Un momento della commemorazione della astrage di Bellolampo |
Pubblichiamo l'intervento del gen. Gianfranco Milillo per ricordare i carabinieri vittime della strage di Bellolampo. Ovviamente, non ci sentiamo di sottoscrivere le sue considerazioni sulla morte del bandito Salvatore Giuliano e sull'arresto di Luciano Liggio. Si tratta di due vicende complesse, verificatesi in un contesto storico particolare, su cui la ricerca deve ancora fare definitivamente luce (dp).
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GIANFRANCO MILILLO
In occasione della giornata della memoria, il 27
gennaio scorso, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ammonito
gli Italiani affermando che “Abbiamo un dovere morale verso la storia e
verso l’umanità intera: il dovere di ricordare”.
A ulteriore testimonianza di questa Sua sensibilità ha
voluto gratificare la Fondazione Milillo, che porta il nome di mio padre,
destinando quale suo premio di rappresentanza la
Medaglia Presidenziale a Sua Firma, per non
dimenticare questa ricorrenza
Infatti oggi, 19 agosto 2019, siamo qui davanti a
questo Cippo per commemorare il 70° Anniversario della strage di Passo di
Rigano (PA), altrimenti conosciuta come strage di Bellolampo. Il monumento,
fortemente voluto da mio padre, è stato eretto in memoria di quei giovani
eroici carabinieri che rientravano, con mio padre, giovane Tenente, loro
Comandante di Reparto e fortunato superstite di quella strage, dopo aver
portato soccorso al presidio dell’Arma di Bellolampo, poco prima attaccata
dagli uomini del famigerato bandito Salvatore Giuliano.
Così raccontava mio padre il ferale evento: “Il 19
agosto del 1949, di sera con il plenilunio, sulla via del ritorno da
Bellolampo, ove ero accorso con 60 carabinieri, per difendere quel presidio
dell’Arma da una aggressione da parte di vari elementi della banda Giuliano, a
causa di un alto esplosivo rimasi vittima con i miei uomini di quella immane
strage, avvenuta a Passo di Rigano, ben più nota come la Strage di Bellolampo,
che cagionò la morte straziante di 7 cc., il ferimento di altri 10 me compreso.
La sera stessa della strage rientrai a casa con la giacca lacerata e intrisa
del sangue dei morti e feriti e sin da allora avevo promesso di far qualcosa
per detti miei uomini defunti, ma ero soltanto un Tenente. Divenuto Generale mi
adoperai per ricordarli, con tangibile segno di riconoscimento pubblico facendo
dedicare, anche se alcuni decenni dopo, dall’Amministrazione Comunale di
Palermo, un monumento a quei militari morti nella circostanza, nonché a tutti i
caduti in nome della Legge”.
Infatti quel Cippo è stato voluto oltre che per
onorare i caduti ed i feriti di “Passo di Rigano” anche per ricordare quanti
tra Ufficiali, Sottufficiali, Appuntati e Carabinieri hanno perduto la vita o
versato il proprio sangue nell’adempimento del dovere per sconfiggere il
banditismo di Giuliano e ridare serenità alle popolazioni.
Sette carabinieri morti e undici feriti: questo il
bilancio della strage. E’ stato detto di loro: “L’abnegazione nei
confronti del prossimo è un dono prezioso non concesso a tutti. Lo possedevano
senz’altro gli eroi che hanno reso grande il nome dell’Arma: gente comune,
ragazzi della porta accanto che entrati a far parte della grande famiglia della
Benemerita, ne hanno assimilato principi e ideali, finendo per incarnarli. E’
quanto hanno fatto i numerosi giovani martiri che, nel secondo dopoguerra,
caddero nella lotta senza quartiere ingaggiata contro il banditismo”.
Le cronache del tempo ricordano che “ai solenni
funerali delle vittime, tenutisi nella magnifica Cattedrale Arabo-Normanna
palermitana ed officiati dal cardinale Ernesto Ruffini, partecipò una folla
oceanica, le autorità della capitale sicula al completo e rilevanti esponenti
del Governo nazionale”.
