Il Cretto di Gibellina (o di Burri) |
di
Riccardo Annibali
Nella
notte fra il 14 e il 15 gennaio del 1968 il terremoto del Belice, in Sicilia,
lasciava dietro di sé centinaia di morti e feriti, decine di migliaia di
sfollati e molti paesi ridotti in macerie. Tra questi un borgo di montagna che
oggi non esiste più, Gibellina. A custodirne i relitti è una delle più grandi
opere di Land Art mai realizzate al mondo, il Cretto di Alberto Burri. Una
tomba di cemento di 8mila metri quadrati, un labirinto percorribile che
dall'alto assomiglia ad un foglio bianco e sotto alle sue 122 isole cela le
macerie della vecchia Gibellina.
A pochi
chilometri di distanza sorge Gibellina Nuova dove la vita degli sfollati
ricominciò. Anche in questo caso l’arte contemporanea fu stella polare. E qui –
come per il Cretto – artefice visionario fu l’allora sindaco Ludovico Corrao.
Grazie a lui Gibellina rinacque, nel segno di un’utopia e divenendo
palcoscenico di una serie di interventi urbani rivoluzionari. Artisti e
architetti insieme agli artigiani del paese e cittadini, disegnarono il volto
di questa città-esperimento, col sostegno di intellettuali come Sciascia,
Guttuso, Zavoli, Dolci.
Non fu
però un esperimento esente da critiche: è il territorio al servizio dell’arte,
anziché il contrario? E' l'arte che conquista, invade, dimenticandosi di
ascoltare? Oggi un nuovo museo sorge all'interno di una chiesa rimasta indenne
al terremoto: il museo del Grande Cretto, per continuare a spiegare e
raccontare il significato di questa opera perché dove c'è conservazione c'è
memoria.
La
Repubblica, 12 AGOSTO
2019
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