Emanuele Macaluso |
Intervista allo storico esponente della sinistra, che
a 95 anni invita i dem alla battaglia senza accordi con M5S: "Il Pd è
malato di governismo, non si ferma questa destra con una manovra di palazzo...
ma chi l'ha detto che l'Italia sceglierà Salvini?"
· Novantacinque primavere di lucidità e coraggio. Eccolo Emanuele Macaluso,
grande vecchio della sinistra, anzi diciamoci la verità, il più giovane di
tutti, per energia, lucidità, passione politica. Eccolo, nel corso di questa
lunga conversazione, pronunciare più volte la parola “battaglia politica”,
“popolo”, invitando la sinistra ad “avere coraggio e non paura del voto”. Lui
che nella lotta, in anni duri e novecenteschi, si è formato: la Sicilia dei
braccianti, il Migliore che lo chiamò a Roma, la Guerra Fredda, la direzione
dell’Unità ai tempi di Enrico Berlinguer, una vita assieme a Giorgio Napolitano
nella corrente migliorista. Insomma, un comunista italiano che di quella
lezione ricorda l’essenziale: “La manovra politica e parlamentare non può
prevalere o essere un surrogato del consenso. Lasciamo stare Togliatti e quella
tradizione. Il Pci era per il consenso, da conquistare attraverso la battaglia
nella società, e per la manovra”.
È
quello che sta accadendo oggi. Un pezzo di Pd vuole l’accordo con i Cinque
Stelle. Soprattutto quelli che vengono dalla sua tradizione, da Bettini a
D’Alema. Come se lo spiega?
La grande tradizione del realismo comunista non c’entra. La verità è che
questo gruppo, che è stato attorno ad Achille Occhetto ai tempi della svolta,
ha ritenuto che portare quella storia al Governo era un grande successo. Non ne
faccio una questione di moralismo: un partito deve tendere a governare un
paese, altrimenti non è un partito. Insomma, è giusto, ma se questo obiettivo
diventa il tutto, e finisce come è finito in questi anni ogni rapporto con la
società, diventa un errore. E questo dimostra che anche il Pd sta dentro la
crisi, ammalato di governismo. È incapace di concepire se stesso fuori dal
Governo.
Anticipo
l’obiezione: se si vota, Salvini prende tutto: Governo, Quirinale, Corte
Costituzionale.
E l’alternativa sarebbe fargli prendere di più tra qualche mese, dopo una
devastante campagna contro quelli che “hanno paura del popolo”, “il Governo
degli sconfitti”, “i perdenti attaccati alle poltrone”?
Dice
Bettini, e non solo lui: non dura qualche mese, ma va fatto un patto politico
di legislatura.
Amico mio, qui non stiamo mica al Consiglio comunale di Roma. Hai mai
sentito che, quando nasce un Governo, si dice che “nasce per tre mesi”? Tutti
dicono che durerà una legislatura. Poi arrivano le pene quotidiane. Ricordo che
Di Maio e Salvini, dieci giorni fa, dicevano “dureremo quattro anni”. Dopo tre
giorni c’era la crisi di Governo…
Cosa la
colpisce di più di questa discussione?
La sua povertà culturale. Manca l’analisi di fondo della crisi italiana,
per come si sta manifestando. La crisi di Governo è solo un pezzo di una crisi
più ampia della politica. Basta guardare il personale: Conte sarà anche civile
e perbene, ma ha rivelato la sua inadeguatezza in questo anno, in cui di fatto
è stato governato dal suo addetto stampa. Come si chiama lo spogliarellista?
Si
riferisce a Casalino? Non è proprio uno spogliarellista...
Vabbé, stava mezzo nudo in televisione, comunque ci siamo capiti. Si è
vista l’assenza di esperienza, formazione, cultura politica. Ma domando: il
presidente del Consiglio si è accorto solo l’altro giorno con la Open Arms che
Salvini ha imposto una linea oltranzista su navi e porti? Per un anno non ha
detto una parola su questa regressione politica e civile. Anzi, diciamoci la
verità fino in fondo.
Prego.
In questo anno Lega e Cinque stelle hanno approvato leggi infami come
quelle sulla sicurezza. E insieme hanno creato un clima in cui sono cresciute
paura e razzismo ed è stata creata tolleranza e spesso complicità su episodi
che richiamano il fascismo. In questo contesto, tra i due tronconi populisti è
prevalso quello leghista di Salvini che ha eroso l’altro troncone che si è
rivelato, con Di Maio e Conte, una forza ausiliaria senza storia e identità,
non proprio un argine democratico. Questo è il punto di fondo: adesso che tutti
dicono parole in libertà sull’alleanza con i Cinque stelle. Il presidente del
Consiglio non ha detto una parola e di Maio andava in tv a dire “bene, evviva”.
Torniamo
al ragionamento sulla crisi della politica.