“Quei giovani che ora chiamiamo eroi”, ha affermato il tenente
colonnello Emanuele De Ciuceis, “erano semplicemente ed orgogliosamente
Carabinieri che avevano deciso di osservare fino in fondo il Giuramento
prestato. Seppur perfettamente consci dell’enorme pericolo cui si esponevano,
non esitarono un attimo a seguire il proprio Comandante, Tenente Ignazio
Milillo, attivandosi con ammirevole slancio per supportare i compagni,
nell’immediata reazione che l’Arma voleva e doveva porre in essere. Spinti da
tali nobili sentimenti e malgrado la verde età – erano infatti poco
più che ventenni – essi sacrificarono dunque le loro vite. E’ perciò è
giusto e doveroso ricordare quei giovani, tutti Carabinieri a piedi già
inquadrati come effettivi, dalle origini modeste: Pasquale Marcone, Armando
Loddo, Giovan Battista Aloe, Sergio Mancini, Gabriele Palandrani, Antonio
Pubusa ed Ilario Russo, rispettivamente provenienti da Napoli, Reggio Calabria,
Lago, Vallepietra, Colle Santa Maria, Nuxis. I loro nomi campeggiano dunque in
bella mostra, quale sprone e modello per ciascuno di noi, nella Piazza d’Armi
del nostro Battaglione, ubicato presso la Caserma Calatafimini. Desidero
ricordare, però, anche i nomi di coloro che furono feriti nell’agguato di Passo
di Rigano: il già citato Tenente Ignazio Milillo e i carabinieri effettivi
Franco Longo, Tindaro Caffarelli, Carmine Petruzziello, Antonio De Rosa, Nicolò
Piombino, Vincenzo Riccio, Savino Atzori, Giuseppe Arena e Egidio Moi”.
La nostra generazione e quella dei giovanissimi forse
non sanno e spetta a noi rinnovare il ricordo, come ulteriore contributo a
quella “educazione alla legalità” a cui mio padre teneva,
tanto da intrattenere sovente gli studenti dei vari Istituti scolastici
siciliani sul tema.
Le Istituzioni tutte sono chiamate ad impartire ai
giovani questo importante insegnamento, in questa nostra terra sicula che ha
vissuto anni bui di stragi, a detrimento di coloro che della legalità hanno
fatto un ideale di vita e che continua purtroppo a “convivere” con una
illegalità più o meno sommersa.
Questo perché i giovani e meno giovani sappiano,
conoscendo vicende ed eventi che probabilmente ancora non compaiono nei manuali
di storia, ma che devono essere sempre valorizzati per formare le giovani
personalità, che la libertà, anche e soprattutto dalla arroganza mafiosa e
criminale, è un bene irrinunciabile.
Per ricordare quel nefasto evento, spaccato di storia
siciliana, la Fondazione Italiana per la Legalità e lo Sviluppo
“Generale Ignazio Milillo”, durante l’anno scolastico 2019/2020, darà
inizio a degli incontri sul tema, presso plessi scolastici delle città di
Palermo, Corleone e Sciacca.
Come ormai consolidata tradizione, i giovani saranno
impegnati, singolarmente o in gruppo, a delle ricerche sul tema e prima della
chiusura dell’anno accademico, a coloro i quali si classificheranno fra i primi
tre posti, la Fondazione elargirà o una borsa di studio o, a loro discrezione e
su suggerimento dell’Istituto, provvederà all’acquisto di materiale didattico.
La premiazione, a classi riunite degli Istituti
interessati e con la partecipazione dei familiari e docenti, si terrà
verosimilmente in Palermo al Teatro Politeama dopo una breve cerimonia
con deposizione di una corona d’alloro al Monumento dedicato agli eroici
carabinieri vittime della proditoria strage.
