Oggi è il 35° anniversario dell'assassinio mafioso del vice-questore Ninni Cassarà e dell'agente Roberto Antiochia. Com'era Palermo stretta tra la guerra di mafia e la guerra allo Stato. Riproponiamo un articolo di Repubblica.
dal nostro inviato LEONARDO COEN
PALERMO -
Scatenata, la mafia all' attacco, come in guerra. Un commando di almeno sette
killer tre dei quali armati di mitra e kalashnikov ha teso ieri pomeriggio un
agguato al commissario Antonio "Ninni" Cassarà, trentotto anni, tre
figli dai due ai tredici anni, uccidendolo sui gradini del portone di casa
mentre rientrava alle 15,30. Duecento colpi di mitra che hanno stroncato anche
la vita di uno degli agenti di scorta, il giovane Roberto Antiochia di ventitrè
anni. Poteva essere un massacro: perchè Cassarà era arrivato con la sua Alfetta
bianca blindata targata 728966 accompagnato da tre uomini della Squadra mobile.
L' autista, Monti, si è salvato gettandosi sotto l' auto. Giovanni Salvatore
Lercara, venticinque anni, scivolando provvidenzialmente a terra ha battuto con
la fronte il primo gradino del portone, al numero 81 della via Crocerossa,
ferendosi leggermente (avrà quattro punti di sutura). Siamo nel quartiere
residenziale di San Lorenzo, dalle parti dello stadio della Favorita, poco
distante dall' ospedale Villa Sofia.
La moglie Laura accanto al corpo di Ninni Cassarà |
Laura, la moglie del commissario, era
affacciata alla finestra, al secondo piano. Ha assistito allucinata alla scena,
ha avuto la forza di scendere le scale gridando disperata aiuto. Giù, il suo
uomo, agonizzando, si trascinava sui cinque gradini dell' ingresso, lasciandosi
dietro una lunga striscia di sangue, chiamandola per nome, cercando di entrare
lo stesso a casa. Ha sollevato la testa, il commissario, ha visto Laura e lei
gli si è gettata addosso, un ultimo inutile e impotente abbraccio. E' morto
così questo commissario che da dieci anni lottava contro la mafia, cinque dei
quali passati in prima linea proprio a Palermo. Lottava con i suoi uomini sotto
choc per la drammatica morte di Salvatore Marino, lottava senza mezzi, al
limite della sopportabilità: "turni massacranti, pochi aiuti eppure noi
abbiamo fatto miracoli in questa guerra" hanno gridato esasperati i
compagni di lavoro di Cassarà, vice di Francesco Pellegrino, il capo della
Mobile allontanato dall' incarico lunedì, dietro direttive impartite dal
ministero. Negli ultimi tempi Cassarà lavorava assieme a Giuseppe Montana, il
capo della sezione "catturandi" assassinato al molo di Porticello
dieci giorni fa. Dopo questo delitto, aveva capito qual era il pericolo della
polizia, si rischiava di restare isolati. La frontiera antimafia, una frontiera
al massacro: "Senza il nostro sangue molti Soloni non avrebbero
pontificato nè convegni e nè summit" aveva dichiarato polemico. Eccolo ora
là, su quei cinque gradini, la testa spappolata da proiettili che perforano l'
acciaio. I killer hanno sparato da trenta metri, nascosti nella casa di fronte.
Dovevano essere lì da almeno un' ora. Ogni giorno, infatti, il commissario
tornava a pranzo nell' intervallo fra le due e le tre del pomeriggio. Ieri
aveva ritardato un po' perchè, "saltato" Pellegrino, di fatto era
diventato lui l' uomo guida della Mobile palermitana. E' stato un agguato
preparato minuziosamente. Da professionisti che hanno curato ogni particolare.
Via Crocerossa è una strada lunga, stretta, a senso unico. Prima di arrivare
all' ingresso di casa del commissario si deve superare il palazzo
contrassegnato dal numero 77. Al pianoterra ci sono gli uffici dipartimentali
Aci 4 di Palermo. C' è sempre via vai, dunque, su guel pianerottolo. Ed è qui
che possono entrare, senza essere troppo notati, i tre killer. Si sono piazzati
nelle scale di servizio dello stabile alto tredici piani, quelle cioè che danno
sul cortile del complesso Castagna e che fronteggiano il palazzo numero 81,
quello dove appunto abitava il commissario. I mafiosi sanno che l' auto
blindata accompagna il dirigente della Mobile fin sotto il portone. Davanti, ci
sono dei grandi portafiori. Sette metri e 80 centimetri dall' ingresso all'
auto, stabilirà più tardi la scientifica. Se sparano sull' automobile, i killer
rischiano di fallire il bersaglio. Devono perciò calcolare quanti secondi hanno
a disposizione, dal momento cioè che i poliziotti scendono dall' Alfetta al
momento in cui entrano definitivamente nel palazzo. Devono dunque essere dei
professionisti, i più abili del crimine. Una squadra del delitto che la mafia
deve adoperare per i lavori più difficili. L' imboscata non è un episodio isolato:
deve far parte di un piano più articolato, un disegno "di potenza e di
intimidazione della mafia" nei confronti di chi li sta combattendo con
grande efficacia. E' anche un momento particolare, questo che sta attraversando
la Mobile palermitana. Sembra quasi che i cervelli di questo piano abbiano
messo in conto anche la tensione, l' ostilità e le polemiche che hanno colpito
la Questura di Palermo, soprattutto dopo la misteriosa morte di Salvatore
Marino avvenuta durante un interrogatorio quattro giorni prima. Domenica 28
luglio sono stati regolati i conti con il commissario Montana, ormai divenuto
troppo pericoloso per la mafia. Poi, ad alimentare la confusione, c' è stato l'
ambiguo funerale di Marino alla Kalsa, uno dei capisaldi della mafia tradizionale
cittadina, dove si è vista gente che se la prendeva con la polizia e che
chiedeva giustizia. E martedì 6 agosto, puntuale, è arrivata la vendetta
mafiosa. Più che mai un' irridente prova di forza. I killer dunque sono ben
appostati. Aspettano che i complici fuori dal complesso Castagna li avvertano.
