di Walter Veltroni
Caro direttore, uso le parole. Furono le parole, quando ero ragazzo, a
farmi innamorare della politica. Le parole con le quali Pavese descriveva la
Resistenza, quelle di Giovanni XXIII che trasmettevano amore e compassione
verso i deboli, quelle scritte dai martiri antifascisti, muratori o professori,
che si rivolgevano alla moglie o alla mamma la notte prima di morire per la
libertà degli altri, non la propria. Le parole dei pensatori che sottolineavo
sui libri o quelle dei leader politici della mia formazione che ascoltavo,
quando c’erano le bandiere.
Parole, il motore delle emozioni private e civili. Parole, lo strumento
delle grandi passioni politiche e umane.
Uso le parole per parlare oggi a chi rappresenta, in parlamento e nella
politica, tutte le persone che condividono i medesimi nostri valori, grandi e
essenziali. Quei valori hanno cambiato il mondo. Hanno spezzato catene, difeso
diritti fondamentali, conquistato libertà. Noi, che abbiamo inseguito la
realistica utopia di una società aperta e fondata sulla libertà degli umani,
abbiamo cambiato il mondo.
Ora il mondo, come è capitato talvolta nella storia, sta rimettendo le
vecchie armature, si sta attrezzando per un nuovo tempo di intolleranza.
Non ho mai smesso di parlare , in questi anni, di un pericolo Weimar. Serve
altro oggi per dimostrare che, con le dovute differenze storiche, stiamo
assistendo ad un fenomeno analogo? Crisi delle democrazie, paralisi delle
istituzioni rappresentative, sconvolgimenti sociali legati a una duratura
recessione, nascita di gruppi capaci, con il linguaggio dell’odio, di entrare
in sintonia con il disagio popolare diffuso. Ricorda qualcosa tutto questo?
Papa Francesco, non potrebbe esprimersi osservatore più libero da
appartenenze, ha detto a La Stamp a : «Il sovranismo è un
atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che
assomigliano a quelli di Hitler del’34. “Prima noi, prima noi..” sono pensieri
che fanno paura. Il sovranismo è chiusura… Il sovranismo è un’esagerazione che
finisce male sempre: porta alle guerre».
In un’intervista su questo giornale, un anno fa, suggerii di smettere di
usare la categoria del populismo per indicare ciò che doveva essere definita
nella sua natura reale: destra estrema.
Di questo si tratta. In Italia e altrove. Bisogna dirlo chiaro. Non c’entra
Reagan e neanche Bush. Non la signora Thatcher e neanche Chirac. Quella era la
destra liberale, che è stata l’alternativa democratica alla sinistra
progressista. E per decenni il mondo è cresciuto in ricchezza e libertà,
accettando l’alternanza tra questi due modelli e sistemi di valori.
Ora invece l’economia mondiale, tra dazi e scelleratezze antieuropee, vive
un momento depressivo. Il nostro Paese è in recessione. I negozi chiudono e le
imprese anche. L’Italia si sta impoverendo. Tutte le previsioni sono fosche. Si
promette ogni cosa, un assurdo festival della demagogia, ma la verità è che ci
ritroveremo da qui a breve con l’aumento dell’Iva e l’esercizio provvisorio.
Non sanno quello che fanno.
Ora il leader della Lega, mentre fa precipitare in pieno agosto il Paese in
una crisi al buio, chiede, nessuno lo dimentichi, il voto agli italiani per
«darmi pieni poteri per poter fare quello che abbiamo promesso, senza palle al
piede». Quali sono le palle al piede? Il Parlamento, i partiti, la libera
stampa, la magistratura?
Come reagire a questa sfida inedita?
Mentre scrivo non so quale sarà l’esito della crisi, per la quale è
comunque giusto seguire le indicazioni dell’unica figura super partes, il
presidente Mattarella.
So per certo che, per il modo in cui la crisi nasce, difficilmente il
ministero dell’Interno che dovrebbe garantire le elezioni potrà essere gestito
da chi ha portato il paese in questo tunnel.
In ogni caso, si voti subito, come sembra, o no, mi permetto di suggerire
“Cinque pezzi facili” per affrontare questa fase.
1) Far capire la portata del pericolo, per il Paese e per l’Europa,
costituito dal tentativo della Lega di usare il consenso di oggi per produrre ,
probabilmente, un cambio di clima istituzionale fondato sull’idea dei “pieni
poteri” e sulla necessità di liberarsi delle ”palle al piede”. Anche sulla
sicurezza. Bisogna contrapporre nettamente due modelli. Quello delle armi e
quello della comunità. Nell’America che ha scelto il primo, quest’anno, ci sono
stati 246 morti per sparatorie di massa, spesso provocate da sovranisti. Non è
lì che il nostro Paese vuole finire. La sicurezza dei cittadini è una priorità.
Per garantirla noi vogliamo un clima civile in cui si possa tornare a lasciare
le chiavi attaccate alla porta, piuttosto che vivere tutti armati e barricati.
Chi sbaglia, straniero o italiano, paga per il male che fa. Ma senza lavori
forzati o pene di morte. Come fanno i Paesi civili, in cui non esiste che ci
siano più armi c he cittadini. E, diciamolo forte, chi governa dovrebbe
prestare attenzione più ai quartieri popolari delle nostre città dominati dagli
spacciatori di droga legati ai poteri criminali che a demonizzare maniacalmente
ogni giorno il lavoro delle Ong.
Questa volta, per l’altezza della posta in gioco, nessuno degli elettori di
centrosinistra o moderati deve sentire che il legittimo fastidio per
l’inadeguatezza di una proposta politica alternativa possa costituire buona
ragione per astenersi. Stavolta no.
