Il paginone su "La Sicilia" del 10 agosto 2008 |
Palazzo Pretorio, 5 ottobre del 1985,
una giornata storica per la cittadina: è la prima volta che in consiglio comunale viene
affrontato il problema «mafia». Non era accaduto nemmeno in occasione dell’assassinio
di Placido Rizzotto. Non era mai accaduto
nulla di simile, perché non era mai stato facile parlare di mafia a Corleone e
meno che mai in consiglio comunale. La seduta era stata chiesta dal gruppo
consiliare comunista, dopo l’estate di sangue palermitana in cui erano stati
assassinati il commissario Beppe Montana, il vicequestore Ninni Cassarà e l’agente
Roberto Antiochia. Riproponiamo ai lettori un nostro "paginone" sull'avvenimento pubblicato su LA SICILIA il 10 agosto 2008.
DINO PATERNOSTRO
La grande aula della scuola media
certamente non aveva il prestigio storico-architettonico della «Sala Gialla» del Palazzo Pretorio,
ma quel che vi accadde nella giornata del 5 ottobre 1985 fu qualcosa di veramente
straordinario. Per la prima volta nella storia di Corleone, si era riunito in
sessione straordinaria il consiglio comunale per affrontare il problema «Mafia».
Non era mai accaduto
nulla di simile, perché non era mai stato facile parlare di mafia a Corleone e
meno che mai in consiglio comunale. Il 23 marzo 1948, per esempio, tredici giorni dopo il
sequestro e l’assassinio del segretario della Camera del lavoro, Placido
Rizzotto, il consiglio comunale si era riunito per commemorarlo. Ma, come
risulta dal verbale di quella seduta, nessuno osò pronunciare la parola
«mafia». E ancora alla fine degli anni ’70, se qualche giovane consigliere di
sinistra (è capitato a me nel 1979 – ndr) si lasciava scappare che «le cosche
mafiose locali condizionano la politica e l’economia», veniva subito redarguito
con la classica frase: «Fai i nomi, oppure stai zitto!».
Come mai, allora, la decisione di
parlare di mafia in un consiglio comunale «dove sedeva una cospicua pattuglia dei
fedeli di don Vito Ciancimino – scrive Nonuccio Anselmo (Corleone Novecento,
parte quarta, Palladium 2002) - il cui passato, proprio in quegli anni, si andava
sempre più illuminando e la luce mostrava sempre maggiori collusioni con Cosa
Nostra»? La «colpa», ancora una volta, era dei consiglieri comunisti (Totò
Mistritta, Enzo Cuppuleri, Maurizio Goffo e Dino Paternostro). Avevano tanto insistito
affinché si convocasse una simile seduta e l’avevano fatto in un momento
particolare: durante la seduta consiliare del 6 agosto 1985, lo stesso giorno
degli omicidi del vicequestore
Ninni Cassarà e dell’agente Roberto
Antiochia, e a pochi giorni dall’assassinio del commissario Beppe Montana. In
quel clima – cianciminiani o non cianciminiani - nessuno se l’era sentita di
dire «no» alla proposta comunista. Nonostante il «corleonese» Totò
Riina fosse ormai il «capo dei capi»
di Cosa Nostra. E nonostante tenesse saldamente
in pugno Palermo, la Sicilia e, ovviamente,
la «sua» Corleone, spalleggiato da Bernardo Provenzano. Sindaco di Corleone,
allora, era il democristiano Michele La Torre, vicino all’on. Sergio
Mattarella. «Non vi fu nessuna pressione per impedire quella seduta antimafia»,
assicura oggi l’ex sindaco.
Ma tutto liscio non dovette filare, perché
passarono ben due mesi prima che si riuscisse a convocare la storica seduta antimafia.
E vi fu persino un braccio di ferro con l’opposizione comunista sul titolo da
dare a quella seduta. Alla proposta secca «Corleone contro la mafia», fatta dai
consiglieri del Pci, il pentapartito di allora (Dc, Psi, Psdi, Pri e una lista
civica) contrappose «Corleone e la mafia: proposte ed interventi per lo sviluppo
sociale, civile ed economico». Manco a dirlo, nella lettera di convocazione il dattilografo
scrisse: «Corleone e la mafia…». «Attenzione a non accentare la e, altrimenti
la frittata è fatta!», ironizzarono i comunisti.
Comunque, si arrivò alla mattina del 5
ottobre 1985 e all’apertura dei lavori di quella storica seduta. «Una
quindicina d’anni fa - esordì il sindaco La Torre – uno scrittore di successo,
Mario Puzo, lanciò quello che sarebbe divenuto uno dei successi letterari di
quel periodo. Quella storia fece il giro del mondo e con essa fece il giro del
mondo un nome: Corleone. (…) Quella storia di Puzo non aveva niente a che
vedere con questa città, con la vera storia di questa città, che tanti momenti
dolorosi ha dovuto pur vivere; eppure quel nome è diventato mito, cancellando,
come accade a tutti i miti, il ben più complesso e variegato volto della
verità…». Che la millenaria storia di Corleone sia ben più complessa e
articolata dei due secoli in cui si è registrata la presenza della mafia, non
ci sono dubbi. Molti dubbi si possono sollevare, invece, sulla considerazione
che Corleone non c’entrava niente con quella storia
del «Padrino», che poi avrebbe avuto il volto cinematografico di Marlon Brando.
Se Puzo aveva scelto il nome «Corleone» per il suo «don» Vito, evidentemente quel
nome già era particolarmente evocativo.