Un' auto civetta, una Fiat Ritmo 70 color aviazione con targa falsa PA 701439 è
in attesa del segnale. Un' altra auto, una Giulietta 1800 marrone scuro servirà
per la prima parte della fuga. Una terza auto controlla la situazione. Cassarà
arriva che sono le 15,30. Fa caldo, lo scirocco porta dall' Africa umidità e
nuvole. La sua Alfetta bianca svolta, come sempre, nel cortile, sulla destra.
Imbocca lo stradino che porta al numero 81. In via Crocerossa, subito, la Ritmo
avanza di qualche metro piazzandosi proprio a metà dell' ingresso, di traverso,
per impedire l' accesso ad altre eventuali vetture. Contemporaneamente dalle
finestre delle scale interne del palazzo 77 spuntano tre canne corte di mitra.
Sono al secondo, al terzo, al quarto piano. L' Alfetta ha frenato. Si
spalancano le porte. Al secondo piano, ignara che di fronte a lei ci sono gli
assassini della mafia che le ammazzeranno il marito, c' è Laura Cassarà. Saluta
con la mano Ninni. Forse era preoccupata del ritardo. Il commissario ricambia
il saluto, scende dall' automobile, accompagnato dall' agente Antiochia, povero
figlio, volontario in questa scorta perchè si trovava in vacanza da queste
parti e si era messo a disposizione della Mobile palermitana dopo l' uccisione
di Montana. Poi, secco, improvviso il rumore: cinque lunghissimi secondi,
raffiche furibonde di mitragliatrice. Vanno in frantumi i vetri dell' entrata,
sull' intonaco spuntano cinque fori. Cadono stramazzati a terra Antiochia e il commissario,
nel cortile due uomini incappucciati corrono freneticamente: evidentemente
stavano lì a coprire l' azione dei tre che hanno sparato. I killer, intanto,
lasciano imperturbabili le scale da dove hanno esploso le raffiche. Escono dal
numero 77, saltano dentro le auto per la fuga. Più tardi la Giulietta 1800
verrà trovata bruciata in viale Lazio. Pochi minuti dopo, un' ambulanza arriva
al pronto soccorso dell' ospedale Villa Sofia. Non c' è nulla da fare:
Antiochia muore, anche a lui hanno spappolato il cervello. In via Crocerossa,
si precipitano poco per volta tutti gli uomini dello Stato che a Palermo
combattono ad "armi impari" questa lunga interminabile battaglia
contro la mafia. Arrivano i colleghi di Cassarà, piangono, gridano furibondi
"bastardi", bastardi a tutti quelli che gli hanno impedito di
lavorare come avrebbero potuto, bastardi a quelli che li hanno criminalizzati
per l' affare Marino. "La polizia è sola", ce l' hanno con la stampa,
l' esasperazione è comprensibile perchè "ci troviamo con le mani legate:
da anni qui a Palermo chiediamo mezzi, chiediamo rinforzi, chiediamo nuove
tecnologie. Lo Stato ha combattuto il terrorismo adeguando le proprie forze, la
lotta alla mafia invece procede come dieci, vent' anni fa. Siamo diventati
carne da macello". Sono agenti che lavorano da anni alla Mobile,
conoscevano bene Cassarà. Sfogano dunque la loro rabbia e il loro dolore questi
agenti mentre sfilano i magistrati del pool antimafia, Falcone, Antonio
Caponnetto, "siamo in guerra e qualcuno non l' ha capito e non lo vuol
capire". Vincenzo Paino, procuratore capo dice: "Dovete comprendere
questi ragazzi vanno lasciando il sangue in mezzo alla strada, rischiano la
vita giorno per giorno, qui siamo in guerra, dovete farlo capire a chi di dovere".
Arriva il sindaco Leoluca Orlando Cascio, altri magistrati e carabinieri.
Noialtri non abbiamo più il coraggio di fiatare. Alle 17,30 un furgoncino nero
Fiat 850 porta via la salma di Cassarà, seguita da cinque auto della Mobile. A
Palermo è stato dichiarato il lutto cittadino. Oggi, alle 15,30, i funerali del
commissario.
La Repubblica, 07 agosto 1985
Nessun commento:
Posta un commento