di ENRICO FRANCESCHINI
Eravamo nella redazione newyorchese di Repubblica. Arrivò Neil Armstrong e parlammo di ogni aspetto della sua odissea nello spazio. Poi chiesi cosa gli avesse ispirato l'espressione diventata celebre come un versetto biblico, 'un piccolo passo per l'uomo, un grande balzo per l'umanità'. Lui diede un'alzata di spalle: “Ci pensai mentre scendevo dalla scaletta” Ma come le venne in mente una frase così poetica? Neil Armstrong diede un'alzata di spalle. Eravamo nella redazione newyorchese di Repubblica, una trentina d'anni fa. LA STORIA DELL’ESPLORAZIONE DELLA LUNA
Eravamo nella redazione newyorchese di Repubblica. Arrivò Neil Armstrong e parlammo di ogni aspetto della sua odissea nello spazio. Poi chiesi cosa gli avesse ispirato l'espressione diventata celebre come un versetto biblico, 'un piccolo passo per l'uomo, un grande balzo per l'umanità'. Lui diede un'alzata di spalle: “Ci pensai mentre scendevo dalla scaletta” Ma come le venne in mente una frase così poetica? Neil Armstrong diede un'alzata di spalle. Eravamo nella redazione newyorchese di Repubblica, una trentina d'anni fa. LA STORIA DELL’ESPLORAZIONE DELLA LUNA
L'ex-astronauta aveva deciso di venire lui a trovarmi, dopo un lungo negoziato
per l'intervista. Disse che quel giorno si sarebbe trovato in città per altre
ragioni e gli faceva comodo così. Il primo uomo sbarcato sulla luna, pensai,
non avrebbe certo avuto difficoltà a orientarsi per trovare un ufficio sulla
cinquantesima strada di Manhattan.
Quando me lo trovai davanti, le aspettative andarono deluse: aveva un aspetto da commesso viaggiatore, con la sua borsa a tracolla e l'aria vagamente spaesata degli "out-of-towners", come nella Big Apple si chiamano i provinciali. Non sembrava possedere il phisique du role dell'eroe nazionale, anzi mondiale, del novello Cristoforo Colombo andato a scoprire una terra incognita al di fuori della nostra. Le apparenze, tuttavia, ingannano.
I toni dimessi con cui raccontò la sua storia rivelarono presto perché fosse stato scelto per quella mission impossible: una calma glaciale, la forza quieta del coraggio. Non per nulla, molti anni prima di scendere sul nostro satellite, si era distinto come pilota militare di cacciabombardieri per l'abilità con cui atterrava di notte sulle portaerei. La manovra che, secondo dati scientifici, provoca un'accelerazione dei battiti cardiaci perfino superiore alla fase di decollo di un'astronave.
Parlammo di ogni aspetto della sua odissea nello spazio e del futuro delle esplorazioni del cosmo. Poi tirai fuori la domanda che mi incuriosiva di più: cosa gli aveva ispirato l'espressione diventata celebre come un versetto biblico, "un piccolo passo per l'uomo, un grande balzo per l'umanità", pronunciata appena sceso dalla scaletta e messo piede sul suolo lunare? Il quesito ne nascondeva un altro, più subdolo: "chi" gli aveva ispirato quelle parole dal sapore filosofico religioso? Un libro? Un uomo politico? Un comitato della Nasa riunito a tale scopo, in modo che l'evento fosse accompagnato da una citazione perfetta, capace di emozionare i terrestri e di passare alla storia?
"Niente di tutto questo", rispose, affatto offeso dalle mie ipotesi. "Elaborai la frase da solo, mentre scendevo dalla scaletta del modulo lunare". Stentai a crederci. Mi sembrava una locuzione troppo bella per essere il prodotto di un pensiero casuale, estemporaneo, per di più sbocciato in un momento così drammatico. Educatamente, gli comunicai la mia incredulità. Allora Armstrong aggiunse: "La possibilità che la nostra navicella si sfracellasse all'impatto con la luna era piuttosto alta. Ci furono vari problemi nella manovra di allunaggio. Non avrebbe avuto senso perdere tempo in anticipo a immaginare cosa dire una volta sbarcato, se c'era un rischio considerevole che lo sbarco si concludesse con un fallimento". E con una tragedia, ma questo non lo specificò.
