di Rosario Giuè*
La Conferenza episcopale italiana
finora si è limitata ad accogliere, più volte, alcune decine di migranti nelle
proprie strutture, per esempio a Rocca di Papa. I vescovi siciliani hanno dato
un contributo negli stessi termini.
Tutto ciò è importante ma rimane nel campo dell’assistenza. Certo, così
agendo, i vescovi hanno esercitato la diaconia dell’accoglienza. Hanno messo al
primo posto, nell’immediato, il bene delle persone in difficoltà, già salvate
dal naufragio grazie all’intervento di imbarcazioni delle organizzazioni non
governative italiane o straniere, viste come demoni dal governo attuale.
Ma
sul piano politico, di fatto, i vescovi così agendo hanno in qualche modo
tolto le castagne dal fuoco al governo, in particolare al ministro dell’Interno
leghista Salvini sotto i riflettori critici dell’opinione pubblica europea. Al
ministro Salvini fa comodo che qualcuno acceleri l’accoglienza e non lo faccia
apparire “cattivo” per molto tempo. Così agendo i vescovi, senza volerlo, hanno
assecondato la sua politica “rigorista”: un programma sull’immigrazione
infarcito di menzogne sul presunto traffico di esseri umani ad opera di
scafisti alleati delle Ong. Alleanza che tre procure non hanno potuto accertare
nonostante accurate indagini. Salvini è quel ministro che si è detto felice che
l’approvazione del decreto sicurezza bis «cada il 5 agosto, che per chi è
stato a Medjugorje rappresenta il compleanno della Vergine Maria». Com’è bravo
questo ministro ad agitare madonne, rosari e crocifissi come arma di menzogna politica
per catturare l’anima dei cattolici più semplici! Ora è stato approvato il
decreto sicurezza bis che è ampiamente incostituzionale, più del primo. Esso
viola in più punti la nostra Carte costituzionale. Ma solo don Luigi Ciotti, in
ambito cattolico e a livello nazionale, ha elevato pubblicamente la voce
appellandosi alla coscienza dei senatori a non votare quelle norme. La Cei e la
Cesi sono rimaste in silenzio. Allora sorge spontanea una domanda: può la
Conferenza episcopale, come espressione massima della Chiesa italiana, può
la Cesi come espressione della Chiesa siciliana, limitarsi a fare assistenza,
senza uno sguardo politico, senza parole e gesti profetico-politici su ciò che
sta avvenendo e avverrà ancora vicino alle coste siciliane?
Mi permetto di indicare una proposta semplice: perché non “armare”
un’imbarcazione alle proprie dipendenze, con propri fondi (non dell’8 per mille
legato ai privilegi del Concordato) per esercitare in mare il dovere evangelico
di solidarietà, sotto le insegne dei vescovi? Sarebbe un gesto di disobbedienza
civile e un parlare evangelico. Così si metterebbe a nudo, pubblicamente e non
nelle sagrestie, la disumanità e l’intollerabilità delle sanzioni previste
dal decreto: sanzioni sproporzionate, oltre che assurde, previste nei confronti
di chi compie atti doverosi come il soccorso in mare. Esponenti dell’episcopato
nazionale e siciliano hanno plaudito alla comandante Carola Rackete per il
coraggio mostrato. Ma lodare Carola non basta. Riceverla, casomai, per benedirla non basterà. Occorre che la Conferenza
episcopale italiana o siciliana, e la Chiesa che rappresenta, ora faccia
qualcosa che vada oltre l’assistenza, qualcosa di simile a ciò che ha saputo
essere e fare quella piccola donna. Carola, certo, non ha compiuto solo un
gesto di assistenza e di solidarietà, ma un atto politico. Il Vangelo non è
scegliere da che parte stare?
* sacerdote
La Repubblica Palermo, 10 agosto 2019
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