Anche Salvini, che ha costruito un’egemonia populista grazie all’esperienza
di Governo, è figlio di questa crisi della politica. Ricordi quando il suo
partito nordista diceva che il problema della Sicilia era l’Etna che doveva
spazzarla via e quello della Campania il Vesuvio? O l’antimeridionalismo più
vergognoso? Ora è diventato sovranista, nazionalista, insomma il rovescio, col
consenso di una parte importante dell’elettorato. Questo che cosa significa?
È il
populismo, che nasce dalla crisi dei partiti. E che anzi esprime, una profonda
rivolta verso i partiti tradizionali, dopo gli anni della grande crisi.
Esattamente. E qui sta anche la responsabilità della sinistra. Anziché
guardare a cosa avveniva nella società, quali problemi maturavano nel profondo,
quali rabbie, quali aspettative, ha teso ad andare al Governo attraverso
manovre politiche e parlamentari, come ha scritto oggi Paolo Mieli, analisi che
condivido. Aggiungo: rinunciando a stabilire una connessione sentimentale col
popolo, ha anch’essa navigato dentro la crisi della politica. Anche Renzi è stato
espressione di questa crisi. È stata un’altra faccia del populismo: il
disprezzo per i sindacati e l’amore per il padrone della Fiat, l’antieuropeismo
di quando tolse la bandiera dell’Europa della presidenza del Consiglio, la
gestione plebiscitaria del referendum, la cultura del capo. Populismo, appunto.
Se
questa è l’analisi, come giudica la reazione del Pd di fronte alla crisi?
Ho visto che il segretario sta tenendo la barra, ma è evidente che è
scattato un riflesso governista che impedisce di cogliere appieno la portata
della crisi verticale del grillismo che apre spazi alla sinistra nel paese. E
si colloca ancora dentro la crisi della politica, dimostrando di non essere un
partito, ma un aggregato elettorale a servizio del leader ai tempi di Renzi, e
ora di un insieme di personalità.
Una
decina d’anni fa, quando nacque il Pd, lei scrisse un libro, dal titolo “Al
Capolinea”. La tesi era, sintetizzo, che quel partito nasceva senz’anima e con
un rapporto debole con la società.
Certo, un partito è tale se ha un suo asse politico culturale, ideale che
produce politiche e tiene assieme anche chi è di opinione diversa dentro
quell’asse. Oggi è allucinante. Calenda dice: “O così o me ne vado”, Renzi
voleva fare un partito per conto suo e ora è rientrato per oscurare Zingaretti.
Voglio fare un appello a un partito che, sia pur con tanti difetti, è un
presidio democratico: fermatevi, discutete in Direzione, il segretario poi
faccia la sintesi. E aggiungo: non abbiate paura di combattere, ma chi l’ha
detto che l’Italia sceglierà Salvini?
Le dico
la verità. Non mi aspettavo questa sua determinazione sul voto.
Non è una sfida guasconesca, Zingaretti l’ha capito. Ma il punto è che non
fermi questa destra con una manovra di palazzo, tra quelli che dicevano
“partito di Bibbiano” e quelli che dicevano “straccio la tessera se il Pd si
allea con Di Maio”. L’obiettivo non può essere solo stare al Governo. Il
problema è “con chi” ci stai e “come” ci stai. E se questo contraddice il modo
di essere della società e dei processi maturano nella società. Domando: questo
accordo è un aiuto a uscire dalla crisi o è un pasticcio che la aggrava? Io
penso che la aggravi.
Macaluso,
lei è un combattente. Io tutta questa voglia di combattere nel Pd non la vedo.
Mi sembra che il segretario sia quasi isolato nel gruppo dirigente.
Compito di un segretario è prendere una iniziativa. Mica è un notaio dei
capicorrente. Io penso che questa destra la fermi con una operazione più
ambiziosa e democratica di una manovra di palazzo, provando a ricomporre la
frattura tra sinistra e popolo. È in quella frattura che è nata la rivolta di
questi anni. Devi chiamare il popolo a sostenere una battaglia, nei quartieri,
nelle fabbriche, nelle scuole, sfidando la cultura di massa del leghismo
salviniano. Devi chiamare il popolo, dicendo che siamo di fronte a un qualcosa
di pesante. È difficile, ma segnali incoraggianti ci sono.
Quali?
La rinascita del sindacato, non solo di Maurizio Landini. Anche il fatto
che Cgil, Cisl e Uil abbiano trovato un’intesa unitaria sulla politica
economica e sociale. E allora la sinistra deve capire che il sindacato finora
non ha avuto più un retroterra politico, che pure è necessario nella reciproca
autonomia. Insisto, il popolo.
Le
chiedo una previsione, su questa crisi più pazza del mondo.
Che previsioni vuoi
fare… Ora è il momento del capo dello Stato, nei confronti del quale nutro
stima e amicizia. Sono certo che, se si andrà al voto, sarà sua preoccupazione
andarci in modo ordinato, perché certo non può gestire le elezioni Salvini dal
Viminale. Non ne garantirebbe la terzietà, questo mi pare evidente.
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