci anni dopo, sarei diventato un cronista del giornale L’Ora o come lo chiamavano i palermitani «il L’Ora » o più brutalmente « il L’Ora morti e feriti», così gridavano gli strilloni per le strade della capitale della Sicilia per annunciare l’ultima ammazzatina di mafia alla Zisa o alla Vergine Maria.

Nello stanzone della Cronaca, rovente d’estate e gelido d’inverno, ci sono entrato alle sette del mattino del 20 maggio 1979 (il L’Ora era un quotidiano del pomeriggio, le rotative cominciavano a girare verso mezzogiorno) e mi tremavano le gambe. Un’emozione che mi aveva inchiodato per un quarto d’ora sulla sedia di ferro davanti alla seconda scrivania sulla destra, seduta accanto a me c’era già Bianca Stancanelli, una fuoriclasse che nonostante la giovanissima età — pressappoco la mia — era già una "firma" di quello che era la voce dell’altra Palermo.
Giornale antimafia lo definiscono ancora oggi. Una bestemmia. Era un giornale che pubblicava le notizie quando gli altri fogli le nascondevano. Solo un giornale, un vero e grande giornale. Lì dentro, nello stanzone rovente d’estate e gelido d’inverno, ho imparato tutto. Era la "scuola" dell’Ora, quello che per direttore ha avuto per oltre vent’anni Vittorio Nisticò, un calabrese emigrato verso Sud che ha formato dal 1955 almeno tre generazioni di reporter di classe e inchiestisti di lusso, diventati famosi o rimasti nell’ombra, comunque tutti giornalisti che hanno scritto non soltanto articoli ma hanno fatto anche un pezzo di storia della Sicilia.
A dieci anni dalla morte di Vittorio Nisticò e a cento dalla sua nascita le mappe della città di Palermo avranno una nuova strada, via Giornale L’Ora, la prima in Italia dedicata a un quotidiano. Parte da via Mariano Stabile e raggiunge via Pignatelli Aragona, passando proprio da piazzetta Francesco Napoli davanti al palazzetto di vetro dove era acquartierata la redazione e dove — domani — i giornalisti passati da lì scopriranno una targa in attesa di dare alle stampe un libro: L’Ora, Edizione straordinaria.
L’ultima volta che era andato in edicola è stato alla vigilia di Capaci, un paio di settimane prima dell’uccisione di Giovanni Falcone. Aveva quasi un secolo. Primo direttore Rastignac, al secolo Vincenzo Morello. Primi editori i Florio, proprio quelli della dinastia che fece "felicissima" Palermo. Poi, nel secondo dopoguerra, il L’Ora che noi conosciamo meglio. Le occupazioni delle terre, Emanuele Macaluso e Pio La Torre, le battaglie civili. E la mafia. La prima inchiesta italiana su quella che si chiama — ma lo sapremo poi — Cosa Nostra la scrivono due giornalisti dell’Ora, Mario Farinella e Felice Chilanti. È quando i boss abbandonano il feudo e si trasferiscono in città, mercato ortofrutticolo, cantieri navali e palazzi, tanti palazzi che sotterrano i giardini di limone e fanno sparire le ville settecentesche.
La strage di Ciaculli, il "sacco di Palermo" e le bombe in tipografia. È il 1958. Il L’Ora esce anche quella volta in edizione straordinaria: «La mafia ci minaccia, l’inchiesta continua ». Poi l’altra storica prima pagina che svela il volto di qualcuno che diventerà tristemente noto negli anni a seguire: «Quest’uomo è pericoloso ». È Luciano Liggio da Corleone.
La mafia fa brutta Palermo con il cemento e i capibastone della politica. Sono Salvo Lima, Vito Ciancimino, Giovanni Gioia. Tutti sanno e tutti stanno zitti. Solo il quotidiano della sera di Palermo li smaschera. Con la scuderia dei suoi giornalisti più pregiati, Marcello Cimino, Giuliana Saladino, Salvo Licata, Enzo Perrone, Orazio Barrese. Il commentatore delle vicende siciliane è Leonardo Sciascia, i disegni che compaiono in prima pagina sono del pittore Bruno Caruso.
Intanto il L’Ora perde altri due giornalisti, Cosimo Cristina e Giovanni Spampinato. Anche loro uccisi.
Quando l’Italia scopre l’esistenza della mafia, non c’è inviato dei giornali del Nord che non bivacchi nello stanzone della Cronaca di piazzetta Francesco Napoli. E c’è un’altra stirpe di cronisti che cresce, Sergio Buonadonna e Alberto Stabile, Alberto Spampinato e Nino Sofia, il cui padre Marcello era stato capocronista sempre all’Ora e suo nonno Nino direttore dopo una gioventù avventurosa che lo portò alla ribalta a fine Ottocento per la sfida — lui in bicicletta, l’altro a cavallo — lanciata al velodromo di via Parlatore a un Buffalo Bill passato da Palermo durante la sua famosa tournée in Europa.
Il L’Ora, che è anche il L’Ora delle foto di Letizia Battaglia e di Franco Zecchin, domenica ritorna per un giorno a Palermo. Con il sindaco Leoluca Orlando che inaugurerà una lapide in ricordo di Vittorio Nisticò «insieme a una redazione di coraggiosi giornalisti», tutti con la voglia di raccontare, tutti trasmigrati lontano dalla Sicilia dopo la chiusura del loro giornale. L’ultimo titolo, bellissimo, dell’Ora: «Arrivederci».
La Repubblica, 28 sett 2019

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