Andò proprio così, la storia del "piccolo passo" e del "grande balzo"? Non ne sono del tutto sicuro. Del resto su questo dubbio, e sulla frase in sé, in questi cinquant'anni sono stati scritti migliaia di articoli e un discreto numero di libri. Ma non è saltata fuori con certezza un'altra versione.
E se c'è uno che avrebbe potuto tirare fuori spontaneamente all'ultimo momento una frase simile, era Neil Armstrong: il cui cognome, a scanso di equivoci, significa Fortebraccio. Quando si alzò per salutarmi, al termine dell'intervista, non riuscii a fare a meno di fissargli le scarpe: e di pensare che l'impronta rimasta sulla luna, l'immagine fotografata ed entrata nella storia, veniva da quegli stessi piedi che ora camminavano nel mio ufficio di mid-town Manhattan, mentre dalla bocca gli uscivano le parole rimaste impresse nella memoria della Terra.
Quando me lo trovai davanti, le aspettative andarono deluse: aveva un aspetto da commesso viaggiatore, con la sua borsa a tracolla e l'aria vagamente spaesata degli "out-of-towners", come nella Big Apple si chiamano i provinciali. Non sembrava possedere il phisique du role dell'eroe nazionale, anzi mondiale, del novello Cristoforo Colombo andato a scoprire una terra incognita al di fuori della nostra. Le apparenze, tuttavia, ingannano.
I toni dimessi con cui raccontò la sua storia rivelarono presto perché fosse stato scelto per quella mission impossible: una calma glaciale, la forza quieta del coraggio. Non per nulla, molti anni prima di scendere sul nostro satellite, si era distinto come pilota militare di cacciabombardieri per l'abilità con cui atterrava di notte sulle portaerei. La manovra che, secondo dati scientifici, provoca un'accelerazione dei battiti cardiaci perfino superiore alla fase di decollo di un'astronave.
Parlammo di ogni aspetto della sua odissea nello spazio e del futuro delle esplorazioni del cosmo. Poi tirai fuori la domanda che mi incuriosiva di più: cosa gli aveva ispirato l'espressione diventata celebre come un versetto biblico, "un piccolo passo per l'uomo, un grande balzo per l'umanità", pronunciata appena sceso dalla scaletta e messo piede sul suolo lunare? Il quesito ne nascondeva un altro, più subdolo: "chi" gli aveva ispirato quelle parole dal sapore filosofico religioso? Un libro? Un uomo politico? Un comitato della Nasa riunito a tale scopo, in modo che l'evento fosse accompagnato da una citazione perfetta, capace di emozionare i terrestri e di passare alla storia?
"Niente di tutto questo", rispose, affatto offeso dalle mie ipotesi. "Elaborai la frase da solo, mentre scendevo dalla scaletta del modulo lunare". Stentai a crederci. Mi sembrava una locuzione troppo bella per essere il prodotto di un pensiero casuale, estemporaneo, per di più sbocciato in un momento così drammatico. Educatamente, gli comunicai la mia incredulità. Allora Armstrong aggiunse: "La possibilità che la nostra navicella si sfracellasse all'impatto con la luna era piuttosto alta. Ci furono vari problemi nella manovra di allunaggio. Non avrebbe avuto senso perdere tempo in anticipo a immaginare cosa dire una volta sbarcato, se c'era un rischio considerevole che lo sbarco si concludesse con un fallimento". E con una tragedia, ma questo non lo specificò.
Andò proprio così, la storia del "piccolo passo" e del "grande balzo"? Non ne sono del tutto sicuro. Del resto su questo dubbio, e sulla frase in sé, in questi cinquant'anni sono stati scritti migliaia di articoli e un discreto numero di libri. Ma non è saltata fuori con certezza un'altra versione.
E se c'è uno che avrebbe potuto tirare fuori spontaneamente all'ultimo momento una frase simile, era Neil Armstrong: il cui cognome, a scanso di equivoci, significa Fortebraccio. Quando si alzò per salutarmi, al termine dell'intervista, non riuscii a fare a meno di fissargli le scarpe: e di pensare che l'impronta rimasta sulla luna, l'immagine fotografata ed entrata nella storia, veniva da quegli stessi piedi che ora camminavano nel mio ufficio di mid-town Manhattan, mentre dalla bocca gli uscivano le parole rimaste impresse nella memoria della Terra.
La Repubblica, 18 luglio 2019
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