In merito a questa vicenda e per l’occasione ho
pubblicato il libro “Da Salvatore Giuliano a Luciano Liggio, attraverso
la testimonianza e l’opera del Generale Ignazio Milillo”
Il libro ripropone con la necessaria acribia il ruolo
svolto da mio padre nella Sicilia dell’immediato dopoguerra, in un periodo in
cui la regione era afflitta da problemi atavici aggravati dalla seconda guerra
mondiale che aveva lasciato il segno sia in campo politico che in quello
economico. Si spiega così il tentativo separatista ideato da Andrea Finocchiaro
Aprile che non disdegnò la lotta armata, affidata all’Esercito Volontario per
l’Indipendenza della Sicilia, di cui fu protagonista assoluto il “colonnello”
Salvatore Giuliano, noto come “il re di Montelepre”. Con il suo esercito
Giuliano si rese protagonista di vere e proprie azioni di guerriglia come
l’attacco alla Caserma di Bellolampo (19 agosto del 1949) e la strage di
Portella della Ginestra (1° maggio del 1947).
Le indagini che portarono alla morte di Salvatore
Giuliano (Castelvetrano, 5 luglio del 1950) e sulle modalità è sempre stato
avvolto da un alone di mistero al punto che l’inviato dell’Europeo, così titolò
la sua inchiesta pubblicata sul settimanale: “Di sicuro c’è solo che è morto”.
Dell’uccisione di Giuliano si autoaccusò il cugino
Gaspare Pisciotta ma mio padre, dopo accurate indagini espletati, contesta la
versione resa dal cugino del bandito e nei suoi diari scrive che l’esecutore
del delitto era stato Luciano Liggio “(…) per conto della Mafia che
aveva deciso di collaborare con le forze dell’ordine contro il bandito di
Montelepre allorché si era accorta che lo stesso nuoceva con la sua attività ai
tradizionali interessi della loro organizzazione”. In merito alle
motivazioni dell’uccisione di Giuliano scrive ancora: “[…] qualcuno
preferì ricorrere alla soppressione di Giuliano per timore che egli, da vivo,
potesse rivelare i segreti retroscena del suo coinvolgimento in politica
compromettendo la posizione di alcuni potenti”.
Sempre mio padre fu l’artefice del primo arresto del boss
mafioso Luciano Liggio, definito “la primula rossa” per la sua abilità
di sfuggire alle ricerche delle forze dell’ordine, scovato a Corleone il 14
maggio del 1964 presso l’abitazione delle sorelle Sorisi di cui una era la
fidanzata del sindacalista Rizzotto ucciso dal Leggio. Non mancarono polemiche
fra mio padre e il commissario Mangano su chi avesse proceduto al suo arresto.
Fu lo stesso Liggio a dichiarare agli inquirenti che a disarmarlo del suo
revolver e ad arrestarlo era stato il Colonnello dei Carabinieri Ignazio
Milillo il quale lo aveva sorpreso a letto perché gravemente malato. Leggio,
ogni volta a domanda specifica confermò la notizia nei vari tribunali, nel
corso di varie interviste nonché in un'intervista teletrasmessa realizzata nel
1989 da Enzo Biagi nel carcere sardo di Badu ‘e Carros dove il Boss morirà nel
1993.
Durante la sua brillante carriera mio padre continuò
la sua attività contro il crimine in altre Regioni e, in particolare, in
Campania con il contrasto al Clan Maisto. Per il suo impegno contro la
criminalità ha ricevuto numerosi riconoscimenti sia in vita che dopo la morte
come l’intitolazione della Aula Consiliare di Sambuca di Sicilia, suo luogo di
nascita, una via in località Adragna e i giardinetti Comunali di Palermo in Piazza
delle Stigmate prospiciente la Caserma “Giacinto Carini” sede del Comando
Provinciale di Palermo da lui retto all’epoca dell’arresto di Leggio. In
occasione di una solenne cerimonia commemorativa il Gen. Luigi Federici,
Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, concluse che “il Generale
Ignazio Milillo per noi è un’icona”.
Così come Winston Churchill, intese ringraziare gli
eroici piloti dei caccia britannici, che “mai nella storia,
così tanti hanno dovuto tanto a così pochi “anche io desidero ringraziare,
con tali significative parole, a chi ha dato la propria vita per chi ha
combattuto contro la sopraffazione di ogni forma di illegalità.
Dr.
Gianfranco Milillo
Generale dei
Carabinieri
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