Marco Damilano |
Nel 1989 pensavamo che l’Europa fosse il nostro avvenire. Oggi
pensiamo di essere noi l’avvenire dell’Europa», ha rivendicato il premier
ungherese Viktor Orbán, citato da Jacques Rupnik in Senza il muro (Donzelli). Trent’anni fa si immaginava in Europa e in Occidente che la
liberal-democrazia fosse il destino dei Paesi dell’Est usciti dal muro.
Oggi, invece, l’ha detto Vladimir Putin, avanza chi vorrebbe la democrazia
senza liberalismo, senza il contrappeso del Parlamento e dell’opposizione, con
le istituzioni di controllo esistenti nella forma ma asservite nei fatti: la
magistratura indipendente, la stampa libera. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 25 luglio, ricevendo i
giornalisti al Quirinale, ha ricordato la sentenza del giudice Hugo Black della
Corte Suprema Usa del 1971: «La stampa è fatta per servire i governati, non i
governanti. La stampa è protetta affinché possa mettere allo scoperto i segreti
del Governo e informare il popolo».
Oggi, però, quei principi sono sotto attacco. I sovranisti in maggioranza
in alcuni Paesi europei e in Italia predicano l’identità assoluta tra governo e
popolo. Il governo deriva dal popolo, non può essere controllato né giudicato.
E chi esprime una critica va trattato così: come un nemico del popolo.
Il ministro Matteo Salvini sfugge al Parlamento, sogna un Paese che
assomigli ai suoi ossessivi monologhi sui social e sguinzaglia il branco dei
cacciatori in rete contro i (pochi) giornali non ancora sdraiati sulla spiaggia
del Papeete. I nostri, soprattutto, allergici al conformismo di qualunque
colore, per dna e per storia. Repubblica con il videomaker Valerio Lo
Muzio, insultato dal ministro per avere documentato il figlio a bordo della
moto d’acqua della Polizia. E L’Espresso , sotto tiro per l’inchiesta
di Giovanni Tizian e Stefano Vergine sulle trattative d’affari tra la Lega e la
Russia.
Dopo la nostra pubblicazione, il 24 febbraio, la procura di Milano ha
aperto un’inchiesta per corruzione internazionale e indaga su Gianluca Savoini,
l’uomo chiave, intimo di Salvini.
Il sito americano BuzzFeed ha pubblicato l’11 luglio l’audio
dell’incontro all’hotel Metropol che confermava quanto scritto cinque mesi
prima. Il premier Giuseppe Conte ha ammesso di fronte al Senato (24 luglio) che
il suo ministro dell’Interno ha mentito sulla presenza di Savoini nelle
delegazioni ufficiali. Di fronte a tutto questo chi fa il nostro mestiere ha il
dovere di rilanciare. Salvini era informato della trattativa di Savoini al
Metropol di Mosca con i russi il 18 ottobre 2018? Cosa ha fatto Salvini la sera
prima nella capitale russa, dopo aver parlato per soli dodici minuti in
pubblico nel pomeriggio all’incontro di Confindustria Russia? Si è incontrato
con il vice-premier con delega all’Energia Dmitry Kozak? Perché l’incontro non
figura nell’agenda del ministro? E soprattutto: che grado di autonomia da una
potenza straniera ha l’Italia governata dai sovranisti? Nessuna risposta,
solo qualche battuta infastidita, il coraggiosissimo Capitano scappa. E
nessuna smentita, nessuna querela. Negli ultimi giorni, invece, alcuni
squadristi di Salvini a mezzo stampa hanno provato a imbastire una inchiesta sull’inchiesta.
Reclamano di sapere come mai non abbiamo pubblicato l’audio dell’incontro al
Metropol, poi consegnato alla procura di Milano, quali sono le nostre fonti e i
nostri metodi. Eppure dovrebbero sapere bene che la riservatezza di una fonte
per un giornalista è sacra, tutelata in sede legale, e che le altre sono
decisioni editoriali.
Nessun segreto sulla mancata pubblicazione dell’audio: lo abbiamo usato per
confermare gli elementi che ci servivano, considerandolo uno strumento
importante che non esaurisce un’inchiesta molto più vasta e complessa. Ogni
documento, anche un audio ai tempi della Rete, non è il punto di arrivo, è il
punto di partenza di una inchiesta giornalistica, che richiede verifiche,
analisi, contesto, racconto. E capacità di reggere l’assalto di un potere che
non si limita a mentire o a non rispondere alle domande, come in passato, ma
vuole delegittimare, isolare, infangare chi le fa.
Un atteggiamento che dice molto degli obiettivi dei neo-governanti. «La
tranquilla superficie della menzogna», come la chiamava Vaclav Havel, il
dissidente cecoslovacco diventato presidente dopo il 1989: «Per sua natura la
vita tende al pluralismo, alla varietà, a realizzare la propria libertà, il
sistema invece esige monolitismo, uniformità, disciplina». Cancellare la
possibilità di esistere di quello strumento parziale, fallibile, mite, ma molto
determinato, chiamato giornalismo. Che non può terminare mai la sua ricerca,
per tutti i cittadini, la tensione continua della democrazia.
*Marco Damilano è il direttore dell’Espresso
La Repubblica, 5 agosto 2019
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