L’allora sindaco Michele La Torre pose
l’accento sulle precarie condizioni economiche dei corleonesi onesti. E, a
parte qualche concessione al folclore e ai luoghi comuni, la relazione del
sindaco sollevò uno dei più grossi problemi che doveva fronteggiare
Corleone. «Non possiamo nasconderci -
disse - le difficoltà che questa amministrazione
incontra nel reperire nuovi
finanziamenti. E non possiamo nasconderci l’inquietante
sensazione che alla base di tutto possa
esserci il sospetto di un’improponibile equazione:
finanziamenti al comune di Corleone uguale,
forse anche indirettamente, finanziamenti
alla mafia».
Ma con i rubinetti dei finanziamenti statali
e regionali chiusi, cresceva la povertà di Corleone. La cittadina contava,
allora, 11.500 abitanti, distribuiti in 3.619 famiglie. Di questi abitanti ben
2.500 erano pensionati e 1.033 disoccupati, di cui 489 giovani in cerca del
primo lavoro. «Questo consiglio comunale - proseguì La Torre - l’abbiamo
convocato per
individuare proposte di intervento per
lo sviluppo sociale, civile ed economico. E, primo fra
tutti, non posso non individuare uno
dei problemi indifferibili per Corleone, quello di un
collegamento veloce con l’area
metropolitana di Palermo, il più vicino e il più grande mercato per la nostra
agricoltura, per il nostro artigianato, per il nostro commercio». Come si vede,
nessuna analisi specifica del fenomeno mafioso, ma una partita tutta giocata
sull’illusione «più sviluppo meno mafia».
Ettore Piccione, consigliere comunale
del Msi-Dn, mise invece i piedi nel piatto, invitando
tutti a rispondere «al fondamentale
interrogativo che la gente ci pone e cioè se in questo
Consiglio seggano consiglieri che con
la mafia qualche cosa abbiano a spartire». Poi l’intervento di Peppino
Siragusa, capogruppo del Psi e compagno di lotte di Placido Rizzotto: «Corleone
e i corleonesi non si identificano con la mafia», disse. E aggiunse: «I
corleonesi non si identificano con i personaggi assurti agli onori, si fa per
dire, della cronaca nera; i corleonesi sono un popolo di onesti e laboriosi
lavoratori
che vogliono vivere in pace e senza
violenza». «Per i nomi tristemente celebri di alcuni
corleonesi - disse invece Calogero
Santacolomba, capogruppo del Psdi - mille altri nomi vi sono nella nostra
storia passata e nella attuale che portano prestigio e fama non solo alla
nostra città ma alla nazione intera».
«Il consiglio comunale di Corleone –
sostenne Dino Paternostro, a nome del Pci - non si può esimere dall’esprimere
il suo punto di vista sulla situazione dell’ordine pubblico a Corleone e sulla
vigente legislazione antimafia. Riteniamo che anche da noi occorre potenziare
le strutture repressive per combattere la criminalità mafiosa, sia sul versante
della caccia ai latitanti (Riina, Provenzano e Bagarella erano ancora tutti
liberi!), sia su quello delle indagini bancarie». Bruno Ridulfo, capogruppo Dc,
mise l’accento sulle «sirene» mafiose che attirano i giovani: «La mafia - disse
- fornisce reddito illegale a migliaia di individui, rispetto ai quali essa ha
buon gioco nell’accreditare come struttura
essenziale di sostentamento». Gli
ultimi interventi furono quelli dell’on. Pietro Ammavuta,
vice presidente della Commissione
regionale antimafia, e dell’on. Angelo Ganazzoli, presidente. «Non è possibile
liberarsi dall’oppressione mafiosa - disse Ammavuta - senza coniugare i vari
aspetti della lotta contro la mafia e senza suscitare un movimento unitario
dei cittadini…».
(d.p.) Nonostante limiti e
contraddizioni, quella seduta consiliare non fu inutile. «Si era per la prima
volta infranto un tabù: Corleone poteva parlare dimafia, poteva parlarne al più
alto livello possibile», scrive ancora Anselmo.
E non soltanto poteva parlarne, ma poteva anche scriverne in un documento
approvato all’unanimità. Un documento frutto di mediazione, con proposte e
richieste che, in qualche modo, costituivano una «rottura» culturale col
recente passato. Si legge nel documento che il consiglio comunale assumeva
«particolare impegno di porsi alla guida di un vasto movimento di opinione antimafia...»,
e che impegnava «le istituzioni culturali e politiche operanti a Corleone a
compiere una incessante e capillare opera di educazione capace di provocare un netto
rigetto della cultura e della mentalità mafiosa».
Poi, le richieste allo Stato: la
realizzazione di collegamenti veloci con l’area metropolitana di Palermo, la
deroga per la copertura dei posti in pianta organica al comune, l’inserimento
nella legge per il Belice. Infine, i proponimenti per sviluppare la vita
democratica a Corleone come antitodo alla mafia, attraverso frequenti riunioni del
consiglio comunale, con delle manifestazioni per ricordare i caduti nella lotta
antimafia, a cominciare dalla scopertura del busto per Bernardino Verro (da sei
anni stava nascosto da un drappo
bianco nel gabinetto del sindaco), con
le iniziative nelle scuole per sviluppare lo spirito critico e diffondere una
coscienza antimafiosa nei giovani, col potenziamento del codice di
comportamento antimafia, che già il comune
si era dato. Il documento approvato chiudeva con l’appello allo Stato e alla
Regione affinché si creassero occasioni di lavoro e di sviluppo in una zona
interna come il Corleonese, in maniera tale da «distogliere i giovani da
ingannevoli tentazioni e da deleteri proselitismi». E con l’auspicio che
«Corleone, assurta suo malgrado a simbolo della mentalità mafiosa, possa
diventare simbolo di riscatto dell’intera Comunità Isolana».
La Sicilia, 10 agosto 2008
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