di FILIPPO CECCARELLI
Salvini come Berlusconi e Renzi: arrivato all’apice è diventato nemico
di se stesso. In pochi giorni il leader
leghista ha sbagliato tutte le mosse. Come, prima di lui, quei capi che hanno
confuso alto consenso e delirio di onnipotenza
Chi troppo vuole, nulla stringe: dedicato a Salvini. Come dire, in modo
anche più brutale, che in certe condizioni ci si frega con le proprie mani.
Ed è un vero guaio che "la Bestia" sovranista, così ricca di
calorosi follower, sottovaluti i motti della saggezza popolare, per cui
scatenare una crisi al buio in pieno agosto, e per giunta da una spiaggia,
invocando i pieni poteri senza avere numeri né alleanze in Parlamento, era
veramente troppo. Errore fatale e pugno di mosche: ché se il Capitano se ne
stava tranquillo, senza errori da papà, ruspe ad personam, baci al crocifisso e
mojiti al Papeete, ecco, magari restava ancora il leader incombente della
politica italiana. Ma come ha fatto a sbagliare così facile?
Nel disastro delle idealità e delle culture politiche i proverbi sono una
tale risorsa da oscurare qualsiasi social. Vedi anche: tanto va la gatta al
lardo (dei sondaggi, dei selfie, dei bagni di folla estiva) che ci lascia lo
zampino (del Viminale, annessi e connessi: autonomia, flat tax, farsi bello con
Putin, Trump e chissà chi altri).
Si tratta di verità elementari tramandate per lo più in famiglia, ma se si
sale anche un pochetto di livello non c’è testo sapienziale, dalle Sacre
scritture alle tragedie greche, che non metta in guardia i reggitori dei popoli
dal fidarsi eccessivamente di se stessi, o peggio della propria hybris, quell’insolente
ubriacatura di dominio che irrita le divinità portandole regolarmente ad
accecare coloro di cui si voglion sbarazzare. Poi ci si potrà credere o meno,
però chi sta per far cascare un governo di cui è il massimo protagonista un
pensierino può sempre farcelo, o no? Ecco: no. Per cui: "Sprofondano i
popoli nella fossa che hanno scavato,/ nella rete che hanno teso s’impiglia il
loro piede" (Salmo IX, da mandare a memoria, non bastando ad orientare la
coscienza l’immaginetta della Madonna sul display del telefonino).
Ora, la crisi è ancora ben confusa e tale approccio moraleggiante può
senz’altro suonare abusivo rispetto ai possibili o anzi probabili accrocchi e/o
alle maggioranze Ursule che nella capitale deserta e infuocata vanno
senz’altro immaginandosi. Così, su di un piano meno astruso, si può perfino
arrivare a comprendere come mai, dopo quello che ha combinato, ieri Salvini se
ne sia uscito con la più ovvia scusa non richiesta e la più scontata messa di
mani avanti: «Rifarei tutto».
Sennonché, proprio dai passaggi cruciali dell’ultimo decennio ecco la
conferma che giunti al culmine del loro successo (kairòs in greco e momentum in
latino) ogni volta i leader se ne inebriano e regolarmente sbroccano per fare
l’idiozia politica della vita loro. Una sequenza, una dinamica, un processo che
al di là della presente congiuntura finisce per configurarsi come una di quelle
"regolarità" studiate dagli scienziati della politica.
Senza farla troppo lunga, è accaduto a Berlusconi nel 2009: maggioranza
fortissima in Parlamento, vento in poppa dopo aver "risolto" la crisi
della monnezza a Napoli e dell’Alitalia, risultati considerevoli anche sul
fronte del terremoto dell’Aquila. Il 25 aprile il Cavaliere si presenta a Onna:
con un drammatico scenario di rovine alle spalle e fazzoletto partigiano al
collo pronuncia un discorso di apertura all’opposizione. Molti a sinistra
abboccano pure: uno statista! Due giorni dopo si presenta con tanto di
fotografo a Casoria per i 18 anni di Noemi Letizia: l’inizio della fine.
Più o meno la stessa coazione autolesionistica prende possesso di Renzi
nella primavera del 2014, dopo che il giovane Rottamatore, al grido "il
meglio deve ancora avvenire", guadagna il 40 e rotti per cento,
record assoluto alle Europee. Bene, che ti fa il premier? Neanche fosse
Erdogan, un bel referendum sul Senato che è in realtà su se stesso. Cioè scava
una buca e ci casca dentro.
Da notare che in entrambi i casi il ruolo delle opposizioni è apparso del
tutto secondario. Sia nell’uno che nell’altro frangente il centrosinistra e il
centrodestra seguitavano a guardarsi l’ombelico e/o a litigare. Lanciati verso
il futuro, conquistata la Rai e coccolati dalla massima parte dell’informazione
e di quelli che con grossolana semplificazione sono detti "poteri forti",
i due leader procedono verso l’auto-disastro talmente da soli che è impossibile
non solo comprenderli, ma anche, volendo, compatirli.
Ma siccome non c’è due senza tre, ecco dunque l’incredibile filastrocca di
Salvini. Osservata a ritroso, sembra già un caso di scuola: il successo
elettorale, anzichè consigliare misura e moderazione, ha alimentato retorica
incendiaria, violenza verbale, formule scioccanti, volgarità, fughe e dinieghi
dettati da pura arroganza. La droga dei sondaggi si combina con la frenesia dei
social e le interminabili liturgie dei selfie a toso nudo, quindi strilli,
brindisi, bacioni, monologhi a Unomattina, effusioni d’intimità con la giovane
fidanzata, fino all’euforia della festa nazional-balneare e all’ideona di
affondare il governo. Nessuno (forse solo l’ineffabile Giorgetti) che gli abbia
detto: Matteo, Matteo, dove vuoi arrivare?
Potrebbe chiederglielo adesso il presidente Mattarella. «La storia insegna
che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare, di
perdere il senso di servizio e di far invece acquisire il senso del dominio ».
Meglio di così non poteva dirlo, nell’ottobre scorso il Capo dello Stato a un
gruppo di liceali, suggerendo anche due vie d’uscite. Una personale: senso del
limite e dell’ironia; una pubblica: meccanismi di equilibrio che distribuiscono
funzioni e compiti del potere tra più soggetti in modo che nessuno ne abbia
troppo. Il troppo infatti stroppia, per restare ai proverbi.
La Repubblica, 21 agosto 2019
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