di GIORGIO RUTA
I dati Svimez raccontano una regione abbandonata
anzitutto da laureati e diplomati che vanno a completare gli studi al Nord o
all’estero. E chi va via, nel 60 per cento dei casi, non rientra
Non ci sono vagoni zeppi di emigranti, ma valigie piene di libri. A
lasciare la Sicilia sono soprattutto i giovani laureati o appena diplomati che
preferiscono frequentare una facoltà fuori dalla Sicilia. Sono circa 17mila le
persone che, secondo il rapporto Svimez, hanno lasciato l’Isola nel 2018 per
trovare un futuro migliore. E per la prima volta gli abitanti della
regione sono meno di cinque milioni.
I giovani
Quello che emerge delle anticipazioni del rapporto Svimez è la fuga dei
giovani siciliani verso il Centro-Nord e l’estero. Circa il 60 per cento di chi
lascia l’Isola ha un’età compresa tra i 20 e i 34 anni. Molti, più di 4mila
ragazzi, preferiscono andare fuori dall’Italia. «Quello che registriamo
rispetto al passato è un’emigrazione selettiva, va via soprattutto la
classe agiata, i giovani sui quali le famiglie possono investire», racconta
Luca Bianchi, ex assessore regionale al Bilancio e oggi direttore dell’Associazione
per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno (Svimez). I laureati emigrati
sono un terzo del popolo che lascia l’Isola. E spesso (oltre il 60 per cento
dei casi) fa le valigie per non rientrare più in Sicilia.
L’Università
«Va segnalato — continua Bianchi — che i giovani scelgono di andar via
sempre più frequentemente dopo il diploma, optando per un ateneo del centro
nord». Il 27 per cento dei giovani universitari, secondo il rapporto Svimez
2018, ha deciso di iscriversi in atenei fuori dall’Isola: 40mila ragazzi. «Chi
sceglie il proprio percorso di studi pensa anche agli sbocchi lavorativi, per
questo opta spesso per un contesto in cui il mercato del lavoro è più
vivace», ragiona il professore di sociologia, Antonio La Spina. Contano anche,
fanno notare dallo Svimez, la qualità dei servizi, molto più alta nel Centro-
Nord, nei trasporti e nell’erogazione delle borse di studio. «C’è anche chi, ma
questo andrebbe studiato sociologicamente, sceglie di andare in università del
Nord per status symbol, a dispetto di alcune facoltà del Meridione di alto
livello», continua Bianchi.
La Sicilia, con la Puglia, è la regione che perde più ragazzi in termini
assoluti, mentre Basilicata e Molise superano il 40 per cento di ragazzi
iscritti oltre i confini. Tutto ciò, ovviamente, comporta un impatto
finanziario che viene calcolato complessivamente in circa 3 miliardi di euro,
in termini di consumi pubblici e privati. «Inoltre, in un’economia basata
sull’innovazione, sulle buone idee, avere dei cervelli che si formano e
che si confrontano nelle Università è importante », continua il sociologo.
Il lavoro
La Sicilia si svuota. E si svuota soprattutto perché, banalmente, non c’è
lavoro. Ma dal rapporto Svimez arrivano piccoli segnali incoraggianti. Il pil
della Regione segna un più 0,5 per cento, in linea con il trend del
Mezzogiorno. Cresce dello 0,1 il comparto dei servizi, mentre vanno bene
le costruzioni (4,3 per cento) e l’industria (+ 5,9), crolla l’agricoltura del
4 per cento a causa, soprattutto, dei cicli degli agrumi e dell’annata infelice
dei vini.
Sono piccoli cenni di ripresa che non bastono a far uscire la regione da
una situazione di depressione che in 20 anni ha bruciato migliaia di posti di
lavoro. «L’emigrazione cresce per un fatto oggettivo. Non si affronta in
maniera seria il tema del lavoro che, invece, dovrebbe essere centrale
assieme a quello dello sviluppo e degli investimenti», dice il segretario
regionale della Cisl Sebastiano Cappuccio. Il sindacalista cita un dato: in
Sicilia lavorano un milione e 300 mila persone, un milione e 600mila sono
disoccupati, gli altri sono anziani e bambini. «Il Mezzogiorno è stato più
colpito dalla crisi. Servono politiche pubbliche adeguate per lo sviluppo, gli
interventi fino a oggi sono stati deboli », continua La Spina.
Il futuro
I numeri dipingono un futuro non felicissimo per la Sicilia. Nel 2018
l’Isola, tra scarsa natalità ed emigrazione, ha perso 27 mila persone, ma se si
guarda al 2065 il dato è ancora più impressionante. Secondo il rapporto, ci
sarà un milione di persone in meno e la regione scenderà sotto quota quattro
milioni.
La Repubblica Palermo, 3 agosto 2019
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