2) Fare del lavoro e della sicurezza sociale delle persone , non solo dei
giovani, il cuore della proposta programmatica del centrosinistra. In questo
senso io credo che sia matura un’idea di radicale abbattimento del cuneo
fiscale per consentire alle imprese di assumere e ai lavoratori di guadagnare
di più. Non cento piccole proposte. Una, forte. Abbattere drasticamente il
cuneo fiscale per più lavoro, più crescita, più sicurezza sociale.
3) L’ambiente è l’asse di riferimento dell’idea di sviluppo della sinistra
moderna. Ho tante volte parlato della assurdità del silenzio di tutti sulla
principale paura, questa vera, che la società dovrebbe avere. La paura del
dissolvimento del ciclo alimentare e di quello ambientale. Qualcosa che
misuriamo ogni giorno nella nostra vita. La riconversione ambientale
dell’economia può trasformare l’ambientalismo da cartello del no a visione
produttiva. Può far diventare l’ambiente ciò che in passato sono state le
autostrade e poi la comunicazione elettronica, il volano di una nuova fase di
sviluppo. L’ambiente è l’aglio dei nazionalisti, che non possono far altro che
negare, ridicolmente, l’esistenza del problema. Come ha fatto Trump, facendo
saltare gli impegni di limitazione delle emissioni presi da Obama.
L’emergenza ambientale postula un governo mondiale, altro che dazi e
sovranismi.
4) Istruzione, istruzione, istruzione. Abbiamo bisogno di un welfare
scolastico, che facendo leva sulle capacità e sul merito e partendo dalle
condizioni sociali spinga la maggioranza degli italiani, non solo ragazzi, a
praticare la formazione per tutta la vita. Bisogna rifare le scuole rendendole
moderne, non cambiare gli esami di Maturità ogni anno. Bisogna avere campus
universitari e non aule sovraffollate. Bisogna rispettare il lavoro di chi
insegna. Bisogna credere fino in fondo nella ricerca e nella cultura, antidoti
al declassamento del Paese.
5) Infine non bisogna avere paura di essere se stessi.
Devono essere distinguibili nettamente due mondi.
All’odio si deve sempre contrapporre il dialogo. Al razzismo l’idea di una
società sicura e giusta perché includente. Alla barbarie crescente del
linguaggio e dei gesti la sobrietà delle parole e la profondità dei
ragionamenti. Lo ha fatto una ragazza russa di diciassette anni, semplicemente
leggendo il testo della Costituzione del suo Paese. Bisogna essere l’altro da
quello che si vede. Nascondersi o omologarsi significa sparire. Occorre
l’orgoglio di essere democratici. Una parola che, lo si sta vedendo, è molto
più ricca di significati di quanto si pensasse, superficialmente.
Bisogna essere, visibilmente, l’altro. Non solo bipolarismo politico, ma
bipolarismo valoriale. Noi immaginiamo una società aperta, fatta di regole e di
rispetto di diritti. Una società libera, con una democrazia che funziona. Solo
infatti la velocità dei processi democratici, in una società digitale,
impedisce l’affermarsi di una domanda pericolosamente semplificatoria e
autoritaria. Non dobbiamo avere il tono degli altri, mai farci trascinare nella
rissa quotidiana che tutto omologa. Dobbiamo indicare con severità il pericolo
della destra estrema e al tempo stesso rappresentare quella maggioranza di
italiani che vorrebbe una politica fattiva e civile ed un Paese dinamico.
Milioni di italiani così sono ora alla finestra. Tra questi tanti che hanno
votato per i Cinque stelle e ora sono a dir poco pentiti per il modo subalterno
con cui, nell’ “anno bellissimo” in cui si sarebbe ”abolita la povertà” il
Paese è stato regalato, dalla subalternità pentastellata, alla destra estrema.
Si è disperso, asservendosi alla Lega, un patrimonio di desiderio di radicale
mutamento delle cose che, comunque la si veda, era alla base del grande
consenso ottenuto dai Cinque stelle alle politiche.
Se tutte queste persone resteranno alla finestra, si asterranno
sfiduciate, il Paese finirà male.
Il modo peggiore per parlare loro è squadernare ancora una volta il
repertorio infinito di personalismi, ripicche, furbizie, doppiezze, scissioni,
piccoli conti di potere che, in questi anni, ha logorato la stessa parola
sinistra.
Se non si vuole finire sui libri di storia come è successo in altri momenti
a gruppi dirigenti ciechi di fronte al baratro, bisogna che ci sia un colpo .
Non di reni. Di cervello e di cuore. Bisogna trovare le giuste parole, aprirsi,
unirsi, accettare le diversità e farle convivere.
Siano esse di pezzi di società civile, di altre formazioni politiche del
campo progressista, di anime del Pd.
Ci vuole oggi, per le prospettive politiche ed elettorali, un fronte ampio
di forze che si accordi su poche, chiare priorità programmatiche. Non programmi
velleitari e irrealizzabili di duecento cartelle.
E poi, uniti.
Per una volta, con quello che sta accadendo, uniti!
Oggi così va intesa, da parte del Pd , la vocazione maggioritaria con la
quale nacque il primo partito della sinistra sorto per fusione e non per
scissione. Non settarismo, integralismo, minoritarismo di ritorno.
Riformismo applicato con radicalità. E capacità di unire. Alla Lega bisogna
contrapporre non un grido. Ma un modo alternativo di intendere la politica, la
società. La capacità umile di ritrovare il popolo e quella coraggiosa di
salvare l’economia e il lavoro degli italiani dal rischio di una catastrofe
Bisogna trovare le parole giuste.
Quelle che accendono le emozioni delle persone e la loro passione civile.
La Repubblica, 11 agosto 2019
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